Archivi tag: controllo giudiziario

Adunanza Plenaria su controllo giudiziario ed impugnazione dell’ informativa antimafia interdittiva

Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 13.02.2023 n. 8

1. L’ordinanza di rimessione della Terza Sezione ha premesso che il «sistema ‘tradizionale’ delle misure interdittive patrimoniali» nei confronti delle imprese infiltrate da organizzazioni di stampo mafioso si è di recente arricchito «di ulteriori misure, volte a graduare – a seconda dei casi – la loro incidenza sullo svolgimento e sulla gestione delle attività economiche, anche consentendone la prosecuzione da parte dell’impresa destinataria della misura».
Tra queste ultime è compreso il controllo giudiziario, che nella versione prevista dall’art. 34-bis, comma 6, del codice delle leggi antimafia e delle misure di sicurezza – approvato con il decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 – può essere chiesto dalle «imprese destinatarie di informazione antimafia interdittiva ai sensi dell’articolo 84, comma 4, che abbiano proposto l’impugnazione del relativo provvedimento del prefetto», quando ai sensi del comma 1 l’agevolazione di soggetti indiziati di appartenere ad organizzazioni di stampo mafioso «risulta occasionale».

2. L’ordinanza ha sottolineato che il controllo giudiziario persegue l’obiettivo di «‘decontaminare’ le attività imprenditoriali sostanzialmente sane (o non del tutto compromesse) e restituirle al libero mercato, una volta depurate dagli agenti inquinanti, in un’ottica conservativa», in un sistema informato al «principio di progressività delle misure di prevenzione, che si intensifica o si riduce in misura proporzionale al “bisogno di prevenzione” dell’operatore economico».
Quindi, l’ordinanza ha dato atto che all’indomani dell’introduzione dell’istituto del controllo giudiziario «si è formata una variegata prassi con la quale si è posto in discussione il potere-dovere del giudice amministrativo di decidere i ricorsi (e gli appelli)» contro l’interdittiva antimafia, quando l’impresa «abbia chiesto ed ottenuto dal Tribunale di prevenzione la misura del controllo giudiziario».

3. L’ordinanza ha precisato che il dubbio si è posto in ragione degli effetti sospensivi derivanti dall’ammissione al controllo giudiziario, previsti dall’art. 34-bis, comma 7, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, secondo cui «(i)l provvedimento che dispone (…) il controllo giudiziario ai sensi del presente articolo sospende il termine di cui all’articolo 92, comma 2, nonché gli effetti di cui all’articolo 94», e cioè il termine di trenta giorni dalla consultazione della banca dati nazionale unica per il rilascio dell’informazione antimafia ed inoltre l’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione.
Al riguardo, la III Sezione ha rilevato che presso la giurisprudenza amministrativa si è affermato un orientamento secondo cui – per consentire di portare a conclusione il controllo giudiziario disposto dal Tribunale della prevenzione penale – «occorrerebbe la pendenza del giudizio amministrativo»; non solo, quindi, al momento in cui l’impresa formula la domanda di ammissione al Tribunale della prevenzione penale, ai sensi del citato art. 34-bis, comma 6, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, ma per tutta la durata della procedura, fissata dal medesimo Tribunale.
Per questo orientamento, l’ammissione dell’impresa al controllo giudiziario costituirebbe «una causa necessaria di sospensione impropria del giudizio amministrativo» e, in alternativa, «andrebbe disposto il rinvio dell’udienza di discussione (se fissata) in tempi coordinati con quelli della misura preventiva».
L’ordinanza ha aggiunto che queste due posizioni si sono basate sulla tesi della «‘pregiudizialità processuale’, nel senso che – poiché l’impresa può chiedere il controllo giudiziario solo se ha impugnato l’interdittiva – allora ne deriverebbe che gli effetti del controllo giudiziario presupporrebbero la pendenza del giudizio amministrativo».
L’ordinanza ha rilevato inoltre che – sulla base di presupposti diversi, ed in particolare poiché sarebbe configurabile l’acquiescenza all’interdittiva quando l’impresa chiede l’ammissione al controllo giudiziario – per un altro orientamento giurisprudenziale il provvedimento del Tribunale di prevenzione di accoglimento dell’istanza determinerebbe «l’improcedibilità del ricorso al giudice amministrativo e l’estinzione dell’interesse alla sua decisione anche ai fini meramente risarcitori».

4. Nessuna di queste posizioni è tuttavia condivisa dall’ordinanza di rimessione, che invece aderisce alla tesi «della autonomia dei procedimenti», espressa dalla stessa III Sezione di questo Consiglio di Stato con la sentenza del 19 maggio 2022, n. 3973, secondo cui la connessione ricavabile dall’art. 34-bis, comma 6, del codice tra il giudizio impugnatorio e il controllo giudiziario a domanda opera «esclusivamente (nel) momento genetico-applicativo di quest’ultim(o), senza espressamente condizionarne la vigenza alla perdurante pendenza del primo».

5. Tutto ciò premesso, ritiene l’Adunanza Plenaria che, sulla base delle disposizioni vigenti, vada affermata la tesi dell’autonomia dei procedimenti e che l’ammissione al controllo giudiziario – a domanda dell’impresa destinataria di un’interdittiva antimafia – non impedisce che vada definito senza ritardo il giudizio amministrativo di impugnazione contro quest’ultima.

