Ad avviso del Collegio sussiste ai sensi dell’art. 35 del d.lgs. n. 36/2023, degli artt. 22, comma 1, lett. b) e 24, comma 7, legge n. 241/1990, l’interesse (strumentale) di parte ricorrente ad acquisire la documentazione richiesta in quanto la documentazione richiesta, concernente i requisiti generali dell’aggiudicataria, è strumentale alla tutela della situazione giuridica che è stata fatta valere nello specifico giudizio in corso di svolgimento.
Occorre allora verificare la correttezza della condotta della stazione appaltante nel riscontrare l’istanza di accesso avente natura difensiva.
Con riferimento alle versioni delle dichiarazioni di aggiornamento di -OMISSIS- ex art. 80 d.lgs. n. 50/2016 e della documentazione afferente il soccorso istruttorio, che sono state rilasciate con omissis, emerge che i documenti trasmessi risultano essere oscurati con riferimento ai dati personali dei soggetti ivi indicati ossia nomi, date di nascita, residenze e documenti di riconoscimento. I dati che sono stati oscurati hanno natura di dati personali generici idonei ad identificare il soggetto interessato, sicché tali dati non hanno natura di dati personali sensibili (quali definiti dall’art. 9 del Regolamento 2016/679/UE del Parlamento e del Consiglio) o di dati giudiziari (quali definiti dall’art. 10 del Regolamento 2016/679/UE del Parlamento e del Consiglio) oppure di dati super-sensibili (art. 60, d.lgs. n. 196/1996). Del resto, come ha evidenziato la controinteressata, la stazione appaltante ha comunque trasmesso i dati giudiziari senza alcun oscuramento. Ai fini del bilanciamento tra il diritto di accesso difensivo, preordinato all’esercizio del diritto alla tutela giurisdizionale in senso lato, e la tutela della riservatezza (nella specie, cd. generica), secondo la previsione dell’art. 24, comma 7, della l. n. 241 del 1990, non trova applicazione né il criterio della stretta indispensabilità (riferito ai dati sensibili e giudiziari), né il criterio dell’indispensabilità e della parità di rango (riferito ai dati cc.dd. supersensibili), ma il criterio generale della “necessità” ai fini della “cura” e della “difesa” di un proprio interesse giuridico, ritenuto dal legislatore tendenzialmente prevalente sulla tutela della riservatezza, a condizione del riscontro della sussistenza dei presupposti generali dell’accesso documentale di tipo difensivo (Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, n. 19/2020). Nella fattispecie l’acquisizione dei dati personali generici consente alla ricorrente di meglio difendere la propria posizione in giudizio in quanto, una volta acquisiti tali dati, potrebbero essere svolte ulteriori approfondimenti in ordine ai requisiti di capacità morale sui soggetti della compagine societaria dell’aggiudicataria, approfondimenti che possono essere condotti soltanto ove in possesso dei dati idonei ad individuare gli interessati.
La stazione appaltante è allora tenuta a rilasciare la documentazione sub 1) in chiaro, ossia senza omissis, indicata nei motivi aggiunti.
L’articolo 36, comma 4, dispone altresì che il ricorso avverso le decisioni della stazione appaltante, aventi ad oggetto l’accoglimento o il rigetto dell’oscuramento di parti delle offerte indicate dai concorrenti, devono essere impugnate “con ricorso notificato e depositato entro dieci giorni dalla comunicazione digitale della aggiudicazione”.
La celerità e la concentrazione del rito si propongono di superare le criticità registrate nella vigenza del sistema antecedente, nel quale il dies a quo per la proposizione del ricorso per l’accesso (oggi fissato inderogabilmente nella comunicazione digitale dell’aggiudicazione) veniva variamente determinato sia in relazione alla presentazione delle istanze di accesso da parte degli operatori economici sia in relazione ai tempi e alle modalità di risposta della stazione appaltante, con conseguente dilatazione dei tempi per la definizione dei giudizi volti a contestare l’aggiudicazione.
Dall’articolo 36, commi 3 e 4, si evince chiaramente che tutte le decisioni sulle eventuali richieste di oscuramento, implicite od esplicite, devono essere impugnate entro il termine decadenziale di dieci giorni, decorrente dalla comunicazione dell’aggiudicazione: è in quel momento, infatti, che i concorrenti sono messi nella condizione di comprendere quali atti la stazione appaltante ha inteso rendere noti e quali invece ha inteso sottrarre all’accesso o alla divulgazione.
Nel caso di specie, la comunicazione digitale dell’aggiudicazione, avvenuta in data 5 settembre 2024, non è stata seguita dalla messa a disposizione di tutta la documentazione richiesta dalla società ricorrente, la quale avrebbe dunque dovuto proporre ricorso avverso il diniego implicito di accesso – formatosi sulla propria istanza ai sensi e per gli effetti dell’articolo 116, comma 1, del codice del processo amministrativo, al quale l’articolo 36, comma 4, rinvia espressamente per le parti non derogate dalla disciplina speciale – entro e non oltre dieci giorni dalla predetta comunicazione.
La società ricorrente ha invece notificato (e depositato) il ricorso solo in data 23 settembre 2024, ben oltre il termine decadenziale fissato dall’articolo 36, comma 4.
La circostanza che la stazione appaltante, dopo aver provveduto a rendere disponibili gli atti di gara sulla piattaforma di e-procurement, in data 16 settembre 2024 abbia inviato alla società ricorrente, in forma parzialmente oscurata, la documentazione richiesta con l’istanza di accesso e che, solo in quella sede, abbia esplicitato le ragioni dell’oscuramento non vale a rimettere in termini la parte ricorrente per la proposizione del ricorso avverso la decisione di accogliere la richiesta di oscuramento dell’aggiudicataria.
