La Relazione Illustrativa e la Relazione Tecnica del correttivo al Codice dei contratti pubblici di cui al D.Lgs. 36/2023 ed il testo bollinato, approvato in Consiglio dei Ministri.
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Correttivo Codice Appalti d.lgs. 36/2023 approvato in CDM : cosa cambia
Premessa generale sul complessivo impianto normativo introdotto
La legge 21 giugno 2022, n. 78 ha conferito al Governo la delega ad adottare uno o più decreti legislativi recanti la disciplina dei contratti pubblici, anche al fine di adeguarla al diritto europeo e ai principi espressi dalla giurisprudenza della Corte costituzionale e delle giurisdizioni superiori, interne e sovranazionali, medio tempore intervenuti.
In attuazione della predetta delega, il Governo ha emanato il decreto legislativo 31 marzo 2023, n. 36, recante “Codice dei contratti pubblici in attuazione dell’articolo 1, comma 4 della legge 21 giugno 2022, n. 78, recante delega al governo in materia di contratti pubblici” (di seguito, anche Codice o “codice appalti”).
Trascorso più di un anno dalla entrata in vigore e dall’acquisto di efficacia delle disposizioni del Codice (articolo 229, commi 1 e 2), il Governo ha ritenuto di avvalersi della facoltà concessa dal comma 4 dell’articolo 1 della citata delega, in virtù della quale il Governo, entro due anni dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 36 del 2023, è autorizzato ad apportare al medesimo decreto le correzioni e integrazioni che l’applicazione pratica ha reso medio tempore necessarie od opportune, nel rispetto dei medesimi principi e criteri direttivi contenuti nella delega.
Lo schema di decreto de quo, è, dunque, in primis, uno strumento di ulteriore razionalizzazione e semplificazione della disciplina recata dal vigente codice dei contratti pubblici, che tiene conto delle principali esigenze rappresentate dagli stakeholders del settore, nonché delle richieste, presentate in sede europea, di modifica e integrazione di taluni istituti giuridici introdotti, al fine sia di scongiurare sia l’avvio di nuove procedure di infrazione da parte della Commissione europea sia di risolvere quelle eventualmente già in essere.
A ciò si aggiunga che il correttivo intende recepire le principali affermazioni giurisprudenziali formatisi all’indomani dell’acquisto di efficacia del vigente codice – assicurando, in tal modo, una uniforme applicazione di tali principi – , soprattutto relativamente ad alcune aree tematiche ed applicative particolarmente rilevanti, quali ad esempio, la “revisione prezzi”, il concetto di “equivalenza”, riferito alle tutele in materia di contratti collettivi nazionali di lavoro, il principio dell’equo compenso, così come operante nell’ambito degli affidamenti dei servizi di ingegneria e architettura.
In tale ottica, le nuove previsioni introdotte, intervenendo peraltro su criticità sollevate dalla stessa Autorità nazionale anticorruzione (ANAC), hanno tenuto in considerazione i primi orientamenti della giurisprudenza civile e amministrativa formatisi in materia, consentendo così il formarsi e l’avvio di virtuose e via via consolidate prassi operative.
Le modifiche e le integrazioni in esso contenute sono comunque mirate a perfezionare l’impianto normativo del Codice, senza volerne stravolgere lo spirito e l’impostazione, con lo scopo di migliorarne l’omogeneità, la chiarezza e l’adeguatezza in modo da perseguire efficacemente l’obiettivo dello sviluppo del settore, nell’ottica di promuovere il principio del risultato e della fiducia tra pubbliche amministrazioni e operatori economici, inserito nel Libro I quale assoluto elemento di novità rispetto alla previgente disciplina.
Il provvedimento in parola si pone dunque in linea di continuità con il Codice, nell’impostazione di fondo, nell’architettura delle regole e delle procedure, che sono state ulteriormente rafforzate con tasselli ritenuti necessari in ragione di quanto emerso nella prassi applicativa.
Appare doveroso precisare come le suddette novelle siano il frutto di un ampio, trasversale e costruttivo confronto non solo tra le Amministrazioni interessate, ma anche con gli operatori di settore, maturato in numerosi tavoli inter-istituzionali tematici (tra cui il tavolo sulla digitalizzazione, il tavolo sulla qualificazione delle stazioni appaltanti, il tavolo sulla revisione prezzi, il tavolo sui Collegi consultivi tecnici).
Il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, da parte sua, ha seguito e accompagnato il dibattito e l’attuazione del Codice, anche grazie ad una propria intensa attività consultiva resa a mezzo di pareri alle stazioni appaltanti e a tutti coloro che sono tenuti all’applicazione del codice tramite il servizio Supporto Giuridico, realizzato in collaborazione con la Conferenza delle Regioni e delle Province autonome ed ITACA (Istituto per l’innovazione e trasparenza degli appalti e la compatibilità ambientale), in via di ulteriore implementazione a seguito delle attività di prossima definizione volte ad estenderne la portata con uno specifico focus sugli aspetti della professionalizzazione, qualificazione e digitalizzazione. Ciò nell’ottica di favorire l’uniformità nell’interpretazione della disciplina dei contratti pubblici, nonché la formazione di “best practices” consolidate.
Nell’ambito di tale attività sono stati affrontati quesiti e dubbi interpretativi, raccogliendo sollecitazioni ed elementi di riflessione che si sono rivelati strategici nella fase di istruttoria del presente testo normativo.
Alle attività di concertazione illustrate si è affiancato anche il confronto con gli operatori di settore, portato avanti, non solo con la consultazione pubblica attivata nel mese di luglio tramite una piattaforma istituita presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, ma anche attraverso confronti settoriali (a titolo esemplificativo, si segnala il confronto sulla tematica afferente all’equo compenso promosso dal Consiglio superiore dei lavori pubblici e il confronto con i principali operatori del settore sia dei lavori che dei servizi e forniture svolto sul tema della revisione prezzi).
Con specifico riferimento alla consultazione pubblica, avvenuta nel mese di luglio del 2024, sono stati invitati a partecipare n. 94 stakeholders, di cui n. 77 rappresentano operatori privati mentre
n. 17 soggetti pubblici, che hanno presentato circa 630 contributi suddivisibili in tre macro-categorie: disallineamenti testuali; modifiche sostanziali e criticità interpretative.
Per un maggiore approfondimento dell’iter di formazione dello schema di provvedimento, e in particolare degli esiti delle citate consultazioni, si rimanda all’AIR dove sono illustrati, nel dettaglio, gli esiti della stessa.