6. Non possono all’opposto essere condivise né la tesi della «pregiudizialità processuale» tra il giudizio di impugnazione dell’interdittiva antimafia e il procedimento di controllo giudiziario, per cui «gli effetti del controllo giudiziario presupporrebbero la pendenza del giudizio amministrativo», né tanto meno la tesi dell’acquiescenza.

7. La prima tesi postula che il giudizio di impugnazione contro l’interdittiva antimafia dovrebbe essere ancora pendente non solo quando l’impresa domanda al Tribunale della prevenzione penale di essere sottoposta al controllo giudiziario, come prevede testualmente il più volte citato art. 34-bis, comma 6, del codice, ma per tutta la durata di quest’ultimo.
Sennonché, la tesi in questione:
– innanzitutto non ha base testuale, come sottolinea l’ordinanza di rimessione, posto che la disposizione da ultimo richiamata si limita a prevedere che – quando chiede di essere sottoposta al controllo giudiziario – l’impresa interessata abbia impugnato l’interdittiva, ma non anche che il giudizio di impugnazione penda per tutta la durata del controllo;
– non è nemmeno imposta da ragioni di ordine sistematico, dal momento che, come ha ben rilevato l’ordinanza di rimessione, l’interdittiva svolge la sua funzione preventiva rispetto alla penetrazione nell’economia delle organizzazioni di stampo mafioso di tipo “statico”, e cioè sulla base di accertamenti di competenza dell’autorità prefettizia rivolti al passato;
– a quest’ultimo riguardo, nel condividere la funzione preventiva del sistema di informazione antimafia del codice di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, il controllo giudiziario persegue anche finalità di carattere “dinamico” di risanamento dell’impresa interessata dal fenomeno mafioso e quindi, secondo l’orientamento della giurisprudenza di legittimità in materia, oltre al presupposto dell’occasionalità dell’agevolazione mafiosa previsto dall’art. 34-bis, comma 6, del medesimo codice, richiede una prognosi favorevole del Tribunale della prevenzione penale sul superamento della situazione che ha in origine dato luogo all’interdittiva.

8. Nondimeno, quand’anche quest’ultima non sia annullata all’esito del giudizio di impugnazione devoluto al giudice amministrativo, e dunque si accerti in chiave retrospettiva l’esistenza di infiltrazioni mafiose nell’impresa, non per questo può ritenersi venuta meno l’esigenza di risanare la stessa.
Al contrario, questa esigenza si pone in massimo grado una volta accertata in via definitiva che l’impresa è permeabile al fenomeno mafioso.

9. Conferma di quanto ora considerato si trae proprio dall’art. 34-bis, comma 7, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159.
In primis, rileva la regola della sospensione degli effetti della incapacità a contrattare, derivanti dall’interdittiva antimafia.
Essa è strumentale al buon fine del controllo giudiziario, nel senso di consentire all’impresa ad esso (volontariamente) sottoposta di continuare ad operare, nella prospettiva finale del superamento della situazione sulla cui base è stata emessa l’interdittiva.
Nella medesima direzione si pone la sospensione del termine fissato dall’art. 92, comma 2, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, per gli adempimenti prodromici al rilascio dell’informazione antimafia.
L’effetto in questione si giustifica per il venir meno dell’esigenza facente capo all’autorità prefettizia di verificare l’esistenza di tentativi di infiltrazione fintantoché pende il controllo giudiziario, a tale finalità preventiva ugualmente preposto.

10. Nessuno degli effetti previsti dall’art. 34-bis, comma 7, presuppone tuttavia che il giudizio sull’interdittiva rimanga pendente.
Come in precedenza accennato, tali effetti sono del tutto compatibili con la conseguita inoppugnabilità di quest’ultima all’esito del rigetto della relativa impugnazione.
Una volta accertata l’esistenza di infiltrazioni mafiose, quand’anche in via definitiva, si permette nondimeno all’impresa di risanarsi, sotto il controllo dell’autorità giudiziaria penale.

11. Il controllo giudiziario sopravviene ad una situazione di condizionamento mafioso in funzione del suo superamento ed al fine di evitare la definitiva espulsione dal mercato dell’impresa permeata dalle organizzazioni malavitose.
A questo specifico riguardo, da un lato il rapporto di successione tra i due istituti si coglie con immediatezza laddove il condizionamento mafioso non possa ritenersi definitivamente accertato, pendente la contestazione mossa in sede giurisdizionale contro la ricostruzione dell’autorità prefettizia, dall’altro la medesima vicenda successoria di istituti non è comunque impedita quando il condizionamento possa invece ritenersi accertato con effetto di giudicato, con il rigetto dell’impugnazione contro l’interdittiva.
Depone in questo senso – oltre al dato testale della legge, già di per sé decisivo – proprio la funzione risanatrice del controllo giudiziario, la quale muove dal presupposto accertato dal Prefetto in sede di informazione antimafia, ma si basa su un’autonoma valutazione prognostica del Tribunale della prevenzione penale che si propone di pervenire al suo superamento, quando il grado di condizionamento mafioso non sia considerato a ciò impeditivo.