Quesito: Si chiede come correttamente interpretare – e operativamente gestire – l’art. 36, co. 1 e 2, del Codice, laddove prevede, rispettivamente, l’ostensione integrale dell’offerta dell’aggiudicatario e, reciprocamente, le offerte dei primi cinque classificati in graduatoria. Tanto in quanto, anzitutto, dall’ostensibilità integrale delle offerte, si ritiene possa essere pregiudicato il know-how aziendale degli offerenti – si ricorda che la valutazione dei segreti tecnici e/o commerciali rientra nella discrezionalità della PA e la norma non prevede alcun tipo di contraddittorio con gli operatori economici; ancora, si ritiene che la pubblicazione delle offerte – che contengono dati personali e sensibili, si veda, a titolo puramente esemplificativo, eventuali curricula vitae – può esporre la stazione appaltante a violazioni in materia di dati personali, laddove questi non siano opportunamente trattati e, conseguentemente, oscurati.
Risposta: Relativamente alla questione relativa ai segreti tecnici o commerciali, nell’ambito delle disposizioni relative al diritto di accesso per i concorrenti non definitivamente esclusi (art. 36 co 1) e per gli operatori economici collocatisi nei primi cinque posti in graduatoria (art. 36 co 2), si rimanda alle disposizioni di cui all’art. 36 del d. lgs n. 36/2023 ed in particolare al co. 3, secondo cui con la comunicazione digitale dell’aggiudicazione vengono rese note anche le decisioni assunte dalla stazione appaltante sulle richieste di oscuramento di parti delle offerte, formulate dagli offerenti a tutela dei loro segreti tecnici o commerciali. Le successive disposizioni di cui ai co. 4, 5, 6, 7 e 8 dello stesso art. 36 garantiscono il punto di equilibrio tra la il diritto di accesso agli atti e la tutela dei segreti tecnici o commerciali, prevedendo i passaggi del contraddittorio tra operatore economico e stazione appaltante in merito. A tale fine si ricorda che la s.a., qualora non ritenga fondate le motivazione alla base della richiesta di oscuramento, ai fini dell’ostensione deve attendere il decorso del termine per l’impugnazione (art.36 co5). Per quanto riguarda la seconda questione sottoposta, la stazione appaltante è tenuta a mettere in accesso l’offerta dell’operatore economico risultato aggiudicatario, i verbali di gara e gli atti, i dati e le informazioni presupposti all’aggiudicazione nel rispetto delle disposizioni di cui alla normativa in materia di privacy di cui al Regolamento generale per la protezione dei dati personali 2016/679 (General Data Protection Regulation o GDPR), ovvero oscurando le parti sensibili ai sensi della suddetta normativa. (Parere MIT n. 2978/2024)
Quesito: Tenuto conto del disposto degli art. 35 e 36 del codice e, con specifico riguardo alla seguente formulazione dell’art. 36 comma 1 “l’offerta dell’operatore economico aggiudicatario, i verbali di gara e gli atti, i dati e le informazioni presupposti all’aggiudicazione sono resi disponibili …..”, si richiede se il materiale acquisito dalla stazione appaltante in relazione alle verifiche debba essere oggetto di trasmissione, soprattutto con specifico riguardo alle informazioni acquisite dal casellario giudiziale e dalla banca dati nazionale antimafia.
Risposta: Si chiarisce che l’art. 35 co 1 del d. lgs. 36/2023 prevede espressamente che le stazioni appaltanti e gli enti concedenti assicurino l’accesso in modalità digitale agli atti delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici, mediante acquisizione diretta dei dati e delle informazioni inseriti nelle piattaforme di e-procurement (accesso civico generalizzato); mentre l’art. 36 del d. lgs. 36/2023 al co. 1 prevede una disciplina speciale per l’accesso dei concorrenti in gara non definitivamente esclusi, consentendo agli stessi la possibilità, senza bisogno di presentare alcuna istanza, di conoscere l’offerta dell’operatore economico risultato aggiudicatario, nonché i verbali di gara, gli atti, i dati e le informazioni presupposte all’aggiudicazione. Il tutto, tramite piattaforme digitali e contestualmente alla comunicazione di aggiudicazione da parte dell’amministrazione. Ciò posto, pertanto relativamente al quesito viene in considerazione l’art. 36 del d. lgs. 36/2023. Infatti il materiale acquisito dalla stazione appaltante in relazione alle verifiche fa parte dei dati che devono essere resi conoscibili e messi in accesso ai sensi del co. 1 dello stesso art. 36, anche per quanto riguarda le informazioni acquisite dal casellario giudiziale e dalla banca dati nazionale antimafia, nel rispetto delle disposizioni di cui alla normativa in materia di privacy di cui al Regolamento generale per la protezione dei dati personali 2016/679 (General Data Protection Regulation o GDPR). Relativamente alle modalità, occorre fare riferimento alle soluzioni fornite dalla singola piattaforma digitale utilizzata. (Parere MIT n. 2973/2024)
L’art. 36 d.lgs. n. 36/2023 disciplina il procedimento di accesso agli atti, nella fase successiva alla conclusione della gara, prevedendo che “l’offerta dell’operatore economico risultato aggiudicatario, i verbali di gara e gli atti, i dati e le informazioni presupposti all’aggiudicazione sono resi disponibili, attraverso la piattaforma di approvvigionamento digitale di cui all’articolo 25 utilizzata dalla stazione appaltante o dall’ente concedente, a tutti i candidati e offerenti non definitivamente esclusi contestualmente alla comunicazione digitale dell’aggiudicazione ai sensi dell’articolo 90” (comma 1) e che “agli operatori economici collocatisi nei primi cinque posti in graduatoria sono resi reciprocamente disponibili, attraverso la stessa piattaforma, gli atti di cui al comma 1, nonché le offerte dagli stessi presentate” (comma 2). Viene specificato che “nella comunicazione dell’aggiudicazione di cui al comma 1, la stazione appaltante o l’ente concedente dà anche atto delle decisioni assunte sulle eventuali richieste di oscuramento di parti delle offerte … indicate dagli operatori …” (comma 3). Con norma di carattere processuale si prevede, poi, che “le decisioni di cui al comma 3 sono impugnabili ai sensi dell’articolo 116 del codice del processo amministrativo, di cui all’allegato I al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, con ricorso notificato e depositato entro dieci giorni dalla comunicazione digitale della aggiudicazione” (comma 4);