2. Le principali linee direttrici di intervento.
La ratio ispiratrice del provvedimento in argomento è da rinvenire, come anticipato anche supra, prioritariamente nell’esigenza di chiarire, specificare e attuare alcune disposizioni che presentavano criticità applicative, con particolare riferimento agli allegati, in modo da agevolare il rilancio strutturale degli investimenti pubblici anche nella fase post PNRR, coerentemente con le prospettive e i tempi di un bilancio strutturale.
Sul punto, di significativa rilevanza sono le modifiche in tema di digitalizzazione di cui si dirà nel prosieguo.
Inoltre, si è intervento sulla disciplina della fase dell’esecuzione dei contratti, in merito alla quale sono state registrate numerose segnalazioni sia dalle stazioni appaltanti che dagli operatori economici, con lo scopo di chiarire gli elementi essenziali che concorrono a definire l’equilibrio giuridico ed economico-finanziario tra pubblico e privato.
Infine, sono state introdotte delle modifiche trasversali volte a valorizzare e promuovere il ruolo delle micro, piccole e medie imprese, nella consapevolezza che sono proprio tali operatori a costituire la trama portante del mercato dei contratti pubblici italiano.
Proprio in relazione agli aspetti che precedono, vanno evidenziate le – rilevantissime – potenzialità e utilità del decreto correttivo che sono intrinsecamente connesse – e per questo sono ancora più importanti – alla “fase cruciale dell’attuazione” di ogni riforma, come lo stesso Consiglio di Stato l’ha definita in molteplici occasioni (in relazione al codice dei contratti pubblici del 2016, cfr. Comm. spec. n. 855/2016, ai punti II.f).4, II.f).5 e II.g).
Come evidenziato dal Supremo Consesso, infatti, “…una riforma è tale solo quando raggiunge un’effettiva attuazione, che sia percepita da cittadini e imprese e rilevata dai dati statistici. A questo scopo, l’adozione dei decreti legislativi attuativi di una legge(-delega) di riforma non è sufficiente: l’esperienza internazionale insegna che sempre più spesso le riforme ‘si perdono’ nelle prassi amministrative conservative, nel difetto di un’adeguata informatizzazione, nel mancato apprendimento dei meccanismi da parte degli operatori pubblici, nel difetto di comunicazione con i cittadini e le imprese, che non riescono a conoscere, e quindi a rivendicare, i loro nuovi diritti.
Nessuna riforma nasce subito perfetta, ma molte possono diventarlo con una fase di progressivo adattamento: per tale ragione, i decreti “integrativi e correttivi” di un decreto legislativo hanno un ruolo essenziale.”.
In aderenza a tale impostazione, il presente decreto non punta soltanto alla “qualità formale” del testo, ma soprattutto alla rimozione di quegli ostacoli registratisi in sede di applicazione pratica onde assicurare il buon funzionamento della riforma.
Si tratta, infatti, di misure che non sono ‘aggiuntive’ rispetto alla riforma medesima, ma fanno parte integrante della stessa, e ne possono determinare il successo in misura rilevante.
Peraltro, in ossequio al rispetto del principio di stabilità dell’ordinamento giuridico, che impone che le norme abbiano un tempo ragionevole di applicazione e di assimilazione, consentendo agli operatori di adeguarsi ad esse, lo schema di decreto in commento interviene in modo chirurgico soltanto laddove i cambiamenti siano stati giustificati da un effettivo riscontro nella pratica, assicurando, in tal modo, certezza delle regole, stabilità del quadro regolatorio, efficienza di amministrazioni e imprese.
Nel dettaglio, le proposte di modifica al Codice seguono, come anticipato, tre linee direttrici:
- sono state apportate al codice tutte quelle modifiche di coordinamento interno, comprese la correzione di errori materiali, refusi e disallineamenti testuali;
- sono state introdotte precisazioni per accrescere la chiarezza del dettato normativo, integrando alcuni istituti o colmando dei vuoti normativi evidenziati dalle associazioni o dagli operatori di settore, nonché in sede di confronto con altri soggetti istituzionali. Invero, partendo dai contributi raccolti durante la consultazione, dalla giurisprudenza e dalle richieste di parere pervenute attraverso il servizio supporto giuridico, sono state tracciate numerose modifiche puntuali finalizzate a chiarire possibili ambiguità del codice, a risolvere disallineamenti tra diverse parti del codice e degli allegati, ad aggiornarne le formulazioni alla normativa sopravvenuta;
- sono state apportate delle modifiche ad alcuni istituti rilevanti, conseguenti alle criticità evidenziate nella prima fase attuativa del codice.
- I macrotemi oggetto di intervento.
Nel dettaglio, anche alla luce delle criticità emerse durante i menzionati confronti inter- istituzionali e con gli operatori economici, la presente novella legislativa si è incentrata su dieci temi sostanziali ritenuti prioritari per assicurare la piena funzionalità delle norme di settore dei contratti pubblici.
Al fine di fornire una chiave di analisi quanto più completa e una visione sistemica delle disposizioni contenute nel presente decreto, si riporta di seguito una primaria e sintetica descrizione di insieme degli interventi proposti nelle dieci aree tematiche ritenute prioritarie.
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- Equo compenso
Un primo ambito tematico oggetto di intervento è relativo alla disciplina del c.d. equo compenso.
In argomento, infatti, sono emersi, all’indomani dell’entrata in vigore della legge 20 maggio 2023 n. 49, recante “Disposizioni in materia di equo compenso delle prestazioni professionali”, orientamenti dottrinali e giurisprudenziali divergenti in ordine all’applicabilità al settore dei contratti pubblici della normativa introdotta ex novo dalla precitata legge. Il presente testo normativo, pertanto, ha rappresentato l’occasione per poter chiarire, in via legislativa, i rispettivi ambiti applicativi alla luce dei principi sulla concorrenza e sull’equo compenso previsti rispettivamente agli articoli 1, comma 2, primo periodo, e 8, comma 2, secondo periodo, del medesimo codice.
Nell’ambito del dibattito giurisprudenziale formatosi in subiecta materia, si richiamano, in particolare, i primi interventi giurisprudenziali intervenuti, ossia le sentenze del TAR Veneto, sez. III, 3 aprile 2024, n. 632 e TAR Lazio, sez. V ter, 30 aprile 2024, n. 8580, che hanno sostenuto l’applicabilità della legge sull’equo compenso al settore contratti pubblici, cui hanno fatto da “contro altare” i pronunciamenti del TAR Campania, Salerno, sez. II, 16 luglio 2024, n. 1494 e TAR Calabria, Reggio Calabria, 25 luglio 2024, n. 483, che hanno invece affermato, l’incompatibilità tra i due sistemi normativi, con esclusione dell’applicazione delle regole dell’equo compenso alle procedure di gara regolate dal codice dei contratti pubblici.