12. Indicazioni in questo senso sono peraltro ritraibili dalla giurisprudenza della Cassazione penale.
Va richiamata innanzitutto la sentenza della Cassazione, Sezioni Unite penali, 19 novembre 2019, n. 46898, che – nel riconoscere l’appellabilità del diniego di ammissione al controllo giudiziario pronunciato dal Tribunale della prevenzione penale – ha affermato che quest’ultimo istituto costituisce una «risposta alternativa da parte del legislatore: perché alternativa è la finalità di queste, volte non alla recisione del rapporto col proprietario ma al recupero della realtà aziendale alla libera concorrenza, a seguito di un percorso emendativo», contraddistinta dal presupposto dell’«occasionalità della agevolazione dei soggetti pericolosi» e dalla valutazione prognostica incentrata «sulle concrete possibilità che la singola realtà aziendale ha o meno di compiere fruttuosamente il cammino verso il riallineamento con il contesto economico sano», sulla base del ‘controllo prescrittivo’ del Tribunale della prevenzione penale.

13. Nella medesima direzione si pone la più recente giurisprudenza di legittimità, che ha giudicato illegittimo il diniego di ammissione al controllo giudiziario chiesto sulla base della domanda di aggiornamento ex art. 91, comma 5, del codice, di un’impresa raggiunta da un’interdittiva ormai divenuta inoppugnabile (Cass. pen., I, 10 novembre 2022, n. 42646).
A fondamento della propria decisione, la Corte di Cassazione ha tra l’altro statuito che la definitività di quest’ultima «non determina (…) la stabilità ed intangibilità dell’interdizione precludendo sine die all’azienda di contrattare con l’Amministrazione» e che, al contrario, l’impedimento a richiedere il controllo giudiziario si pone in contrasto con la «natura necessariamente provvisoria e temporanea all’informativa».

14. Come esattamente osservato dall’ordinanza di rimessione, dall’esame della giurisprudenza della Cassazione non emerge una ricostruzione del rapporto tra l’interdittiva e il controllo giudiziario volontario in termini di pregiudizialità-dipendenza di intensità maggiore rispetto alla connessione genetica ricavabile dal più volte richiamato art. 34-bis, comma 6, del codice delle leggi antimafia e delle misure di sicurezza.
Come infatti precisato dalle Sezioni unite penali nella sopra citata sentenza 19 novembre 2019, n. 46898, la connessione tra i due istituti si manifesta in relazione al «grado di assoggettamento dell’attività economica alle descritte condizioni di intimidazione mafiosa e la attitudine di esse alla agevolazione di persone pericolose pure indicate nelle fattispecie».
A differenza di quanto avviene ai fini dell’informazione antimafia, ai sensi dell’art. 34-bis del codice di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, l’agevolazione mafiosa deve essere «occasionale», per cui in difetto di questo requisito l’impresa non dovrebbe essere ammessa al controllo giudiziario.
In ogni caso, nella prospettiva di risanamento perseguita dal controllo giudiziario, con particolare riguardo al controllo c.d. volontario di cui al comma 6 del medesimo art. 34-bis, la Corte di Cassazione afferma che la peculiarità dell’accertamento del giudice penale, necessariamente successivo al provvedimento prefettizio, «sta però nel fatto che il fuoco della attenzione e quindi del risultato di analisi deve essere posto non solo su tale pre-requisito, quanto piuttosto, valorizzando le caratteristiche strutturali del presupposto verificato, sulle concrete possibilità che la singola realtà aziendale ha o meno di compiere fruttuosamente il cammino verso il riallineamento con il contesto economico sano, anche avvalendosi dei controlli e delle sollecitazioni (nel caso della amministrazione, anche vere intromissioni) che il giudice delegato può rivolgere nel guidare la impresa infiltrata».
In questa direzione si è ulteriormente precisato che la valutazione sull’esistenza di «un’infiltrazione connotata da occasionalità non sia finalizzata all’acquisizione di un dato statico – consistente nella cristallizzazione della realtà preesistente: una mera fotografia del passato – bensì alla argomentata formulazione di un giudizio prognostico circa l’emendabilità della situazione rilevata, connotata da condizionamento e/o agevolazione di soggetti o associazioni criminali, mediante l’intera gamma degli strumenti previsti dall’art. 34-bis» (così Cass. pen., VI, 14 gennaio 2021, n. 1590).

15. Dalla ricognizione giurisprudenziale ora svolta, non è quindi possibile trarre conferma dell’esistenza di un rapporto di pregiudizialità processuale tra il giudizio di impugnazione dell’interdittiva antimafia e il controllo giudiziario ulteriore a quello previsto al momento genetico dall’art. 34-bis, comma 6, del codice delle leggi antimafia e delle misure di sicurezza.
Come in precedenza esposto, la tesi estensiva prospettata da parte della giurisprudenza – secondo cui la pregiudizialità opererebbe fino alla definizione della procedura di cui alla disposizione da ultimo citata – innanzitutto non si basa su una disposizione di legge (rilevando il principio di legalità) e, in secondo luogo, non è imposta da ragioni di ordine logico-sistematico.

16. L’espediente della sospensione del giudizio di impugnazione contro l’interdittiva prefettizia giungerebbe inoltre a snaturare la funzione tipica del processo, da ‘strumento di tutela’ delle situazioni giuridiche soggettive ed attuazione della legge, a mero ‘strumento per l’attivazione di ulteriori mezzi di tutela’.
Inoltre, verrebbe alterata la funzione della sospensione del processo.
Da strumento preventivo rispetto al rischio di contrasto di giudicati, secondo una logica interna all’ordinamento processuale basata sulla sua unitarietà e sul principio di non contraddizione, la sospensione del giudizio di impugnazione dell’interdittiva antimafia per tutta la durata del controllo giudiziario porrebbe impropriamente a carico del processo, contraddistinto dall’autonomia dell’azione rispetto alla situazione sostanziale che con essa si vuole tutelare, la realizzazione di obiettivi di politica legislativa, esorbitanti dai compiti del giudice, nella sua soggezione alla legge (art. 101, secondo comma, Cost.).