la Stazione appaltante è, quindi, obbligata, in via automatica e immediatamente, a mettere a disposizione dei primi cinque classificati nella procedura, oltre che i verbali di gara e gli atti, i dati e le informazioni presupposti all’aggiudicazione, anche le offerte degli altri quattro concorrenti, salvo procedere all’oscuramento di queste nelle parti che “costituiscano, secondo motivata e comprovata dichiarazione dell’offerente, segreti tecnici o commerciali”; una volta messi a disposizione tali documenti, le impugnazioni delle “decisioni assunte sulle eventuali richieste di oscuramento di parti delle offerte” devono avvenire con rito speciale di cui al comma 4; nel caso di specie il ricorso è stato notificato (il 3.10.2024) e depositato (il 9.10.2024), ben oltre il termine di dieci giorni decorrente dalla comunicazione dell’aggiudicazione effettuata dalla stazione appaltante, ai sensi dell’art. 36, c. 1, d.lgs. n. 36/2023, in data 29 luglio 2024 ed è pertanto tardivo (doc. 1 omissis); né può certo valere a rimettere in termini la ricorrente la successiva presentazione di un’istanza con cui ha chiesto di potere accedere alle offerte nelle parti oscurate, pena l’aggiramento del termine di decadenza previsto all’art. 36, d.lgs. n. 36/2023: il diniego formatosi su di essa ha invero carattere meramente confermativo della decisione di oscuramento adottata con il provvedimento n. 23 del 29.7.2024;
Occorre premettere che l’appalto di che trattasi ricade tra quelli soggetti alla disciplina del nuovo codice dei contratti pubblici, approvato col D. Lgs. 31 marzo 2023, n. 36, posto che il bando di gara è stato pubblicato successivamente al primo luglio 2023 (artt. 226, comma 2 e 229, comma 2 del citato D. Lgs. n. 36/2023).
L’art. 209, comma 1, lett. a), del citato D. Lgs. n. 36/2023 ha sostituito l’art. 120 del c.p.a., che detta disposizioni specifiche per i giudizi aventi a oggetto le controversie relative ai provvedimenti concernenti le procedure di affidamento, anche in concessione, di pubblici lavori, servizi e forniture.
Tale ultima norma, al comma 2, dispone che: “Per l’impugnazione degli atti di cui al presente articolo il ricorso, principale o incidentale, e i motivi aggiunti, anche avverso atti diversi da quelli già impugnati, sono proposti nel termine di trenta giorni. Il termine decorre, per il ricorso principale e per i motivi aggiunti, dalla ricezione della comunicazione di cui all’articolo 90 del codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo di attuazione della legge n. 78 del 2022 oppure dal momento in cui gli atti sono messi a disposizione ai sensi dell’articolo 36, commi 1 e 2, del medesimo codice”.
Il citato art. 90 stabilisce, al comma 1, che qui rileva, che: “Nel rispetto delle modalità previste dal codice, le stazioni appaltanti comunicano entro cinque giorni dall’adozione:
a) la motivata decisione di non aggiudicare un appalto ovvero di non concludere un accordo quadro, o di riavviare la procedura o di non attuare un sistema dinamico di acquisizione, corredata di relativi motivi, a tutti i candidati o offerenti;
b) l’aggiudicazione all’aggiudicatario;
c) l’aggiudicazione e il nome dell’offerente cui è stato aggiudicato l’appalto o parti dell’accordo quadro a tutti i candidati e concorrenti che hanno presentato un’offerta ammessa in gara, a coloro la cui candidatura o offerta non siano state definitivamente escluse, nonché a coloro che hanno impugnato il bando o la lettera di invito, se tali impugnazioni non siano state già respinte con pronuncia giurisdizionale definitiva;
d) l’esclusione ai candidati e agli offerenti esclusi, ivi compresi i motivi di esclusione o della decisione di non equivalenza o conformità dell’offerta;
e) la data di avvenuta stipulazione del contratto con l’aggiudicatario ai soggetti di cui alla lettera c)”.
L’art. 36 del medesimo codice, nei primi due commi, prevede, a sua volta, che:
“1. L’offerta dell’operatore economico risultato aggiudicatario, i verbali di gara e gli atti, i dati e le informazioni presupposti all’aggiudicazione sono resi disponibili, attraverso la piattaforma di approvvigionamento digitale di cui all’articolo 25 utilizzata dalla stazione appaltante o dall’ente concedente, a tutti i candidati e offerenti non definitivamente esclusi contestualmente alla comunicazione digitale dell’aggiudicazione ai sensi dell’articolo 90.
2. Agli operatori economici collocatisi nei primi cinque posti in graduatoria sono resi reciprocamente disponibili, attraverso la stessa piattaforma, gli atti di cui al comma 1, nonché le offerte dagli stessi presentate”.
In base alla trascritta disciplina processuale, il dies a quo del termine decadenziale stabilito per l’impugnazione degli atti di gara, coincide, dunque, con quello in cui l’interessato acquisisce, o è messo in grado di acquisire, piena conoscenza degli atti che lo ledono. Tale normativa, che persegue l’obiettivo di evitare i c.d. ricorsi “al buio”, si pone in linea con l’orientamento espresso dal giudice euro unitario secondo cui “la direttiva 89/665, e in particolare i suoi articoli 1 e 2 quater, letti alla luce dell’articolo 47 della Carta, deve essere interpretata nel senso che essa non osta ad una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, che prevede che i ricorsi avverso i provvedimenti delle amministrazioni aggiudicatrici recanti ammissione o esclusione dalla partecipazione alle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici debbano essere proposti, a pena di decadenza, entro un termine di 30 giorni a decorrere dalla loro comunicazione agli interessati, a condizione che i provvedimenti in tal modo comunicati siano accompagnati da una relazione dei motivi pertinenti tale da garantire che detti interessati siano venuti o potessero venire a conoscenza della violazione del diritto dell’Unione dagli stessi lamentata” (cfr. Corte di giustizia UE, Sez. IV, ord. 14 febbraio 2019, in C- 54/18; Cons. Stato, Sez. V, 6 dicembre 2022, n. 10696). Nel caso di specie, non risulta che la stazione appaltante abbia messo a disposizione dell’odierna appellante tutti gli atti del procedimento di gara, se non a seguito della richiesta di accesso da quest’ultima avanzata. Ne consegue che, come correttamente dedotto nell’appello, il termine per impugnare non poteva iniziare a decorrere se non dall’ostensione della documentazione oggetto dell’istanza di accesso, avvenuta in data 21 dicembre 2023. Il ricorso di primo grado, notificato in data 22 gennaio 2024 doveva, quindi, considerarsi tempestivo, tenuto conto che il giorno 20 gennaio cadeva di sabato.
