Consiglio di Stato, sez. IV, 16.11.2023 n. 9850
Ricorda il Collegio che l’esigenza di arginare il fenomeno della corruzione, all’interno delle pubbliche amministrazioni, ha comportato l’adozione della legge 6 novembre 2012, n. 190 (c.d. legge anticorruzione), in linea con quanto stabilito dall’art. 6 della Convenzione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite contro la corruzione, adottata dall’Assemblea generale dell’ONU il 31 ottobre 2003 e ratificata ai sensi della legge 3 agosto 2009, n. 116, e dagli artt. 20 e 21 della Convenzione penale sulla corruzione, adottata a Strasburgo il 27 gennaio 1999 e ratificata ai sensi della legge 28 giugno 2012, n. 110.
La legge n. 190 del 2012 prevede un sistema di tutela anticipata, che affianca il classico modello sanzionatorio imperniato su forme di tutela repressiva post crimen patratum.
In alternativa al tradizionale modello sanzionatorio imperniato su forme di tutela repressiva, la normativa anticorruzione si basa sul principio secondo il quale i fenomeni di corruzione all’interno delle amministrazioni pubbliche vanno affrontati e combattuti anche prima che i fenomeni corruttivi si siano consumati.
Quindi, l’ambito di individuazione della situazione di pericolo, legata ai fenomeni della corruzione, è stata anticipata dal piano dell’azione amministrativa al piano dell’organizzazione amministrativa.
Con l’art. 1, comma 41, della legge n. 190/2012, l’azione preventiva della corruzione è divenuta un principio generale di diritto amministrativo, in quanto è stato introdotto l’art. 6 bis alla legge n. 241/1990, secondo il quale il responsabile del procedimento e i titolari degli uffici competenti ad adottare i pareri, le valutazioni tecniche, gli atti endoprocedimentali e il provvedimento finale (in qualsiasi procedura anche diversa dalla materia che ci occupa) devono astenersi in caso di conflitto di interessi, segnalando ogni situazione di conflitto, anche potenziale.
La tutela anticipatoria in esame si realizza, inter alia, anche attraverso la individuazione e la gestione del fenomeno del conflitto di interessi, anche se, come più volte puntualizzato dal Consiglio di Stato, non vi è una necessaria coincidenza tra conflitto di interessi e corruzione, atteso che “Quanto all’interesse rilevante per l’insorgenza del conflitto, la norma … va intesa come operante indipendentemente dal concretizzarsi di un vantaggio”. (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 11 luglio 2017, n. 3415; Cons. Stato, Sez. V, 14 maggio 2018, n. 2853; Sez, III, 2 aprile 2014, n. 1577.).
Ne discende che il conflitto di interessi esiste a prescindere dal fatto che a esso segua o meno una condotta impropria. Ontologicamente, esso è dunque ascrivibile al paradigma tassonomico della “potenzialità”.
La “Guida pratica OLAF” elaborata dall’OCSE stabilisce che: “Un ‘conflitto di interessi’ implica un conflitto tra la missione pubblica e gli interessi privati di un funzionario pubblico, in cui quest’ultimo possiede a titolo privato interessi che potrebbero influire indebitamente sull’assolvimento dei suoi obblighi e delle sue responsabilità pubblici.”. L’articolo 57, paragrafo 2, del regolamento finanziario applicabile al bilancio generale dell’Unione europea (regolamento n. 966/2012), chiarisce, a sua volta, che: “esiste un conflitto d’interessi quando l’esercizio imparziale e obiettivo delle funzioni di un agente finanziario o di un’altra persona di cui al paragrafo 1, è compromesso da motivi familiari, affettivi, da affinità politica o nazionale, da interesse economico o da qualsiasi altra comunanza d’interessi con il destinatario”.
Sul piano dell’analisi economica del diritto, il conflitto di interessi non consiste in comportamenti dannosi per l’interesse funzionalizzato ma in una condizione giuridica o di fatto dalla quale scaturisce un rischio di siffatti comportamenti, un rischio di danno. L’essere in conflitto e abusare effettivamente della propria posizione sono due aspetti distinti.
Il fondamento costituzionale dell’istituto del conflitto di interessi si rinviene nell’art. 97 Cost., il quale richiede che la pubblica amministrazione agisca nel rispetto della regola dell’equidistanza nei confronti dei destinatari dell’azione amministrativa.
Ai fini della configurabilità di un conflitto di interessi, possono rilevare sia utilità materiali (ad esempio, di natura patrimoniale) che utilità immateriali, di qualsivoglia genere.