17. Si determinerebbe così un’applicazione dell’istituto eccedente il presupposto della pregiudizialità-dipendenza previsto dall’art. 295 del cod. proc. civ., da considerarsi tassativo nella misura in cui la sospensione si determina una potenziale lesione del principio di ordine costituzionale della ragionevole durata del processo (oggi sancito per il processo amministrativo dall’art. 2, comma 2, del cod. proc. amm.), tale per cui essa viene disposta in ogni caso e solo quando il giudice davanti cui è stata proposta una domanda o un altro giudice «deve risolvere una controversia, dalla cui definizione dipende la decisione della causa».
Nessun rapporto di pregiudizialità-dipendenza è quindi ravvisabile tra il giudizio di impugnazione dell’interdittiva antimafia e il controllo giudiziario, al di là di quello individuabile in sede di verifica dei presupposti di quest’ultimo. Ad esso segue tuttavia un’attività di carattere prescrittivo e gestorio orientata al risanamento dell’impresa indifferente all’esito del giudizio sulla legittimità dell’interdittiva, in ragione degli effetti sospensivi previsti dal più volte richiamato art. 34-bis, comma 7, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159.

18. La condivisione della tesi della sospensione necessaria comporterebbe un’aporia sul piano logico, nella misura in cui essa si basa sull’esigenza di impedire non già decisioni contrastanti, ma una decisione di carattere eventualmente sfavorevole sull’impugnazione contro l’interdittiva, che si suppone – in assenza di un presupposto normativo – possa vanificare obiettivi di risanamento dell’impresa infiltrata dal fenomeno mafioso.
La sospensione viene dunque argomentata secundum eventum litis, posto che una decisione di accoglimento del ricorso contro l’interdittiva avrebbe in sé l’effetto di riportare l’impresa alla piena e libera concorrenza, sulla base dell’accertamento che essa non è stata mai interessata da fenomeni di inquinamento mafioso.
Nella descritta prospettiva la sospensione del processo finisce dunque per essere intesa come rimedio rispetto a potenziali decisioni sfavorevoli.
Non sussistono, dunque, i presupposti previsti dell’art. 295 del cod. proc. civ., più volte richiamato.

19. A conferma delle considerazioni finora svolte, va sottolineato che l’interesse alla definizione del giudizio avverso l’interdittiva è talvolta dichiarato dalla parte ricorrente in primo grado, che ne chiede per di più la sospensione degli effetti in sede cautelare.

20. L’esigenza di correlare la durata del giudizio di impugnazione contro l’interdittiva alla durata del controllo giudiziario non assurge a presupposto dell’istituto previsto dalla disposizione da ultimo menzionata. Tuttavia, tutte le circostanze del caso potranno essere valutate dal giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 73, comma 1-bis, del cod. proc. amm.

21. Ribadita l’autonomia degli accertamenti di competenza del Tribunale della prevenzione penale rispetto a quelli svolti dall’autorità prefettizia in sede di rilascio delle informazioni antimafia, deve a fortiori escludersi la tesi dell’acquiescenza derivante dalla domanda ai sensi della disposizione ora richiamata da parte dell’impresa destinataria dell’interdittiva.

22. In conclusione, sul quesito posto dall’ordinanza di rimessione va affermato il seguente principio di diritto: “la pendenza del controllo giudiziario a domanda ex art. 34-bis, comma 6, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, non è causa di sospensione del giudizio di impugnazione contro l’informazione antimafia interdittiva”.
La causa per il resto va restituita alla Sezione rimettente, ai sensi dell’art. 99, comma 4, del cod. proc. amm., che dovrà provvedere anche sulle spese di lite, ivi compresa la fase davanti a questa Adunanza Plenaria.

Riferimenti normativi:

art. 80 d.lgs. n. 50/2016

Principio di continuità nel possesso dei requisiti di partecipazione alla luce del Codice antimafia : effetti dell’ interdittiva antimafia e controllo giudiziario

Consiglio di Stato, sez. V, 06.10.2022 n. 8558

20.1. La questione all’esame del Collegio è se l’ammissione al controllo giudiziario ex art. 34-bis, comma 7, del Codice antimafia, intervenuta nel corso della procedura di gara dell’appalto, vada intesa esclusivamente come rimedio volto a consentire all’impresa che ne beneficia di partecipare alle procedure d’appalto successivamente indette, oppure se la stessa consenta all’operatore economico di ripristinare la regolarità della propria partecipazione alla gara, intervenendo come effetto sanante retroattivo, tale da porre nel nulla la causa di esclusione derivata dall’essere stato tale operatore destinatario di una interdittiva antimafia emessa in fase di gara.