La doglianza sarebbe fondata anche laddove alla procedura di che trattasi fosse stata applicabile la disciplina vigente precedentemente alle modifiche introdotte dal D. Lgs. n. 36/2023.
La giurisprudenza formatasi nel vigore del precedente regime ha, infatti, affermato i seguenti principi:
a) quando i motivi di ricorso conseguano alla conoscenza dei documenti che completano l’offerta dell’aggiudicatario, ovvero delle giustificazioni rese nell’ambito del procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta, la proposizione dell’istanza d’accesso agli atti di gara comporta una dilazione temporale del termine per ricorrere pari a quindici giorni (ex art. 76, comma 2, del citato D. Lgs. n. 50/2016);
b) presupposto per l’applicazione della dilazione temporale è, a sua volta (oltreché la natura del vizio da far valere, il quale non deve essere evincibile se non all’esito dell’acquisizione documentale) la tempestività dell’istanza d’accesso, avanzata, cioè, entro quindici giorni dalla comunicazione dell’aggiudicazione;
c) laddove la stazione appaltante non dia immediata conoscenza degli atti di gara reclamati, in specie mediante tempestiva risposta alla (anch’essa tempestiva) domanda d’accesso, da evadere entro il termine di quindici giorni, si farà applicazione dell’ordinario termine d’impugnazione di trenta giorni, decorrente dalla effettiva ostensione dei documenti richiesti (Cons. Stato, A.P. 2 luglio 2020, n. 12; Sez. V, 27 marzo 2024, n. 2882; 7 febbraio 2024, n. 1263; 20 marzo 2023, n. 2796; Sez. III, 15 marzo 2022, n. 1792).
Nel caso di specie la società -OMISSIS- ha presentato la richiesta di accesso ad atti la cui conoscenza era necessaria ai fini della formulazione delle contestazioni dedotte, entro i quindici giorni dalla pubblicazione del provvedimento di aggiudicazione, mentre i documenti sono stati consegnati oltre il termine assegnato all’amministrazione per rispondere. Conseguentemente, il termine decadenziale di trenta giorni per impugnare l’aggiudicazione decorreva, per intero, dal momento dell’effettiva ostensione dei documenti richiesti.
In contrario non vale obiettare che il termine assegnato alla stazione appaltante per provvedere sarebbe stato rispettato, in quanto, in data 6 dicembre 2023 e, quindi, entro i quindici giorni dall’istanza d’accesso, la medesima aveva comunicato alla richiedente di aver notificato, ai sensi dell’art. 3 del D.P.R. 12 aprile 2006, n. 184, la suddetta richiesta ai controinteressati, allo scopo di consentire loro di manifestare eventuale opposizione alla consegna.
E invero:
a) in base all’art. 53, comma 1, del codice dei contratti pubblici di cui al D. Lgs. n. 50/2016, la legge generale sul procedimento amministrativo (L. 7 agosto 1990, n. 241, artt. 22 e ss.) trova applicazione in tema di diritto di accesso agli atti della procedura di gara soltanto per i profili non espressamente e puntualmente disciplinati dal medesimo codice;
b) ai sensi del comma 5, lett. a) del suddetto art. 53 i concorrenti devono manifestare l’opposizione all’ostensione delle informazioni che costituiscono segreti tecnici o commerciali in sede di offerta, con motivata e comprovata dichiarazione che attesti l’esigenza di tutelare tali segreti, spettando all’amministrazione, cui pervenga l’istanza di accesso, valutare se la dichiarazione in precedenza resa risulti adeguatamente motivata e comprovata (Cons. Stato, Sez. IV, 28 Luglio 2016, n. 3431).
Il che rendeva superflua e ridondante la comunicazione di cui al ricordato art. 3 del D.P.R. n. 184 del 2006.
I commi 4 e 5 del già richiamato art. 35 individuano espressamente i casi d’esclusione dall’accesso agli atti e le relative eccezioni, a tutela del principio di riservatezza, stabilendo che il diritto di accesso e ogni forma di divulgazione “possono essere esclusi in relazione alle informazioni fornite nell’ambito dell’offerta o a giustificazione della medesima che costituiscano, secondo motivata e comprovata dichiarazione dell’offerente, segreti tecnici o commerciali” (comma 4 lett. a); al comma 5 della medesima disposizione è inoltre previsto, limitatamente alle ipotesi di cui al comma 4 lettera a) riguardanti c.d. “segreti tecnici o commerciali”, ai quali espressamente si richiama l’istanza di oscuramento (integrale) della -OMISSIS- s.p.a. (…), che l’accesso è comunque consentito “al concorrente” e sempre che la richiesta ostensiva sia “indispensabile ai fini della difesa in giudizio dei propri interessi giuridici rappresentati in relazione alla procedura di gara”.
Ciò detto, rileva il Collegio che la ricorrente, avendo partecipato alla gara, è chiaramente titolare di una posizione giuridica, qualificata e differenziata, che la abilita a richiedere l’accesso alla documentazione della gara a cui ha preso parte; non può inoltre dubitarsi, nella specie, della effettiva sussistenza delle ragioni difensive sottese alla richiesta di accesso manifestate dalla -OMISSIS- s.p.a., seconda classificata all’esito della procedura evidenziale per cui è controversia (…), nei cui confronti l’aggiudicazione dispiega evidentemente efficacia lesiva (cfr. T.A.R. Napoli, sez. IV, 3.7.2024 n. 4092) e che, pertanto, ha senz’altro interesse alla verifica dell’attribuzione dei punteggi riservati all’offerta tecnica in funzione del perseguimento dell’interesse alla possibile aggiudicazione della commessa.