L’art. 6 bis della legge n. 241 del 1990 (introdotto dall’art. 1, co. 41 della legge n. 190 del 2012 e applicabile come norma generale anche al settore dei contratti pubblici) prevede l’obbligo di astensione dell’organo amministrativo in conflitto di interessi “anche potenziale”. Similmente l’art. 53, d.lvo n. 165 del 2001, nel testo modificato dalla legge n. 190 del 2012, prevede la verifica o la dichiarazione di situazioni di conflitto di interesse anche potenziale. Ed ancora, l’art. 7 del d.P.R. n. 62 del 16 aprile 2013 prevede l’obbligo di astensione anche nel caso in cui sussistano “gravi ragioni di convenienza”. Infine l’art. 51 c.p.c. rimanda, a sua volta, a “gravi ragioni di convenienza” di cui all’art. 7.
Da tale complessivo quadro regolatorio emerge l’esistenza nell’ordinamento del concetto di conflitto di interessi non tipizzato.
Le situazioni di “potenziale conflitto” sono, quindi, in primo luogo, quelle che, per loro natura, pur non costituendo allo stato una delle situazioni tipizzate, siano destinate ad evolvere in un conflitto tipizzato (ad es. un fidanzamento che si risolva in un matrimonio determinante la affinità con un concorrente). Ciò, con riferimento alle previsioni esplicite riguardanti sia il rapporto di coniugio, parentela, affinità e convivenza, sia alla possibile insorgenza di una frequentazione abituale, sia al verificarsi delle altre situazioni contemplate nel detto art. 7 (pendenza di cause, rapporti di debito o credito significativi, ruolo di curatore, procuratore o agente, ovvero di amministratore o gerente o dirigente di enti, associazioni anche non riconosciute, comitati, società o stabilimenti).
Si devono inoltre aggiungere quelle situazioni le quali possano per sé favorire l’insorgere di un rapporto di favore o comunque di non indipendenza e imparzialità in relazione a rapporti pregressi, solo però se inquadrabili per sé nelle categorie dei conflitti tipizzati. Si pensi a una situazione di pregressa frequentazione abituale (un vecchio compagno di studi) che ben potrebbe risorgere (donde la potenzialità) o comunque ingenerare dubbi di parzialità (dunque le gravi ragioni di convenienza).
Entrambi i tipi di situazione, quelle che evolvono de futuro verso il conflitto e quelle favorenti de praeterito il conflitto, costituiscono la declinazione delle gravi ragioni di convenienza di cui agli art. 7 e 51 citati in cui si risolvono, ed anche del “potenziale conflitto” di cui agli articoli 6 bis e 53 citati. In sostanza la qualificazione “potenziale” e le “gravi ragioni di convenienza” sono espressioni equivalenti perché teleologicamente preordinate a contemplare i tipi di rapporto destinati, secondo l’id quod plerumque accidit, a risolversi (potenzialmente) nel conflitto per la loro identità o prossimità alle situazioni tipizzate.
I principi generali della disciplina del conflitto di interessi nelle procedure ad evidenza pubblica, per quanto concerne la normativa ratione temporis aplicabile al presente giudizio, sono contenuti nell’articolo 42 del D.lgs. n. 50/2016 il quale stabilisce che spetta alle stazioni appaltanti prevedere misure adeguate per contrastare le frodi e la corruzione nonché per individuare, prevenire e risolvere in modo efficace ogni ipotesi di conflitto di interesse nello svolgimento delle procedure di aggiudicazione degli appalti e delle concessioni, in modo da evitare qualsiasi distorsione della concorrenza e garantire la parità di trattamento di tutti gli operatori economici (art. 42, comma 1, d.lgs. n. 50/2016), legate al fatto che sulla scelta del contraente possano incidere interessi estranei ad una corretta selezione dei concorrenti.
Da tale disposizione si ricava, anzitutto, che – a differenza della disciplina generale contenuta nella legge n. 190/2012 – il codice dei contratti pubblici contiene una definizione di conflitto di interessi, posto che il citato articolo 42, al secondo comma, stabilisce che esso ricorre “quando il personale di una stazione appaltante o di un prestatore di servizi che, anche per conto della stazione appaltante, interviene nello svolgimento della procedura di aggiudicazione degli appalti e delle concessioni o può influenzarne, in qualsiasi modo, il risultato, ha, direttamente o indirettamente, un interesse finanziario, economico o altro interesse personale che può essere percepito come una minaccia alla sua imparzialità e indipendenza nel contesto della procedura di appalto o di concessione. In particolare, costituiscono situazione di conflitto di interesse quelle che determinano l’obbligo di astensione previste dall’articolo 7 del decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 62.” (art. 42, comma 2, d.lgs. n. 50/2016 che riprende pedissequamente l’art. 24 della direttiva n. 24/2014).