20.2. Secondo l’indirizzo consolidato della giurisprudenza amministrativa, l’interdittiva antimafia è una misura avente natura cautelare, con funzione di massima anticipazione della soglia di prevenzione, che non richiede la necessaria prova di un fatto, ma solo la presenza di una serie di indizi in base ai quali sia plausibile ritenere la sussistenza di un collegamento con organizzazioni mafiose o di un possibile condizionamento da parte di queste. Pertanto, ai fini della sua adozione, da un lato, occorre non già provare l’infiltrazione mafiosa, bensì soltanto la sussistenza di elementi sintomatici- presuntivi dai quali – secondo un giudizio prognostico latamente discrezionale – sia deducibile il pericolo di ingerenza da parte della criminalità organizzata; dall’altro, detti elementi vanno considerati in modo unitario, e non atomistico, cosicché ciascuno di essi acquisti valenza nella sua connessione con gli altri (cfr. ex multis, Cons. Stato, n. 2342/2011, n. 254/2012; n. 2678/2012; n. 2806/2012; n. 1329/2013; n. 4527/2015; n. 1328/2016; n. 3333/2017).
Come precisato dall’Adunanza plenaria di questo Consiglio (nella decisione n. 3 del 6 aprile 2018): – il provvedimento di cd. ‘interdittiva antimafia’ determina una particolare forma di incapacità giuridica, e dunque l’insuscettività del soggetto (persona fisica o giuridica) che di esso è destinatario ad essere titolare di quelle situazioni giuridiche soggettive (diritti soggettivi, interessi legittimi) che determinino (sul proprio cd. lato esterno) rapporti giuridici con la pubblica amministrazione riconducibili a quanto disposto dall’art. 67 d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 (Cons. Stato, sez. IV, 20 luglio 2016, n. 3247);
– ai sensi dell’art. 67, co.1, lett.g) del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, è quindi preclusa al soggetto colpito dall’interdittiva ogni possibilità di ottenere “contributi, finanziamenti e mutui agevolati ed altre erogazioni dello stesso tipo, comunque, denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità Europee, per lo svolgimento di attività imprenditoriali”, stante l’esigenza di evitare ogni ‘esborso di matrice pubblicistica’ in favore di imprese soggette ad infiltrazioni criminali.
In particolare l’Adunanza plenaria ha chiarito che il provvedimento di interdittiva antimafia determina un’incapacità giuridica parziale “in quanto limitata ai rapporti giuridici con la pubblica amministrazione, ed anche nei confronti di questa limitatamente a quelli di natura contrattuale, ovvero intercorrenti con esercizio di poteri provvedimentali, e comunque ai precisi casi espressamente indicati dalla legge (art. 67 d.lgs. 159/2011); – tendenzialmente temporanea, potendo venire meno per il tramite di un successivo provvedimento dell’autorità amministrativa competente (il prefetto). In tali sensi e, in particolare, in relazione al riconosciuto carattere ‘parziale’ dell’incapacità, l’art. 67 d.lgs. 159/2011 ne circoscrive il ‘perimetro’, definendo le tipologie di rapporti giuridici in ordine ai quali il soggetto, colpito della misura, non può acquistare o perde la titolarità di posizioni giuridiche soggettive e, dunque, l’esercizio delle facoltà e dei poteri ad esse connessi”.

20.3. Ciò premesso, l’esame della questione impone l’illustrazione del quadro normativo di riferimento.
L’art. 80, comma 2, d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 prevede che “Costituisce altresì motivo di esclusione la sussistenza, con riferimento ai soggetti indicati al comma 3, di cause di decadenza, di sospensione o di divieto previste dagli articoli 88, comma 4-bis, e 92, commi 2 e 3, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, con riferimento rispettivamente alle comunicazioni antimafia e alle informazioni antimafia. Resta fermo altresì quanto previsto dall’articolo 34 –bis commi 6 e 7, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159”; il successivo comma 6, precisa inoltre che: “Le stazioni appaltanti escludono un operatore economico in qualunque momento della procedura, qualora risulti che l’operatore economico si trova, a causa di atti compiuti o omessi prima o nel corso della procedura, in una delle situazioni di cui ai commi 1, 2, 4 e 5”.
Il controllo giudiziario delle aziende è previsto dall’art. 34-bis d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 (Codice della legge antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136), il cui sesto comma, primo c.p.v., precisa che “ Le imprese destinatarie di informazione antimafia interdittiva ai sensi dell’articolo 84, comma 4, che abbiano proposto l’impugnazione del relativo provvedimento del prefetto, possono richiedere al tribunale competente per le misure di prevenzione l’applicazione del controllo giudiziario di cui alla lett.b) del comma 2 del presente articolo (che prevede la nomina di un giudice delegato e di un amministratore giudiziario che riferisce periodicamente, e comunque ad ogni bimestre, circa gli esiti dell’attività di controllo al giudice delegato e al pubblico ministero n.d.s.)”.
Ancora, il successivo settimo comma aggiunge che “il provvedimento che dispone (…) il controllo giudiziario ai sensi del presente articolo sospende il termine di cui all’art. 92, comma 2, nonché gli effetti di cui all’articolo 94. Lo stesso provvedimento è comunicato dalla cancelleria del tribunale al prefetto della provincia in cui ha sede legale l’impresa, ai fini dell’aggiornamento della banca dati nazionale unica della documentazione antimafia di cui all’articolo 96, ed è valutato anche ai fini dell’applicazione delle misure di cui all’articolo 94- bis nei successivi cinque anni”.
A sua volta l’art. 94, i cui effetti sono sospesi, prevede, al primo comma, che “Quando emerge la sussistenza di cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all’articolo 67 o di un tentativo di infiltrazione mafiosa, di cui all’articolo 84, comma 4 ed all’articolo 91, comma 6, nelle società o imprese interessate, i soggetti di cui all’articolo 83, commi 1 e 2 cui sono fornite le informazioni antimafia, non possono stipulare, approvare o autorizzare i contratti o subcontratti, né autorizzare, rilasciare o comunque consentire le concessioni e le erogazioni”.
Va precisato che il decreto ex art. 34-bis del d.lgs. n. 159/2011 non modifica il giudizio in ordine alla sussistenza dei pericoli di infiltrazione mafiosa, atteso che “non costituisce un superamento dell’interdittiva, ma in un certo modo ne conferma la sussistenza” (Cons. Stato n. 6377/2018; Cons. Stato 3268/2018). A tale riguardo, la giurisprudenza di legittimità (Cass. Pen. nn. 39412 e 27856 del 2019) esclude che il controllo abbia la conseguenza di vanificare il provvedimento definitivo dell’informazione e che sia strumento alternativo di impugnazione.