È dunque ravvisabile il prescritto nesso di indispensabilità tra contenuti dell’offerta tecnica e tutela giurisdizionale dell’interesse all’aggiudicazione della gara.
Si è osservato, in giurisprudenza, che l’interesse difensivo sotteso all’esercizio del diritto di accesso ai documenti di gara, per espressa previsione normativa prevale su quello alla riservatezza dell’aggiudicataria, e ciò anche a prescindere dalla non comprovata esistenza dei segreti commerciali e industriali da quest’ultima solo genericamente dedotti (Cons. Stato, Sez. III, 23/02/2024, n. 1832). La tutela di un segreto industriale trova un limite in relazione agli interessi di un concorrente ad accedere agli atti della procedura necessari alla sua difesa in giudizio, essendo questi ultimi prevalenti su quello alla riservatezza dei partecipanti, essendo indispensabile, ai fini della contestazione dell’operato della Commissione, poter valutare la corrispondenza tra i giudizi espressi, ed i contenuti dell’offerta tecnica. Si soggiunga, altresì, che l’art. 36 comma 2 D.Lgs. 36/2023 impone la messa a disposizione reciproca, tra i primi cinque concorrenti in graduatoria, delle offerte e dei documenti, dei verbali di gara, degli atti, dei dati e delle informazioni riferite alle singole offerte (T.A.R. Milano, sez. I, 06/05/2020, n.745); ciò proprio per consentire all’interessato di orientarsi con immediatezza sul possibile margine d’impugnativa (si veda, in proposito, la relazione illustrativa al nuovo codice dei contratti pubblici).
Il diritto alla difesa in giudizio prevale, dunque, su quello al segreto industriale.
Più in particolare, durante lo svolgimento della procedura selettiva prevalgono le esigenze di riservatezza degli offerenti, cui si contrappone, successivamente all’aggiudicazione, il ripristino della fisiologica dinamica dell’accesso, ripristino che appare tuttavia parziale, restando preclusa la divulgazione delle informazioni fornite nell’ambito dell’offerta o a giustificazione della medesima che costituiscano, secondo motivata e comprovata dichiarazione dell’offerente, segreti tecnici o commerciali. Anche tale preclusione deve, tuttavia, essere superata e l’accesso consentito al concorrente quando sia funzionale alla difesa in giudizio degli interessi dell’istante in relazione alla procedura di affidamento del contratto, sicché la minor latitudine (rispetto alla regola generale contenuta nell’art. 24, comma 7, l. proc.) dell’accesso difensivo nell’ambito dell’evidenza pubblica coincide con i confini dell’interesse azionato (o azionabile) nel giudizio avente ad oggetto gli atti e l’esito della gara (T.A.R. Napoli, sez. VII, 27/06/2024, n. 4013).
Il presente ricorso è anzitutto tempestivo, alla luce delle seguenti considerazioni.
L’art. 120 c.p.a. così recita:
“il termine decorre, per il ricorso principale ed i motivi aggiunti, dalla ricezione della comunicazione di cui all’art. 90 del D.Lgs 36/2023 oppure dal momento in cui gli atti sono messi a disposizione per tutti i concorrenti non esclusi, ai sensi dell’art. 36, commi 1 e 2, del medesimo codice dei contratti pubblici”.
La lettura interpretativa dei prefati incisi testuali conduce ad ipotizzare l’enucleazione di due fattispecie differenti, poste in relazione di applicabilità antitetica, peraltro avvalorata dalla presenza, nella cornice dispositiva, della stessa congiunzione “oppure”.
In virtù del predetto inciso, la decorrenza del termine per ricorrere si atteggia diversamente, a seconda della diversa fattispecie che viene in rilievo, che si tratti di ricezione della comunicazione ex art. 90 oppure della messa a disposizione degli atti ex art. 36, mediante la procedura dell’accesso. A questo punto soccorrono le regole cardine della pienezza conoscitiva strumentali all’inviolabilità del diritto di difesa, costituzionalmente tutelato. Per cui, laddove la comunicazione degli esiti di gara ex art. 90 abbia esaustivamente soddisfatto l’interesse sostanziale conoscitivo e non si intenda attendere la messa a disposizione per tutti i concorrenti non esclusi, allora opera il tradizionale termine decadenziale dei trenta giorni ai fini dell’esperibilità del ricorso avverso gli atti di gara. Allorchè, invece, la conoscenza di atti ulteriori e diversi assurga a condizione ineludibile per poter acquisire una pienezza conoscitiva, rintracciabile mediante l’istituto dell’accesso formale, allora si applica la logica della dilazione temporale con un’estensione fino ai 45 giorni.
Del resto, questo assunto risponde alle recenti ricostruzioni giurisprudenziali in materia.
Il T.A.R. Catania, sez. IV, 08/04/2024, n. 1339, cosi sostiene: “il Collegio richiama gli esiti a cui è giunta la giurisprudenza amministrativa, dopo la sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 12/2020, la quale ha chiarito, per quanto qui d’interesse, che la proposizione dell’istanza di accesso agli atti di gara comporta la dilazione temporale del termine per notificare il ricorso giurisdizionale quando i motivi di ricorso conseguano alla conoscenza dei documenti che completano l’offerta dell’aggiudicatario ovvero delle giustificazioni rese nell’ambito del procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta; in altri termini, la proposizione dell’istanza di accesso agli atti di gara comporta la dilazione temporale solamente quando la conoscenza dei documenti richiesti sia necessaria per formulare i motivi di ricorso, mentre quando detta conoscenza non sia necessaria il ricorso deve essere notificato nel termine ordinario di 30 giorni”.