A fondamento della prima tesi, i giudici amministrativi di primo grado hanno valorizzato, anzitutto, la previsione contenuta nell’articolo 8, comma 2, del Codice, laddove, oltre a sancirsi il divieto, salvo casi eccezionali, di prestazioni d’opera intellettuale a titolo gratuito, è stato imposto, in via generale, alla pubblica amministrazione di garantire comunque l’applicazione del principio dell’equo compenso.
In particolare, infatti, secondo questa tesi, l’impiego del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa in ragione del rapporto qualità/prezzo nel settore dell’evidenza pubblica, non precluderebbe l’applicabilità della legge n. 49 del 2023, in quanto le gare per servizi di architettura o di ingegneria dovrebbero essere strutturate e aggiudicate sulla base di un “prezzo fisso” non ribassabile, individuato dalla pubblica amministrazione come corrispettivo posto a base di gara, con competizione limitata alla sola componente tecnica dell’offerta.
In tale ottica, il compenso del professionista costituirebbe soltanto una delle componenti del “prezzo” determinato dall’Amministrazione come importo a base di gara, al quale si affiancano altre voci, relative in particolare alle “spese ed oneri accessori”.
In base alla tesi opposta, si ritiene invece possibile la praticabilità del ribasso sui corrispettivi professionali, in quanto la loro congruità rimarrebbe, in ogni caso, adeguatamente assicurata dal modulo procedimentale di verifica dell’anomalia dell’offerta, con riferimento al ribasso praticato sul corrispettivo dei servizi di progettazione.
In tale ottica, la verifica di anomalia delle offerte sarebbe finalizzata ad evitare che le prestazioni professionali siano rese a prezzi incongrui, consentendo, nel contempo, alle amministrazioni di affidare gli appalti a prezzi più competitivi.
Tenuto conto delle divergenze di posizione e orientamenti giurisprudenziali, si è inteso intervenire sulla materia al fine di bilanciare le regole sull’applicabilità del principio dell’equo compenso, inteso, appunto, come compenso “equo” e non “minimo”, inevitabilmente correlato, tuttavia, all’operatività di specifici vincoli connessi al settore dei contratti pubblici, che impongono valutazioni comparative ai fini dell’affidamento di tutti i servizi, compresi quelli connessi alla progettazione, e che richiedono una adeguata ponderazione degli effetti finanziari delle scelte regolatorie.
In risposta a tale necessario bilanciamento, le modifiche proposte all’articolo 41 prevedono, da un lato, che le tariffe siano considerate per il 65 per cento come un importo “a prezzo fisso”, come tale non ribassabile in sede di gara; dall’altro, che rispetto al restante 35 per cento, l’elemento relativo al prezzo possa essere invece oggetto di offerte al ribasso in sede di presentazione delle offerte; per mitigare l’impatto di tali ribassi sull’aggiudicazione e valorizzare la componente tecnica della progettazione, si prevede tuttavia che per tale residuo 35 per cento, la stazione appaltante stabilisca un tetto massimo per il punteggio economico, entro il limite del 30 per cento.
Nell’ottica di intervento sopra evidenziata, pertanto, la soluzione sopra sinteticamente descritta garantisce pertanto il principio dell’equa remunerazione del progettista, aprendo al contempo ad una valutazione competitiva tra diverse offerte economiche, al fine, in ogni caso, di valorizzare nell’affidamento quegli operatori economici che propongono migliori condizioni di economicità e qualità del servizio.
3.2. Tutele lavoristiche
Ulteriore tematica centrale emersa in sede di consultazione è quella afferente alle tutele lavoristiche. In particolare, nel dare attuazione alla disposizione che prescrive l’individuazione nel bando del contratto collettivo nazionale applicabile all’appalto, (ex articolo 11 del Codice), oggetto di intervento, sono state individuate le tutele che si devono considerare ai fini della valutazione e alle modalità di calcolo dell’equipollenza dei contratti collettivi di lavoro.
Nell’operare tale specificazione si è tenuto conto di come i criteri di equipollenza siano funzionali sia a garantire parità di tutela che ad assicurare il coinvolgimento di operatori economici che non applicano il contratto indicato dalla stazione appaltante, in ossequio alla libertà contrattuale sancita, sul punto, dalla giurisprudenza costituzionale.
Le modifiche proposte sono finalizzate ad assicurare una uniforme svolgimento delle prassi operate dalle stazioni appaltanti ai fini dell’individuazione del contratto di lavoro applicabile in sede di redazione dei bandi/inviti, nonché una semplificazione del quadro normativo e delle modalità di calcolo dell’equipollenza a favore degli operatori economici ai fini della partecipazione ad una procedura di evidenza pubblica.
Si prevede, in particolare, l’inserimento di un nuovo Allegato I.01, contenente concrete disposizioni per orientare l’operato delle stazioni appaltanti sia rispetto al contratto da individuare nel bando/invito, tenuto conto dell’oggetto dell’appalto, sia rispetto alla verifica di equipollenza dei contratti.
In particolare, si è inteso introdurre dei meccanismi automatici per la valutazione di equipollenza tra i contratti sottoscritti dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative, alla luce dei principali indici normativi ed economici rivelatori di tale sostanziale equivalenza.
E’ stata poi prevista una disciplina diversificata tra il settore dei lavori e quello dei servizi e forniture: per il primo è stata introdotta una presunzione di equipollenza tra i contratti collettivi sottoscritti dalle organizzazioni maggiormente rappresentative nei quattro settori ATECO applicati nel settore delle costruzioni; per il secondo settore sono stati introdotti dei criteri per il calcolo dell’equipollenza secondo una logica “compensativa” tra le differenti tutele normative previste nei diversi contratti.
Appare opportuno, inoltre, evidenziare che il contenuto dell’Allegato I.01 recepisce, fra l’altro, anche gli orientamenti giurisprudenziali in materia. Sul punto, si richiama il divieto di prevedere quale requisito di partecipazione l’applicazione di un determinato contratto collettivo (cfr. Consiglio di Stato, sentenza del 18 dicembre 2023 n. 10886); resta fermo che, in sede di verifica della dichiarazione di equivalenza, la stazione appaltante o l’ente concedente sono tenute ad accertare che il costo del personale non sia inferiore ai minimi salariali retributivi (TAR Campania, sede di Napoli, sentenza del 7 novembre 2023, n. 6128).