20.4. Orbene, secondo l’indirizzo consolidato della giurisprudenza amministrativa, i requisiti di ordine generale per la partecipazione alle gare per l’affidamento di appalti pubblici debbono essere posseduti con continuità non solo al momento della presentazione della domanda, ma per tutta la durata della procedura di aggiudicazione e per tutta la fase di esecuzione del contratto, senza soluzione di continuità.
Detti requisiti debbono essere posseduti non solo dai consorzi stabili partecipanti alle predette gare, ma anche dalle singole imprese consorziate. Invero, se i requisiti di ordine generale fossero accertati solamente in capo al Consorzio Research e non anche alle consorziate, che eseguono le prestazioni, il Consorzio potrebbe diventare uno schermo di copertura, consentendo la partecipazione di consorziati privi dei necessari requisiti di partecipazione (Cons. Stato, n. 4065 del 2022). La consorziata esecutrice partecipa alla procedura di gara per il tramite del consorzio stabile che precisa di concorrere per essa e la designa per l’esecuzione delle prestazioni.
Il principio è stato chiarito dall’Adunanza plenaria di questo Consiglio con sentenza n. 5 del 2021, a mente della quale “solo le consorziate designate per l’esecuzione dei lavori partecipano alla gara e concordano l’offerta, assumendo una responsabilità in solido con il consorzio stabile nei confronti della stazione appaltante (art. 47, comma 2, del codice dei contratti)”.
Diversamente da quanto sostenuto dalla società appellante, la prevalente giurisprudenza ritiene che la continuità del possesso dei requisiti rilevi non solo nei confronti del consorzio, ma anche nei confronti delle società consorziate da quest’ultimo indicate; diversamente opinando, si dovrebbe ammettere che le imprese consorziate, estromesse dalla esecuzione dei lavori per carenza dei requisiti di ordine generale, abbiano il diritto di rientrare nella esecuzione dei lavori in qualsiasi momento della fase esecutiva dell’appalto, qualora riescano a recuperare il possesso dei requisiti di carattere generale di cui erano carenti (Cons. Stato n. 4065 del 2022).
Il possesso dei requisiti generali di partecipazione è richiesto pertanto anche in capo alle consorziate esecutrici (come la società -OMISSIS-.) affinché il consorzio stabile, da forma collettiva di partecipazione, non si trasformi in strumento elusivo dell’obbligo del possesso dei requisiti generali, consentendo la partecipazione di consorziate esecutrici prive dei necessari requisiti (cfr. Cons. Stato Ad. plen. n. 8/2012).
Non è contestato che la società -OMISSIS-. non sia stata in possesso dei requisiti per partecipare alle gara per l’affidamento di appalti pubblici per tutta la fase di esecuzione del contratto, senza soluzione di continuità, in quanto attinta da una interdittiva antimafia, pertanto, sulla base dei principi espressi, non può essere condiviso l’assunto secondo cui un operatore economico legittimamente escluso da un appalto, ai sensi dell’art. 80, comma 2, del d.lgs. n. 50/2016, in quanto attinto da informativa antimafia, abbia poi diritto ad essere reintegrato nella esecuzione dell’appalto medesimo per effetto del provvedimento di cui all’art. 34 bis del codice antimafia.
Ciò in ragione del fatto, correttamente evidenziato dal giudice di prima istanza, che il controllo giudiziario sospende temporaneamente gli effetti della misura interdittiva, senza eliminare gli effetti prodotti nel frattempo dall’interdittiva stessa nei rapporti in corso.
Il Collegio ritiene che il legislatore del 2019 (legge n. 55/2019), nell’introdurre, all’interno dell’art. 80, comma 2, del d.lgs. n. 50/2016, il riferimento all’art. 34-bis del codice antimafia, non abbia voluto attribuire valenza retroattiva al provvedimento ammissione al controllo giudiziario rispetto agli effetti della interdittiva, ma solo chiarire che gli operatori economici ammessi al controllo giudiziario possono partecipare alle gare pubbliche successive all’adozione della predetta misura, proprio in ragione della sospensione temporanea degli effetti della misura.
La tesi contraria ammetterebbe una interpretazione non conforme alla ‘ratio legis’ della disposizione invocata, atteso che ragioni di ordine logico sistematico inducono a ritenere che, in riferimento ai provvedimenti di esclusione adottati ai sensi dell’art. 80, comma 2, del d.lgs. n. 50 del 2016, gli effetti del tentativo di infiltrazione mafiosa non si esauriscono solo nell’ambito della procedura di gara, ma riguardano anche la fase di esecuzione del contratto.
Diversamente opinando, infatti, verrebbe meno la finalità della interdittiva antimafia, che è quella di tutelare il rapporto con l’amministrazione da eventuali e probabili forme di infiltrazioni mafiose che inquinano l’economia legale, alterano il funzionamento della concorrenza e costituiscono una minaccia per l’ordine e la sicurezza pubblica. Il controllo giudiziario ex art. 34 bis cit. può sospendere gli effetti della interdittiva, ma non può eliminare gli effetti già prodotti dall’interdittiva stessa, da cui è stata attinta l’impresa in ragione del riscontrato pericolo di infiltrazione mafiosa nel peculiare periodo temporale in corso.
Va escluso, pertanto, che l’assoggettamento a controllo giudiziario ex art. 34-bis cit. possa consentire il diritto dell’impresa alla reintegrazione nella esecuzione dei lavori affidati nello specifico periodo in cui è stato necessario disporre una interdittiva antimafia.
Da siffatti rilievi, consegue che non può essere condiviso l’indirizzo espresso nel precedente richiamato dalla società appellante, tenuto conto che l’ammissione (o anche la sola richiesta di ammissione) al controllo giudiziario delle attività economiche e dell’azienda di cui all’art. 34 –bis d.lgs. n. 159 del 2011 non ha conseguenze sui provvedimenti di esclusione (anche adottati ai sensi dell’art. 80, comma 2, d.lgs. n. 50 del 2016), i cui effetti contestualmente si producono e si esauriscono in maniera definitiva nell’ambito della procedura di gara interamente considerata, di modo che non vi è possibilità di un ritorno indietro per via della predetta ammissione.
Pertanto vale il principio generale dell’efficacia solo per l’avvenire dell’ammissione al controllo giudiziario, con la conseguente possibilità di partecipazione in situazioni di controllo ad altre procedure di gara (cfr. v. anche in motivazione Cons. Stato, V, 14 aprile 2022, n. 2847).