In senso analogo, Cons. Stato, sez. V, 27 marzo 2024, n. 2882, ha affermato che: “nelle procedure di gara per l’affidamento di contratti pubblici, l’individuazione della decorrenza del termine per ricorrere dipende, in linea di principio, dal rispetto delle disposizioni sulle formalità inerenti alla informazione ed alla pubblicizzazione degli atti, nonché dalle iniziative dell’impresa che effettui l’accesso informale con una richiesta scritta.
La proposizione dell’istanza d’accesso agli atti di gara comporta, invece, una dilazione temporale del termine per ricorrere, allorchè i motivi di ricorso conseguano alla conoscenza dei documenti che completano l’offerta dell’aggiudicatario ovvero delle giustificazioni rese nell’ambito del procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta. A fronte di una tempestiva istanza d’accesso, formulata entro 15 giorni dalla comunicazione dell’aggiudicazione, il termine per proporre ricorso (il cui dies a quo coincide con la data di comunicazione del provvedimento d’aggiudicazione ex art. 120, comma 5, c.p.a.), viene incrementato nella misura di 15 giorni, così pervenendo a un’estensione complessiva pari a 45 giorni. Nell’evenienza in cui, invece, l’amministrazione aggiudicatrice rifiuti l’accesso oppure impedisca con comportamenti dilatori l’immediata conoscenza degli atti di gara, il termine per l’impugnazione degli atti comincia a decorrere solo da quando l’interessato li abbia conosciuti”.
Ed invero, traslando le coordinate normative ed ermeneutiche nella fattispecie in esame, il Collegio ravvisa la tempestività del presente gravame, atteso che la conoscenza degli atti ulteriori e diversi, richiesti con l’istanza di accesso, era necessaria ai fini della prospettazione dei motivi di ricorso.
Lo stato degli atti è chiaro in tale senso.
Nell’istanza di accesso del 26.03.2024, si rimarca che “la stazione appaltante, con la comunicazione di aggiudicazione, ha inserito il solo link per consultare i verbali di gara, senza consentire la visualizzazione dell’offerta dell’aggiudicatario (documentazione amministrativa, offerta tecnica ed offerta economica)”.
La predetta istanza riguarda l’ostensione dell’“offerta integrale dell’aggiudicatario, gli atti di verifica del costo della manodopera e documentazione relativa alla verifica dei requisiti ai fini della dichiarazione di efficacia”.
La richiesta ostensiva era presentata il 26.03.2024, entro 15 giorni dalla comunicazione dell’aggiudicazione, ex art. 90 D.Lgs. 36/2023, datata il 19.03.2024.
Il 23.04.2024, era trasmessa la documentazione richiesta.
Il 23.05.2024 era notificato il ricorso.
Tanto basta per ammettere la dilazione temporale dei 45 giorni.
Nel merito, la disciplina dell’accesso agli atti di gara è contenuta negli artt. 35 e 36 del d.lgs. n. 36 del 2023 (Codice dei contratti). In particolare, all’art. 36 si prevede che, contestualmente alla comunicazione digitale dell’aggiudicazione ai sensi dell’articolo 90, l’offerta dell’operatore economico risultato aggiudicatario, i verbali di gara e gli atti, i dati e le informazioni presupposti all’aggiudicazione sono resi disponibili, attraverso la piattaforma di approvvigionamento digitale, a tutti i candidati e offerenti non definitivamente esclusi.
Pertanto, la stessa necessità di una richiesta di accesso non dovrebbe trovare luogo in base all’assetto voluto dal Codice dei contratti vigente, essendo automaticamente riconosciuto a chi partecipa alla gara e non ne è “definitivamente” escluso, di accedere in via diretta, non solo a “documenti” (offerta dell’aggiudicatario, verbali di gara e atti), ma anche “ai dati e alle informazioni” inseriti nella piattaforma ex articolo 25 del Codice, e ciò a partire dal momento della comunicazione digitale dell’aggiudicazione.
Peraltro, agli operatori economici collocatisi nei primi cinque posti in graduatoria, viene riconosciuto, dal comma 2 dell’articolo 36, un diritto di accesso ancor più “ampio” perché ad essi sono resi “reciprocamente disponibili”, attraverso la stessa piattaforma, non solo gli “atti” di cui al comma 1, ma anche le offerte dagli stessi presentate (in particolare, quelle del secondo, terzo, quarto e quinto, la prima essendo conoscibile da tutti).
Sempre nell’art. 36, al comma 3 (da leggersi unitamente al comma 3 dell’art. 90), si prevede che nella comunicazione dell’aggiudicazione di cui all’art. 90, la stazione appaltante o l’ente concedente dà anche atto delle decisioni assunte sulle eventuali richieste di oscuramento di “parti” delle offerte in ragione della sussistenza di segreti tecnici o commerciali.
Pertanto, una volta intervenute l’aggiudicazione e, ai sensi dell’art. 90, la comunicazione digitale della stessa: – tutti i partecipanti non esclusi in modo definitivo dalla gara possono accedere, “direttamente, mediante piattaforma”, a tutto ciò (offerta dell’aggiudicatario, verbali, atti, dati e informazioni, ad eccezione delle offerte dei quattro operatori successivi al primo in graduatoria) che ha rappresentato un passaggio della procedura presupposto all’aggiudicazione medesima; – i primi cinque concorrenti in graduatoria hanno diritto ad accedere “direttamente mediante piattaforma” anche alle reciproche offerte, fatto salvo il caso in cui vi siano stati degli “oscuramenti”, da parte della P.A.; – l’eventuale oscuramento deve essere conseguenza di una specifica richiesta dell’operatore offerente, corredata da una dichiarazione “motivata e comprovata” in ordine alla sussistenza di segreti tecnici e commerciali; in secondo luogo, sia che tale richiesta sia stata accolta, sia che sia stata respinta, la stazione appaltante nella comunicazione dell’aggiudicazione deve puntualmente dar conto della propria decisione e della motivazione sottesa. Deve infine ritenersi che l’accesso alle parti oscurate può e deve essere comunque consentito, qualora esso sia “indispensabile” ai fini della difesa in giudizio degli interessi giuridici dell’operatore economico interessato, come rappresentati in relazione alla procedura di gara.