Si rammenta che, in forza dell’interpretazione delle disposizioni vigenti, l’obbligo di individuare il CCNL come sopra declinato non si applica ai contratti per i quali tale indicazione non appare pertinente, come i contratti di servizi aventi natura intellettuale e i contratti di fornitura senza posa in opera. Ciò in considerazione di quanto affermato dalla stessa ANAC che, nell’ambito della relazione al proprio bando-tipo, ha sottolineato che spetta alle stazioni appaltanti valutare, a seconda della tipologia dell’appalto, se il medesimo dipende da prestazioni standardizzate (e contrattualizzate) ovvero da presentazioni professionali o di mera fornitura che non contemplano l’impiego di personale contrattualizzato. Si riporta al riguardo quanto osservato dall’ANAC nella nota illustrativa al Bando tipo n. 1/2023: “Sulla base del combinato disposto delle due norme [articoli 11, commi 1 e 2, e 57, comma 1], è stato ritenuto di poter aderire all’interpretazione che vede l’articolo 11 come enunciazione di un principio generale e l’articolo 57 come declinazione pratica di tale principio. È stato quindi ritenuto possibile perimetrare l’applicazione dei principi di cui all’articolo 11 all’ambito oggettivo individuato dall’articolo 57, escludendo i contratti di servizi aventi natura intellettuale. Inoltre, è stato ritenuto opportuno escludere le forniture senza posa in opera”.
Ciò deriva dalla stessa interpretazione letterale dell’articolo 57, comma 1 a mente del quale “Per gli affidamenti dei contratti di appalto di lavori e servizi diversi da quelli aventi natura intellettuale e per i contratti di concessione i bandi di gara, gli avvisi e gli inviti, tenuto conto della tipologia di intervento, in particolare ove riguardi il settore dei beni culturali e del paesaggio, e nel rispetto dei principi dell’Unione europea, devono contenere specifiche clausole sociali […]”.
3.3. Digitalizzazione
Ulteriore materia centrale e prioritaria di intervento è quella relativa alla c.d. digitalizzazione, la quale ha costituito e rappresenta tutt’ora un elemento cardine ed estremamente innovativo dell’intero impianto codicistico.
Invero, a più di un anno dall’entrata in vigore del Codice (che ha previsto un’introduzione graduale delle disposizioni in materia di digitalizzazione) si pone l’esigenza di semplificare e chiarire alcune regole finalizzate a favorire il corretto funzionamento del sistema di e-procurement che, come noto, è entrato in vigore lo scorso 1° gennaio 2024.
Si ricorda che il sistema sta operando a regime, anche se si registrano significativi ritardi nell’alimentazione del fascicolo virtuale dell’operatore economico, nonché nell’implementazione delle misure necessarie a garantire l’interoperabilità tra le banche dati esistenti e la Banca dati contratti pubblici dell’ANAC.
A queste problematiche si aggiungono quelle relative all’entrata in vigore, a decorrere dal 1° gennaio 2025, delle nuove regole sull’obbligatorietà del ricorso a metodi e strumenti di gestione informativa digitale delle costruzioni (cd. BIM). Al riguardo non può non evidenziarsi come, se da un lato, vi sia l’esigenza di accelerare tale utilizzo, nella consapevolezza che la digitalizzazione di tutti gli elaborati di cantiere garantisce una progettazione di qualità, con dati attendibili e agevolmente confrontabili; dall’altro lato, gli enti territoriali richiedono proroghe o interventi di innalzamento della soglia per il ricorso a tali metodi, al fine di evitare che le stazioni appaltanti più piccole si trovino di fronte ad un blocco delle procedure a causa delle carenze tecniche e di personale interne.
Le principali modifiche proposte in tema di digitalizzazione intervengono su numerosi articoli del codice e degli allegati, al fine di:
- favorire, accelerare e semplificare l’alimentazione del fascicolo virtuale dell’operatore economico;
- chiarire le regole sulla certificazione delle piattaforme (pubbliche o private) che consentono alle stazioni appaltanti di collegarsi alla Banda dati nazionale di ANAC;
- prevedere la suddivisione di compiti tra il RUP e il personale delle stazioni appaltanti ai fini del caricamento dei dati sulla Banda dati nazionale dei contratti pubblici;
- accelerare e semplificare il funzionamento del casellario informatico;
- rivedere le regole sull’utilizzo di metodi e strumenti di gestione informativa digitale delle costruzioni (cd. BIM), incrementando a decorrere dal 1° gennaio 2025 la soglia relativa all’obbligatorietà del ricorso al medesimo da 1 a 2 milioni di euro, razionalizzando altresì tutti i requisiti tecnici per la redazione in modalità digitale dei documenti di programmazione, progettazione ed esecuzione dell’opera.
3.4. Qualificazione delle stazioni appaltanti
Un ulteriore ambito di intervento del presente testo normativo di carattere prioritario, costituente, peraltro, uno specifico requirement del Piano nazionale di ripresa e resilienza (di seguito, anche PNRR), è quello avente per oggetto la qualificazione delle stazioni appaltanti.
Sebbene dai dati raccolti si evinca un trend positivo sulla progressiva attuazione della disciplina in tema di qualificazione delle stazioni appaltanti, è emersa, in particolare, anche a seguito delle interlocuzioni in argomento avviate in sede europea, l’esigenza di configurare la qualificazione come un sistema “aperto” (i.e. che consenta anche alle stazioni appaltanti che in prima istanza non abbiano conseguito la qualificazione di intraprendere comunque un percorso di professionalizzazione), dando, fra l’altro, concreta attuazione anche alle disposizioni che, a decorrere dal 1° gennaio 2025, prevedono l’obbligatorietà della qualificazione anche per la fase dell’esecuzione del contratto.
Sul punto, si evidenzia che lo Stato italiano, in sede di adozione del Piano nazionale di ripresa e resilienza, ha assunto specifici impegni con l’Unione Europea. In particolare, infatti, da un lato, la milestone “M1C1-73 bis – Riforma 1.10 – Riforma del quadro legislativo in materia di appalti pubblici e concessioni” prescrive l’adozione di orientamenti sull’attuazione del sistema di qualificazione per il codice dei contratti pubblici delle stazioni appaltanti, e, dall’altro lato, la milestone “M1C1-73 ter – Riforma 1.10 – Riforma del quadro legislativo in materia di appalti pubblici e concessioni” prevede l’introduzione di incentivi alla qualificazione e professionalizzazione delle stazioni appaltanti.
Alla luce di quanto rappresentato, pertanto, in primo luogo, con le proposte di modifica apportate, si è inteso introdurre una serie di incentivi a favore delle stazioni appaltanti che non hanno conseguito, in prima istanza, la qualificazione e, dall’altro, si sono introdotti dei requisiti flessibili per la qualificazione relativa alla fase di esecuzione, al fine di conciliare, da un lato l’esigenza di garantire al personale impiegato negli appalti pubblici una adeguata formazione di settore, comprensiva dell’utilizzo di metodi e sistemi di gestione digitale delle costruzioni, e, dall’altro lato, l’interesse a prevenire stalli di sistema nell’esecuzione.