Interdittiva antimafia e controllo giudiziario

TAR Catania, 01.05.2022 n. 1219

In sede di rapporti tra interdittiva e controllo giudiziario:
a) l’impresa attinta da interdittiva è legittimamente esclusa dal mercato e solo se ammessa al controllo può riprendere ex nunc ad operare. All’esito di tale controllo sarà ammessa o esclusa dal mercato per effetto di un nuovo provvedimento prefettizio, obbligatoriamente adottato prima della conclusione del primo periodo di ammissione al controllo giudiziario, con conseguente improcedibilità del ricorso quanto alla originaria interdittiva;
b) la legittimità dell’originario provvedimento interdittivo, riconosciuta dalla stessa impresa che ammette la sussistenza del “contagio” (qualificato come “occasionale” dal giudice della prevenzione), esclude in radice l’esistenza del fatto illecito e determina l’infondatezza nel merito della domanda risarcitoria, ove proposta; de iure condendo, la fissazione dell’udienza di merito dovrebbe essere prevista dalla legge come un obbligo ex officio ed auspica altresì la previsione di un termine di “stand-still” per la stazione appaltante/P.A. erogatrice dei contributi pubblici, nelle more del vaglio del Tribunale della Prevenzione dell’istanza di ammissione al controllo giudiziario.

Con riferimento ai rapporti tra l’interdittiva antimafia e il provvedimento di ammissione dell’impresa al controllo giudiziario, per come enucleati dai commi 6 e 7 dell’art. 34 bis del Codice Antimafia, si registrano allo stato in giurisprudenza due orientamenti: a) secondo i consolidati principi espressi dal Consiglio di Stato (cfr. ex multis, ord. nn. 4873 del 2019 e 5482 del 2019) l’ammissione dell’impresa al controllo giudiziario determina una causa necessaria di sospensione del giudizio, in conseguenza della sospensione ex lege dell’efficacia del provvedimento interdittivo; b) secondo l’innovativo orientamento espresso dal Tar Reggio Calabria (sentenze nn. 15 del 2019 350 del 2019), in assenza di una ipotesi prevista dalla legge, non opera l’art. 295 c.p.c. (come richiamato dall’art. 79, comma 3, c.p.a.) e, stante la non interferenza degli ambiti giurisdizionali appartenenti al giudice amministrativo e al giudice della prevenzione penale, il giudice amministrativo ha l’obbligo comunque di definire nel merito il ricorso.