Ora, nel caso di specie, la dedotta “assenza nel Sistema Dinamico di Acquisizione della funzionalità che consente di rendere disponibili i documenti previsti dai commi 1 e 2 dell’articolo 36 del D. Lgs. n. 36/2023” non può certo esimere l’amministrazione dal detto dovere di trasparenza, potendo essa comunque inviare la detta documentazione al domicilio digitale degli operatori economici, senza necessità di una apposita istanza in tal senso.
Pertanto, la pretesa della ricorrente ad ottenere l’accesso a tutta la documentazione di gara (amministrativa, tecnica ed economica) è fondata e deve trovare soddisfazione, potendo la sottrazione all’accesso riguardare i soli contenuti dell’offerta rispetto ai quali siano state motivatamente riconosciute ragioni di segretezza, mentre la restante documentazione di gara rimane attratta entro l’ampio diritto d’informazione spettante ai primi cinque classificati – o, come in specie, agli operatori utilmente collocati in graduatoria in numero inferiore a cinque – riconosciuto dall’art. 36, comma 2, del d.lgs. 36/2023, fatti salvi i limiti indicati nell’art. 35 del Codice (che allo stato non sembrano venire in considerazione).
Quanto alla posizione della controinteressata e all’interesse alla riservatezza, tutelato mediante il suo coinvolgimento procedimentale, anche a prescindere dalla prevalenza dell’interesse difensivo (cfr., ex multis, T.A.R. Campania, Napoli, IV, 7 aprile 2023, n. 2176; id. III, 19 dicembre 2022, n. 7905; T.A.R. Campania, Salerno, II, 6 luglio 2020, n. 827; da ultimo, T.A.R. Sicilia Palermo, Sez. IV, 11 marzo 2024, n. 955; T.A.R. Napoli, IV Sez, 5 aprile 2024, n. 2228), deve osservarsi che l’opposizione formulabile in sede procedimentale – nonostante l’irrituale riferimento ad una sorta di “autorizzazione” piena all’ostensione contenuta nella più volte citata nota della Stazione appaltante n. 20903 del 18 aprile 2024 – non può essere generica, ma deve essere volta a rappresentare esigenze di segretezza tecnica o commerciale che sono meritevoli di tutela solo per le singole informazioni sottoposte a tutela brevettuale o a privativa industriale o commerciale, che siano puntualmente e motivatamente indicate dall’impresa controinteressata (T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. I, 24 gennaio 2022, n. 145; cfr. T.A.R. Bologna, Sez. II, 1 marzo 2023, n. 111), spettando al concorrente che si oppone all’accesso di indicare le parti dell’offerta che contengano segreti tecnici o commerciali, con una motivata e comprovata dichiarazione, secondo l’espressa previsione del citato art. 53 del D.Lgs. n. 50 del 2016 (cfr. Cons. Stato, sez. III, 16 febbraio 2021, n.1437; T.A.R. Lombardia, Milano, sezione prima, 7 marzo 2022, n. 543).
In ogni caso, resta comunque fermo l’onere della stazione appaltante di valutare motivatamente le argomentazioni offerte ai fini dell’apprezzamento dell’effettiva rilevanza per l’operatività del regime di segretezza (Cons. Stato, sez. III, 1 agosto 2022, n. 6750), tenendo conto che, se non risulta puntualmente comprovata la sussistenza di detti segreti, riprendono vigore i generali principi di trasparenza e pubblicità dell’azione amministrativa (sotto questo profilo, appare significativo in relazione alla vis espansiva della trasparenza anche nella materia dei contratti pubblici che il comma 6 dell’art. 36 del D.lgs 36/2023 consente alla stazione appaltante o all’ente concedente di segnalare all’Anac eventuali comportamenti elusivi degli operatori economici che reiterano continue richieste di oscuramento in assenza di reali rischi per i propri segreti tecnici e commerciali “nel caso di cui al comma 4 la stazione appaltante o l’ente concedente può inoltrare segnalazione all’ANAC la quale può irrogare una sanzione pecuniaria nella misura stabilita dall’articolo 222, comma 9, ridotta alla metà nel caso di pagamento entro trenta giorni dalla contestazione, qualora vi siano reiterati rigetti di istanze di oscuramento”; su tali principi, si richiama anche ex art 88 comma 2 lett. d, il precedente della Sezione, 3 luglio 2024, n. 4092, anche per la giurisprudenza ivi citata “(cfr., ex multis, T.A.R. Campania, Napoli, IV, 7 aprile 2023, n. 2176; id. III, 19 dicembre 2022, n. 7905; T.A.R. Campania, Salerno, II, 6 luglio 2020, n. 827; da ultimo, T.A.R. Sicilia Palermo, Sez. IV, 11 marzo 2024, n. 955; T.A.R. Napoli, IV Sez, 5 aprile 2024, n. 2228)”.
Nel caso di specie, non risulta comprovata l’esistenza di segreti tecnici e commerciali, avendo la controinteressata opposto generiche ragioni ostative, che peraltro attenevano ai presupposti legittimanti l’accesso da parte della odierna ricorrente. Le ragioni di riservatezza tecnica avrebbero dovuto invece essere supportate da una motivazione pertinente e da elementi specifici e in ogni caso avrebbero dovuto essere oggetto di autonoma valutazione da parte della stazione appaltante che invece, dapprima, ha inoltrato alla controinteressata l’istanza di accesso sollecitando una generica “autorizzazione” all’ostensione; e, successivamente ricevuta l’opposizione della controinteressata, si è astenuta da ogni decisione in merito, con la conseguente formazione del silenzio-diniego.
In conclusione, deve pertanto ritenersi che la stazione appaltante deve essere condannata alla ostensione integrale della documentazione richiesta dalla ricorrente, nel termine di 30 giorni, decorrenti dalla comunicazione in via amministrativa o dalla notificazione a cura di parte, se anteriore, della presente sentenza.