Infine, si rappresenta che, in tale ambito di azione, si è intervenuti anche con l’intento di incentivare e migliorare l’attività di formazione, nonché ampliare il più possibile l’offerta formativa. A tal fine, fra gli interventi previsti, si è introdotta espressamente la possibilità di erogare i corsi di formazione, finalizzati a migliorare la professionalizzazione delle stazioni appaltanti, anche da parte di soggetti privati aventi scopo di lucro, così da riconoscere e valorizzare una prassi già ampiamente in uso presso le stazioni appaltanti (soprattutto) territoriali.
3.5. Revisione prezzi
Ulteriore area tematica che è stata una delle principali linee di intervento del decreto in commento è la disciplina relativa all’applicazione delle clausole di revisione dei prezzi, introdotte ai sensi dell’articolo 60 del codice, oggetto, peraltro, di studio e concertazione con tutti gli operatori del settore, grazie all’istituzione di un apposito Tavolo tecnico costituito presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, che ha organizzato i propri lavori, strutturandosi in due sub-componenti (quella alla quale hanno partecipato gli stakeholders operanti nel settore degli appalti di lavori e quella alla quale hanno partecipato gli stakeholders operanti nel settore degli appalti di servizi e forniture)
Grazie all’ampio dibattito scaturito in seno a predetto Tavolo tecnico, incentratosi soprattutto sulla individuazione di nuovi indici sintetici grazie ai quali commisurare e parametrare l’incremento dell’importo contrattuale, nonché sul dies a quo a partire dal quale calcolare la variazione (in aumento o in diminuzione) dello stesso contratto, si è inteso confermare il sistema delineato dal Codice, garantendo, tuttavia, una piena attuazione del medesimo attraverso criteri di calcolo di agevole implementazione, grazie al ruolo determinante di ISTAT.
In risposta a tali esigenze, sono state pertanto apportate delle modifiche all’articolo 60 ed è stato introdotto un nuovo Allegato II.2-bis disciplinante le modalità di attuazione delle clausole revisionali (sul punto si veda amplius infra nei paragrafi dedicati all’illustrazione di ciascuna disposizione).
3.6. Consorzi.
All’interno dei dieci temi prioritari rientra anche la disciplina dei consorzi, atteso il gran numero di contributi presentati dagli stakeholders che, in sede di consultazione, hanno evidenziato diverse criticità interpretative applicative dell’istituto.
Nel dettaglio, così come emerso dalla consultazione, sono stati richiesti dei chiarimenti in merito al c.d. “cumulo alla rinfusa”, quale criterio di possesso e comprova dei requisiti previsti per l’ammissione alle procedure di affidamento da parte dei consorzi stabili, nonché sono stati evidenziati dei disallineamenti e delle incertezze riguardo l’applicazione dell’articolo 67 circa la attestazione dei requisiti generali e speciali da parte di consorzi e consorziate, anche in sede di presentazione delle offerte, con specifico riguardo ai consorzi di cooperative e di artigiani.
Infine, sono state rappresentate incertezze interpretative e applicative in ordine alla permanenza del divieto alla medesima impresa di partecipare a più di un consorzio stabile.
Le modifiche proposte mirano a risolvere le predette criticità, recependo i prevalenti orientamenti giurisprudenziali in materia, nonché le indicazioni fornite al riguardo da ANAC.
In particolare, in adesione alla prevalente giurisprudenza in argomento (ex multis, Cons. di Stato, sez. V, 29 /09/2023, n. 8592), si è previsto che i consorzi stabili possano avvalersi dei requisiti maturati dalle singole consorziate, esecutrici e non, al fine di partecipare alle procedure di affidamento di lavori, servizi e forniture e di conseguire l’attestazione di qualificazione.
Al fine di introdurre una ulteriore tutela a favore delle stazioni appaltanti, è stato inoltre chiarito che il possesso dei requisiti di qualificazione tramite quanto posseduto dall’impresa non designata per l’esecuzione, debba comunque essere “procedimentalizzato” e concretamente comprovato e, dunque, avvenire tramite avvalimento ex art. 104.
Inoltre, è stato esteso ai consorzi fra società cooperative di produzione e lavoro e i consorzi fra imprese artigiane, l’obbligo di indicare, in sede di offerta, per quali consorziati il consorzio concorre, in stretta aderenza con l’orientamento dell’ANAC manifestato nella Relazione illustrativa del Bando tipo n. 1/2023.
Allo stesso tempo, in linea con la giurisprudenza consolidata e a seguito dei chiarimenti contenuti nel menzionato Bando Tipo n. 1/2023, è stato altresì chiarito che, nel caso in cui la consorziata designata sia a sua volta un consorzio di cooperative o un consorzio artigiano, questo sia tenuto a indicare per quale consorziata concorre.
Infine, è stato specificato, sempre alla luce della costante giurisprudenza in materia, che l’utilizzo dei requisiti in sede di gara deve essere sempre effettivo e realmente corrispondente ad una concreta disponibilità di mezzi, attrezzature e organico.
Alla luce di tale previsione e in adesione a quanto indicato da ANAC nel comunicato del 31 gennaio 2024, è inoltre stato chiarito espressamente il divieto posto in capo alla stessa impresa di partecipare a più di un consorzio stabile. Sul punto, si evidenzia che la partecipazione a un consorzio stabile presuppone l’intenzione delle imprese consorziate di operare stabilmente in modo congiunto nel settore dei contratti pubblici per un periodo di tempo non inferiore a cinque anni, istituendo a tal fine una comune struttura di impresa. Appare quindi difficile concepire che tale vincolo (stabile, continuativo e afferente alla totalità delle risorse umane e strumentali dell’impresa), possa essere istituito in favore di più entità, senza che ciò ne pregiudichi l’effettività. Occorre considerare, del resto, che le risorse messe a disposizione del consorzio possono essere contestualmente utilizzate dalle imprese consorziate anche per partecipare alle gare in forma singola. Se a ciò si aggiungesse la possibilità, per le consorziate, di partecipare stabilmente a più di un consorzio, ne deriverebbe un aumento delle occasioni di contemporanea spendita dei medesimi requisiti di partecipazione e di qualificazione da parte di più soggetti, con grave pregiudizio per l’effettiva capacità esecutiva.