La Sezione, anche al fine di garantire la compatibilità costituzionale e comunitaria del sistema della prevenzione antimafia, prospetta una diversa soluzione della questione ed in particolare, conclude nel senso della improcedibilità del ricorso, alla luce del seguente iter argomentativo: a) la misura interdittiva diviene inefficace al momento dell’ammissione dell’impresa al controllo giudiziario; b) sussiste un obbligo di aggiornamento della misura interdittiva in ragione dell’ammissione dell’impresa al controllo giudiziario e l’imputazione del citato obbligo di aggiornamento ricade ex officio in capo all’Amministrazione procedente; c) il provvedimento di aggiornamento non è un atto meramente confermativo della precedente interdittiva, ma un nuovo provvedimento, che giunge all’esito della necessaria, rinnovata istruttoria, la quale deve obbligatoriamente tenere conto di quanto accaduto durante il periodo di controllo giudiziario.
Quanto all’obbligo di aggiornamento, chiarisce il Tar che nel caso dell’ammissione dell’impresa al controllo giudiziario, l’istruttoria deve essere avviata d’ufficio, perché l’elemento nuovo è fornito dal giudice della prevenzione, che ha qualificato il contatto come occasionale e che ha ritenuto l’impresa potenzialmente suscettibile di essere risanata, con la conseguenza che in caso di inerzia, l’interessato potrà attivare il rito del silenzio-inadempimento. Ad avviso del giudice di primo grado, qualora la nuova informativa contenga un giudizio prognostico negativo, sorgerà l’interesse dell’impresa a proporre un nuovo ricorso; in caso di giudizio prognostico positivo da parte della Prefettura, invece, il controllo giudiziario dovrà cessare, anche se fosse stata medio tempore reiterata la misura di prevenzione da parte dal giudice della prevenzione e l’impresa tornerà quindi sul mercato, libera da ogni forma di monitoraggio. Se così non fosse si determinerebbe l’elusione dei limiti di compatibilità costituzionale e comunitaria della normativa antimafia, come delineati dalla citata sentenza della Corte  cost. n. 57 del 2020.
Quanto alla natura del provvedimento di “aggiornamento” dell’interdittiva antimafia, in ragione dell’ammissione al controllo giudiziario, ad avviso del Tar Catania il nuovo provvedimento, anche se negativo, non potrà mai considerarsi meramente confermativo del precedente, perché la Prefettura ha l’obbligo, appunto di effettuare una nuova istruttoria. Ecco la ragione per cui, rispetto a tale provvedimento (ove lesivo), sorgerà l’interesse al ricorso dell’impresa attinta da interdittiva e ciò al fine di non vedersi definitivamente preclusa l’attività economica.
​​​​​​​Il Tar Catania analizza poi gli effetti conformativi della sentenza, anche alla luce delle novità contenute nel d.l. n. 152 del 2021, conv. in l. n. 233 del 2021 e ritiene che, ove proposta la domanda risarcitoria, debba essere rigettata, in quanto infondata nel merito. Ad avviso del Tar la domanda risarcitoria è palesemente infondata, e ciò risulta acclarato proprio in ragione dell’intervenuta presentazione dell’istanza di ammissione al controllo giudiziario. Si ribadisce infatti che, nel caso di informativa prefettizia negativa, l’ammissione alla misura riabilitativa, da parte del Tribunale ordinario, passa – oltre che per una esplicita istanza da parte dell’impresa attinta da interdittiva – anche e soprattutto da un vaglio in chiave sostanziale sulla “occasionalità” del contagio mafioso, che costituisce, però, un elemento fattuale incontestato, anzi è dato per presupposto dell’ammissibilità dell’istanza ex art. 34 bis, commi 6-7, d.lgs. n. 159 del 2011. Ne consegue che nel momento in cui l’impresa (successivamente alla proposizione del ricorso giurisdizionale al Tar, contenente anche la domanda risarcitoria o la prospettazione dell’intenzione di proporla al fine di radicare la persistenza dell’interesse alla decisione) propone l’istanza per l’ammissione al controllo giudiziario, riconosce, la legittimità del provvedimento prefettizio impugnato e quindi esclude in radice finanche l’esistenza del fatto illecito, con ciò determinando, eventualmente, la necessaria declaratoria dell’infondatezza nel merito della domanda risarcitoria, ove già proposta.

Il Tar, de iure condendo, propone, da ultimo, una riflessione sul coordinamento dei meccanismi e degli effetti propri degli istituti dell’informazione antimafia, del controllo giudiziario e della prevenzione collaborativa nella loro chiave sostanziale e nella loro proiezione processuale, sin dalla fase cautelare, al fine di perseguire un ragionevole bilanciamento tra le innegabili conseguenze dirompenti dell’interdittiva sulla possibile sopravvivenza dell’impresa (qualora il provvedimento si riveli, ex post, illegittimo, ovvero il contagio mafioso sia stato occasionale) e la problematica della corretta aggiudicazione delle commesse e attribuzione dei finanziamenti pubblici, considerato che l’ammissione al controllo giudiziario non va a sanare ex post la perdita dei requisiti di partecipazione ad una gara pubblica, ovvero la perdita di pubblici finanziamenti non accantonati. Pertanto, fermo restando che lo strumento della prevenzione collaborativa, pur se confinato alla scelta discrezionale dell’autorità prefettizia, ove opportunamente valorizzato, potrebbe costituire una ulteriore forma di anticipazione della tutela in chiave di tempestiva ripresa dell’attività economica dell’impresa sul libero mercato, ad avviso del Tar, la fissazione dell’udienza di merito dovrebbe essere invece prevista dalla stessa legge come un obbligo ex officio e ciò nel termine massimo di mesi sei dal deposito del ricorso.

Ciò che auspica, infine, in aggiunta il Tar, per rafforzare le garanzie di difesa dell’impresa attinta da interdittiva ed il principio di effettività della tutela giurisdizionale, è la previsione di un termine di “stand-still” per la stazione appaltante/P.A. erogatrice dei contributi pubblici, nelle more del vaglio del Tribunale della Prevenzione (il quale dovrebbe decidere celermente), affinché l’impresa non perda definitivamente la possibilità di accedere all’aggiudicazione delle commesse pubbliche ovvero la possibilità di ottenere l’erogazione dei finanziamenti pubblici nell’ambito delle procedure in itinere (con contributi limitati e presenza di soggetti controinteressati). Detto termine potrebbe essere ancorato a quello fissato per il Tribunale ordinario per decidere sull’istanza di controllo.

Riferimenti normativi:

art. 80 d.lgs. n. 50/2016