A tal proposito, l’ANAC afferma al paragrafo 2.6 delle Linee Guida, che: “Le situazioni di conflitto di interesse di cui all’articolo 7 del decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 62, sono richiamate dall’articolo 42 del codice dei contratti pubblici a titolo meramente esemplificativo e rappresentano ipotesi predeterminate per le quali la valutazione della possibile sussistenza del rischio di interferenza dell’interesse privato nelle scelte pubbliche è operato a monte dal legislatore.” .
Le medesime linee guida chiariscono che “l’interferenza tra la sfera istituzionale e quella personale del funzionario pubblico, si ha quando le decisioni che richiedono imparzialità di giudizio siano adottate da un soggetto che abbia, anche solo potenzialmente, interessi privati in contrasto con l’interesse pubblico” (par. 2.1). Inoltre, si chiarisce ulteriormente che il rischio che si intende evitare “può essere soltanto potenziale e viene valutato ex ante” (par. 2.3) e che, comunque, “oltre alle situazioni richiamate dall’articolo 42, il conflitto di interesse sussiste nei casi tipizzati dal legislatore nell’articolo 7 del decreto del Presidente della Repubblica n. 16 aprile 2013, n. 62, ivi compresa l’ipotesi residuale, già indicata, di esistenza di gravi ragioni di convenienza”.
In sostanza, il codice dei contratti pubblici, ponendo come condizione di rilevanza del conflitto il fatto che la situazione possa “essere percepita” come una minaccia alla imparzialità e indipendenza dell’agire, introduce per la prima volta ed enfatizza l’obiettivo della tutela dell’interesse immateriale della P.A., allargando quindi il parametro di giudizio sulla “gravità delle ragioni di convenienza”, affidando invece la gestione vera e propria del rischio mediante un semplice rinvio esterno alle ipotesi di obbligo di astensione previste dall’art. 7 del d.P.R. 16 aprile 2013, n. 62, nella duplice qualità tipica e atipica. La mera “potenzialità” del conflitto di interessi, da valutare ex ante, è espressa dallo stesso art. 42 che, al co. 2, prevede che “si ha conflitto d’interesse quando il personale di una stazione appaltante o di un prestatore di servizi che, anche per conto della stazione appaltante, interviene nello svolgimento della procedura di aggiudicazione degli appalti e delle concessioni o può influenzarne, in qualsiasi modo, il risultato, ha, direttamente o indirettamente, un interesse finanziario, economico o altro interesse personale che può essere percepito come una minaccia alla sua imparzialità e indipendenza nel contesto della procedura di appalto o di concessione”.
Le linee guida dell’ANAC chiariscono, inoltre, che l’ambito soggettivo riguarda non solo i dipendenti in senso stretto delle pubbliche amministrazioni ma anche coloro che possano “obiettivamente influenzarne l’attività esterna” (par. 4.1).
Nella medesima direzione si orienta la giurisprudenza amministrativa, la quale ha avuto modo di chiarire che, nell’ambito delle gare pubbliche ed in particolare in relazione alle ipotesi di conflitto di interesse del personale di una stazione appaltante o di un prestatore di servizi che (anche per conto della stazione appaltante, interviene nello svolgimento della procedura di aggiudicazione degli appalti e delle concessioni), l’art. 42, comma 2, del d.lgs. n. 50/2016, sul versante soggettivo, va interpretato in senso ampio, nel senso che il riferimento alla nozione di “personale della stazione appaltante” (le cui vicende soggettive rilevano ai fini dell’applicazione della normativa in tema di conflitto di interesse) non resti limitato ai soli soggetti che intrattengono con l’amministrazione rapporti di lavoro dipendente. Al contrario, tale nozione va riferita (e in modo più ampio) a quanti, in base ad un valido titolo giuridico (legislativo o contrattuale), siano in grado di validamente impegnare, nei confronti dei terzi, i propri danti causa o comunque rivestano, di fatto o di diritto, un ruolo tale da poterne obiettivamente influenzare l’attività esterna. (Consiglio di Stato Sez. V, 11/07/2017, n. 3415).
Tali acquisizioni giurisprudenziali sono state oggetto di esplicita codificazione (che, come da più parti sottolineato, sul tema in disamina, assume una valenza meramente compilativa) da parte del legislatore del nuovo codice dei contratti pubblici (art. 16, d.lgs. 31 marzo 2023 n. 36).
Inoltre, giova considerare che, ai sensi del comma 4 dell’art. 42 d.lgs. 50/2016, le disposizioni dei precedenti commi sul conflitto di interessi “valgono anche per la fase di esecuzione dei contratti pubblici”.