3.7. Tutela della Micro, Piccole e Medie Imprese (MPMIP)
Un ulteriore tema che si era cercato di promuovere già in sede di prima adozione del Codice è quello dell’accesso delle micro, piccolo e medie imprese al mercato dei contratti pubblici, prevedendosi in particolare all’articolo 108, comma 7, la possibilità che il bando di gara preveda criteri premiali a favore delle PMI e che tali criteri valorizzino il principio della “territorialità” per quei contratti che dipendono dal requisito della prossimità per la loro esecuzione.
Tale tematica risulta essere tutt’ora centrale e prioritaria, anche alla luce dei dati raccolti in sede di consultazione. Invero, le PMI hanno rappresentato estreme difficoltà nel presentare offerte competitive rispetto a quelle presentate dai grandi consorzi, o da altri operatori economici, che sono spesso competitivi in termini di requisiti, nonché hanno riscontrato un rilevante limite nei vincoli lavoristici posti dalla disciplina dell’articolo 11 sull’individuazione nel bando di gara di un unico contratto di lavoro, nonché nella difficoltà di accesso al mercato del credito.
Sul punto, occorre preliminarmente evidenziare che, come anticipato nei paragrafi precedenti, le modifiche apportate alla disciplina dei consorzi e in materia di tutele lavoristiche, già potrebbero potrebbero assicurare, in via trasversale, una maggior tutela per le PMI.
A questi strumenti trasversali sono stati affiancati specifici interventi rivolti alle piccole e medie imprese. Nel dettaglio, si è inteso rafforzare l’incentivo già previsto nel Codice alla suddivisione in lotti, mediante modifiche testuali, volte a chiarire che il lotto quantitativo non deve essere funzionalmente autonomo.
Inoltre, si è intervenuti in materia di subappalto prevedendo che nei contratti di subappalto si debba prevedere una quota riservata, pari al 20 per cento delle prestazioni, alle PMI. A tale previsione si può derogare solo nei casi in cui la stazione appaltante accerti l’impossibilità di applicazione di tali soglie per ragioni legate all’oggetto o alle caratteristiche delle prestazioni o al mercato di riferimento, da motivare nella delibera a contrarre;
Infine, sono state introdotte delle novità in materia di contratti “riservati”, prevendo la possibilità per le stazioni appaltanti di “riservare” la partecipazione agli affidamenti o l’esecuzione di taluni contratti, al di sotto delle soglie europee, alle piccole-medie imprese. Si tratta di una facoltà conforme al diritto europeo, che ovviamente dovrà essere valutata caso per caso dalla stazione appaltante, tenuto conto dell’oggetto e delle caratteristiche delle prestazioni, nonché del mercato di riferimento.
3.8. Fase esecutiva del contratto di appalto
Ulteriore tematica prioritaria di intervento, nell’ambito del presente testo normativo, è quella dell’esecuzione dei contratti di appalto, posto che la disciplina in materia, alla luce delle risultanze della consultazione, è stata ritenuta dagli stakeholders, nell’economia del Codice, probabilmente troppo “asciutta” e soprattutto da rendere maggiormente ricettiva dei tanti interventi giurisprudenziali intervenuti negli anni in subiecta materia.
Sul tema non si sono pertanto introdotte sostanziali innovazioni, ma solo chiarimenti, nell’ottica di risolvere criticità già note, legate ad alcune incertezze, derivanti dal costante ricorso degli operatori economici soprattutto a riserve e varianti contrattuali in corso d’opera, presentate spesso per ovviare a talune criticità della progettazione. L’auspicio e l’ottica con la quale si è dunque intervenuti in materia è quella di introdurre una normativa chiara e uniforme, tale da poter essere non solo di ausilio operativo a stazioni appaltanti e appaltatori, ma fungere anche da leva preziosa di prevenzione del costoso e numeroso contenzioso (civile).
Alla luce di quanto sopra rilevato, pertanto, si intervenuto in tre ambiti normativi.
In primo luogo, sono state rafforzate le premialità e le penali applicabili agli operatori economici rispettivamente per accelerazioni o ritardi nell’esecuzione dell’opera.
Nello specifico si prevede, da un lato, l’obbligatorietà di inserimento di criteri premiali nelle procedure di gara per gli operatori economici che, in contratti aventi oggetto analogo a quello del bando di gara eseguiti negli ultimi cinque anni, hanno ottenuto il riconoscimento di premialità (articolo 126); e, dall’altro, si prevede che l’applicazione di penali molto elevate (pari o superiori al 2 per cento del valore contrattuale) sia considerata tra le ipotesi di illecito professionale grave (articolo 98, comma 3, lettera c)).
Inoltre, sono state tipizzate le circostanze che possono consentire di adottare varianti e, di converso, si sono identificate le variazioni esecutive che non richiedono il ricorso a varianti (articolo 120 del Codice).
Un ulteriore intervento sul punto è stato quello di aver dettato una disciplina di carattere generale all’istituto dell’accordo di collaborazione, al quale, invero, nella prassi molte stazioni appaltanti hanno già fatto ricorso in via negoziale ai fini dell’esecuzione di opere complesse, con esiti positivi in termini di prevenzione dei rischi e risoluzione dei conflitti.
Si tratta nella sostanza di un accordo plurilaterale che non integra il contratto di appalto o di sub-appalto, ma viene utilizzato per regolare le interrelazioni tra i vari rapporti tra i soggetti che operano nell’esecuzione. In particolare, tale accordo viene stipulato dall’appaltatore con tutte le parti coinvolte in modo significativo nell’esecuzione del contratto (in primo luogo, subappaltatori e sub- contraenti, ma anche fornitori rilevanti), e con il coinvolgimento eventuale anche delle pubbliche amministrazioni che partecipano alla fase approvativa dell’opera, nel caso di appalti di lavori.
La ratio sottesa è quella di promuovere una responsabilizzazione di soggetti coinvolti rispetto alla corretta esecuzione dell’appalto, dal punto di vista del rispetto dei tempi di esecuzione, dei costi, nonché della verifica degli adempimenti. Inoltre, l’accordo di collaborazione può essere finalizzato anche al perseguimento di obiettivi collaterali, tra cui il coinvolgimento delle PMI nella fase dell’esecuzione, anche in relazione al criterio di prossimità, nonché la previsione di premialità e penali a carico degli operatori economici esecutori.
Sul punto, si evidenzia che l’istituto in esame rientra tra le best practices internazionali, che testimoniano come l’accordo di collaborazione favorisca il dialogo permanente tra le parti, riduca il contenzioso e promuova comportamenti virtuosi anche nella risoluzione dei problemi sorti in fase di esecuzione.
3.9. Partenariato pubblico privato
Ulteriore tema prioritario nell’ambito dell’intervento legislativo de quo, è la disciplina dell’istituto del partenariato pubblico-privato e, in particolare, della fattispecie contrattuale della finanza di progetto.
Invero, il project financing ha assunto un ruolo di crescente importanza nell’ordinamento interno, offrendo una terzia via, rispetto alla dicotomia tra finanziamento delle opere a totale carico dell’amministrazione o ricorso esclusivo al mercato, grazie all’utilizzo di forme di cofinanziamento pubblico-privato, attuate in coerenza con la capacità di programmazione di ciascun ente pubblico. In ossequio al principio costituzionale del buon andamento, le pubbliche amministrazioni sono così incentivate a identificare puntualmente le proprie esigenze e a porre le premesse per realizzare opere in grado di erogare servizi di qualità a condizioni di costo competitive per la collettività, grazie all’expertise di soggetti privati.
Ciò posto, l’istituto del project financing rientra, trasversalmente, anche all’interno degli obiettivi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e, nel dettaglio, nell’ambito delle misure per la concorrenza e della riforma del settore degli appalti e concessioni pubbliche (M1C2-11-12 Riforma 2 – Leggi annuali sulla concorrenza’ sia della ‘M1C1-73-quinquies Riforma 1.10).
Per quanto concerne, specificamente, l’attuazione della predetta milestone ‘M1C1-73- quinquies Riforma 1.10’, con le nuove disposizioni, si è voluto rimodulare l’istituto del project financing nell’ottica di incrementare l’efficienza degli affidamenti e promuovere la contendibilità delle concessioni, assolvendo, per esempio, all’impegno assunto di rimodulare l’operatività della prevista “clausola di prelazione” per evitare che possa essere utilizzata in funzione anti concorrenziale.
A questo impegno, si è tuttavia affiancata anche l’opportunità di rivedere puntualmente la stessa procedura di svolgimento del project financing, al fine di promuovere piena trasparenza in merito alle proposte presentate su iniziativa privata, favorendo la più ampia partecipazione degli operatori economici alle procedure di gara, nonché di consentire agli enti concedenti di verificare appieno la fattibilità della proposta, anche in relazione all’affidabilità del proponente (la finanza di progetto è infatti una procedura fondata su una complessa interazione pubblico-privato che per il suo successo dipende anche dalla solidità dell’operatore economico prescelto). A ciò si aggiunge la necessità di semplificare i documenti progettuali richiesti agli operatori economici ai fini della partecipazione della procedura (per evitare che tale partecipazione diventi troppo onerosa per il privato) e l’esigenza di favorire una approvazione “anticipata” del progetto di fattibilità tecnico- economica (per evitare che, dopo la selezione del contraente, il progetto subisca variazioni sostanziali che rischiano di alimentare il contenzioso)
In sede di consultazione è emersa anche la necessità di disciplinare puntualmente l’ipotesi di una procedura di affidamento della finanza di progetto ad iniziativa pubblica, che, altrimenti, nell’attuale formulazione del Codice rischierebbe, infatti di non essere adeguatamente valorizzata.
Si anticipa, inoltre, (ma sul punto si veda amplius infra, cfr. quanto illustrato in relazione all’articolo 193 e ss.), che anche alla luce dei rilievi sollevati dalla Commissione europea con la procedura d’infrazione INFR (2018)2273. “Non conformità del diritto italiano alle Direttive 2014/23/EU, 2014/24/EU and 2014/25/EU, e agli articoli 49 e 56, TFUE”, sono state introdotte specifiche disposizioni per assicurare la trasparenza e la pubblicità durante la procedura di selezione delle proposte relative al progetto di fattibilità.
Per conciliare le esigenze in esame, si è ritenuto pertanto opportuno rimodulare l’istituto, ponendo, in primo luogo, la distinzione tra le procedure di finanza di progetto a iniziativa privata e a iniziativa pubblica.
Inoltre, si è ritenuto opportuno disciplinare espressamente anche una prassi che si è andata consolidando, rinvenibile nei casi in cui l’operatore economico presenti all’ente concedente una preliminare manifestazione di interesse, corredata dalla richiesta di informazioni e dati necessari per la predisposizione della proposta.
In tali casi, al fine di assicurare il rispetto del principio di trasparenza, si è previsto che, qualora l’ente concedente comunichi all’operatore economico la sussistenza di un interesse pubblico all’elaborazione della proposta, è necessario che vengano trasmessi i dati e le informazioni richiesti, dandone adeguata comunicazione nella sezione «Amministrazione trasparente».
Resta ovviamente esclusa dal vincolo di trasparenza l’ipotesi di una manifestazione di interesse a cui l’ente concedente non intenda fornire un riscontro positivo, in quanto attinente ad un progetto ritenuto non prioritario o attuale dall’amministrazione o per il quale non sono disponibili elementi di valutazione.
Dopo la fase eventuale della manifestazione d’interesse, la procedura, conformemente a quanto sopra rilevato, dovrà opportunamente differenziarsi a seconda che l’iniziativa sia pubblica o privata.
Per quanto concerne la finanza di progetto ad iniziativa privata (la quale può essere attivata anche nei casi in cui la proposta non sia inclusa all’interno della programmazione del partenariato pubblico-privato), la nuova disciplina prevede dei meccanismi volti ad assicurare la concorrenza e il rispetto dei principi di trasparenza e pubblicità, attraverso una chiara procedimentalizzazione sia della fase di valutazione delle proposte sia della fase dell’affidamento.
In particolare, si individuano due differenti fasi: nella prima, anche se l’iniziativa è promossa da un unico promotore, l’ente concedente assegna un termine per la presentazione di proposte da parte di altri operatori economici. Individuate la proposta o le proposte di interesse pubblico, le sottopone a valutazione di fattibilità, con eventuale convocazione di una conferenza di servizi preliminare, e, infine, individua la proposta da sottoporre a gara.
In tale fase, l’ente concedente esamina uno o più progetti di fattibilità semplificati, che solo dopo l’individuazione della proposta più corrispondente ai fabbisogni dell’ente verrà trasformato dall’operatore prescelto in un progetto di fattibilità tecnico-economica, il quale sarà poi soggetto ad approvazione. Sul punto, si evidenzia che è stato introdotto un articolo aggiuntivo all’Allegato I.7, volto a disciplinare il contenuto del progetto di fattibilità che deve essere presentato a corredo della proposta presentata dall’operatore economico.
In seconda fase successiva, l’ente concedente porrà a base di gara il progetto di fattibilità tecnico-economico selezionato, riconoscendo il diritto di prelazione all’operatore che ha proposto quel progetto. Nell’ipotesi, invece, di finanza di progetto su iniziativa pubblica, spetta all’ente concedente – anche sulla base di preventive manifestazioni di interesse – redigere un progetto di fattibilità, che viene posto a base di gara per la selezione dell’operatore economico chiamato a completare la progettazione, a fornire parte del capitale, e a realizzare il progetto.
La nuova disciplina, così illustrata in sintesi, mira dunque a rendere effettivamente applicabile l’istituto della finanza di progetto, fornendo agli enti concedenti e agli operatori economici un quadro normativo chiaro ed esaustivo per l’applicazione dell’istituto.
Nel complesso, l’individuazione di due diverse procedure e la procedimentalizzazione di tutte le fasi della finanza di progetto ad iniziativa privata (e pubblica) consentirà di adeguare, con più facilità, le procedure alla tipologia di intervento da realizzare e garantire massima trasparenza su tutte le fasi della procedura, dalla preliminare manifestazione di interesse fino all’aggiudicazione finale.
3.10. Collegi Consultivi Tecnici (CCT)
Ulteriore (ed ultimo) ambito normativo di intervento prioritario è quello relativo alla disciplina dei collegi consultivi tecnici (CCT).
Si tratta di un istituto di grande importanza per la prevenzione e riduzione del contenzioso, in riferimento al quale, in sede di consultazione, sono emerse incertezze applicative relative al perimetro della sua attività, nonché sui relativi presupposti di istituzione, attivazione e modalità operative. Inoltre, si sono riscontrate richieste di chiarimento in merito alla natura giuridica delle determinazioni del CCT in relazione alla possibile esperibilità del c.d. accordo bonario nonché ai i limiti temporali della sua operatività e alle modalità di calcolo e computo dei compensi spettanti ai componenti del collegio.
Per risolvere le criticità evidenziate e proporre soluzioni concrete alle stazioni appaltanti e agli operatori economici, è stato costituito un gruppo di lavoro presso il Ministero delle infrastrutture e trasporti, coadiuvato dal Consiglio superiore dei lavori pubblici, dove era già operante l’Osservatorio sull’attività dei CCT.
Pertanto, alla luce della centralità dell’istituto e delle numerose osservazioni ricevute in sede di confronto con gli operatori del settore, grazie all’ausilio tecnico del predetto Tavolo, sono state apportate modifiche puntuali alla disciplina del Codice, nonché all’Allegato V.2, recante le modalità di costituzione del collegio consultivo tecnico.
Nel dettaglio, le modifiche introdotte sono state finalizzate a definire l’applicazione dell’istituto obbligatorio dei CCT rendendolo obbligatorio per i contratti di lavori (compresi quelli realizzati tramite concessione e PPP) superiori alla soglia di rilevanza comunitaria, con conseguente esclusione dal suo ambito applicativo dei contratti di forniture e servizi, in relazione ai quali l’attivazione del CCT è rimessa alla esclusiva volontà delle parti. Inoltre, si è chiarito l’ambito operativo delle pronunce e la fase procedimentale in cui il Collegio debba ritenersi sciolto.
Infine, per assicurare certezza nei rapporti giuridici, è stata colmata una lacuna in merito alla mancata definizione del regime transitorio applicabile, anche in ordine alle disposizioni dell’Allegato V.2.
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Sotto il profilo della semplificazione normativa, la scelta del decreto legislativo in esame è quella di ricomprendere in esso anche le modifiche agli allegati al codice che, pertanto, non risultano ancora delegificati.
È stata, pertanto, valutata l’esigenza di intervenire anche su alcune disposizioni degli allegati (il caso più emblematico è quello della qualificazione delle stazioni appaltanti) per recepire entro il 31 dicembre gli impegni assunti con il PNRR rispetto alle riforme di settore.
Ad ogni modo, e a prescindere dall’attuazione del PNRR, si è ritenuto che un correttivo che si limitasse ad intervenire solo sull’articolato rischierebbe di ingenerare criticità in termini di disallineamento con le norme di pari rango tuttora incluse negli allegati, vanificando, peraltro, l’occasione di dare attuazione – proprio attraverso gli allegati – ad istituti e disposizioni del Codice che, ad oggi, in assenza di una disciplina attuativa, rischierebbero di restare inattuati.
Anche a questo proposito, si ritiene che la contestualità dell’intervento riferito alle disposizioni del Codice e ai suoi Allegati sia funzionale alle esigenze di chiarezza e piena attuazione poste dagli operatori di settore.
Alla luce di quanto sopra rappresentato, non è stato ritenuto possibile anticipare in tale contesto il procedimento di delegificazione degli allegati previsto dal codice, in quanto la revisione (ad opera del correttivo) degli allegati è consequenziale nella maggior parte dei casi a novelle apportate al relativo articolato del codice.
In un’ottica di semplificazione ed al fine di rispondere alle esigenze degli operatori di settore, si è valutata, invece, l’opzione di dare ingresso ad uno o più regolamenti da adottarsi ai sensi dell’articolo 17, commi 1 e 3 della legge 23 agosto 1988, n. 400, che – nel rispetto delle procedure già previste a normativa vigente – possano “ospitare”, anche cumulativamente, il contenuto degli allegati per i quali il codice prevede la delegificazione in seconda istanza e a regime.
Ciò al fine di rispondere all’esigenza di evitare un groviglio normativo, con una disciplina attuativa contenuta in modo disorganico e non armonizzato nelle varie fonti normative di secondo livello, che non avrebbe consentito una facile applicazione delle procedure da parte delle stazioni appaltanti, soprattutto in occasione della realizzazione di progetti con scadenze ravvicinate.
L’eccessiva regolamentazione avrebbe rischiato, poi, di dilatare i tempi di gara e di favorire un notevole contenzioso soprattutto in considerazione del fatto che, alla complessità normativa, si accompagna sovente l’estrema frammentazione dell’assetto istituzionale: il sistema degli appalti è governato, infatti, da una pluralità di attori a livello centrale, regionale e settoriale, con compiti e funzioni che necessitano di essere chiaramente individuati e per i quali si impone, nell’ottica dell’efficienza, che gli stessi agiscano sulla base di un efficace coordinamento istituzionale.
Si rinvia, sul punto, a quanto si dirà nel prosieguo con riferimento all’inserimento del nuovo articolo 226-bis nel codice e al conseguente coordinamento.
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Lo schema di decreto si compone di 87 articoli utilizzando, come richiesto dalla tecnica normativa, la tecnica della novella.
Alla presente relazione, peraltro, per consentire una più agevole consultazione, è allegato anche un testo coordinato quale risultante dall’inserimento di ciascuna modifica.
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