L’imparzialità di una procedura diretta alla conclusione di un contratto ad evidenza pubblica necessita di specifiche garanzie dirette ad assicurarne la trasparenza.
L’esigenza di trasparenza delle procedure di contrattazione pubblica e la garanzia del diritto di accesso ai relativi atti dovrà essere tuttavia venire contemperata con una esigenza di carattere diverso ed in un certo senso antitetico costituita dal diritto alla riservatezza di coloro che comunque siano stati coinvolti nella procedura di contrattazione pubblica .
Nella legislazione vigente le disposizioni dirette alla regolamentazione del rapporto tra diritto di accesso e quello alla riservatezza sono attualmente contenute negli articoli 35 e 36 del d.lgs. 31 marzo 2024 n. 36 (di seguito anche “Codice dei contratti pubblici“).
Iniziando con l’analisi del comma 1 dell’art 35 del Codice dei contratti pubblici, esso prevede un generale diritto di accesso agli atti relativi ad un procedura ad evidenza pubblica e ad essere garanti di quello che è un vero e proprio diritto saranno le stazioni appaltanti e gli enti concedenti. Tali organismi infatti dovranno assicurare anche in modalità digitale la facoltà di potere accedere agli atti delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici mediante acquisizione diretta dei dati contenuti nelle piattaforme di approvvigionamento digitale.
Si tratta di un obbligo di carattere generale che tuttavia in pendenza di esigenze di carattere specifico può trovare limitazioni.
Il diritto di accesso infatti sarà differito od addirittura escluso qualora ricorrano determinate situazioni secondo quanto previsto dai commi 2 e 4 dell’art. 35 del d.lgs. n. 36/2023.
Al comma 2 sono previste una serie di fattispecie diversificate a seconda della situazione concreta.
Nel caso in cui una di esse si configuri il diritto di accesso sarà differito sino al verificarsi di una seconda situazione indicata dalla stessa norma.
Ad esempio la fattispecie prevista dal comma 2 lett. a) dell’art. 35 del Codice che ha riguardo le procedure aperte, dispone che in relazione all’elenco dei soggetti che hanno presentato offerte il diritto di accesso debba ritenersi differito sino alla scadenza del termine per la presentazione delle stesse.
Ulteriori limitazioni per il diritto di accesso vengono previste dal comma 4 dell’art. 35 del Codice, che a differenza di quelle contenute nel comma 2 riguardano specifici atti dei quali viene esclusa la conoscibilità. Si tratta dei pareri legali ovvero delle relazioni del direttore tecnico dei lavori dei quali viene esclusa la conoscibilità da parte dei terzi.
Sin qui le limitazioni al diritto di accesso ma, accanto a tali fattispecie dirette ad operare in settori specifici, la normativa prevede con il comma 3 dell’art. 35 del d.lgs. n. 36/2023 anche un divieto generale di esercizio del diritto d’accesso sino alla conclusione delle fasi della procedura di evidenza pubblica.
La norma prosegue con una indicazione circa gli effetti di una violazione al divieto di ci sopra, nel caso infatti in cui la condotta venga posta in essere da parte di un pubblico ufficiale ovvero da un incaricato di pubblico servizio troverà applicazione l’art. 326 c.p. (Rivelazione od utilizzazione di un segreto).
In relazione all’accessibilità delle procedure di evidenza pubblica assume una grande importanza anche quanto previsto dal comma 1 dell’art. 36 del Codice dei contratti pubblici ossia uno specifico obbligo di comunicazione avente ad oggetto numerosi elementi relativi alla procedura ad evidenza pubblica. Infatti sarà onere degli enti concedenti e delle stazioni appaltanti provvedere ad una comunicazione agli offerenti ed ai candidati non definitivamente esclusi avvalendosi delle piattaforme di approvvigionamento. La norma precisa anche ulteriori elementi circa la comunicazione, anzitutto per quel che ne costituisce l’oggetto. Dovranno essere oggetto della comunicazione una serie di elementi individuati da parte della norma stessa. La comunicazione infatti dovrà necessariamente ricomprendere l’offerta dell’operatore economico risultato aggiudicatario, i verbali di gara, gli atti i dati e le informazioni presupposto dell’aggiudicazione.
Sul punto, inoltre, la giurisprudenza amministrativa (da ultimo Consiglio di Stato, sez. V, 04.06.2024 n. 5013) ha ricordato che:
a) il principio di trasparenza risponde anche all’esigenza di un controllo sull’azione amministrativa, particolarmente avvertita nella materia dei contratti pubblici e delle concessioni;
b) l’accesso agli atti nella materia dei contratti pubblici non è un sistema normativo compiuto e chiuso.
È noto che gli istituti dell’accesso documentale e dell’accesso civico generalizzato si pongono in rapporto di concorrenza integrativa, preordinata alla migliore fruizione dell’interesse conoscitivo. Concorrenza che consente, peraltro, la possibilità di strutturare in termini alternativi, cumulativi o condizionati la pretesa ostensiva. Un’istanza di accesso documentale, non accoglibile per l’assenza di un interesse attuale e concreto, potrà essere accolta sub specie di accesso civico generalizzato.
Il Considerando 126 della Direttiva n. 2014/24/UE prevede che la tracciabilità e la trasparenza del processo decisionale nelle procedure di appalto “è essenziale per garantire procedure leali nonché combattere efficacemente la corruzione e le frodi”; le stazioni appaltanti devono garantire alle parti interessate l’accesso a tali documenti.
Il Considerando n. 122 della stessa Direttiva prevede addirittura che “i cittadini, i soggetti interessati, organizzati o meno, e altre persone od organismi che non hanno accesso alle procedure di ricorso di cui alla Direttiva 98/665/CE hanno comunque un interesse legittimo in qualità di contribuenti a un corretto svolgimento delle procedere di appalto” e “dovrebbero avere la possibilità, con modalità diverse dal sistema di ricorso di cui alla Direttiva 89/665/CE e senza che ciò comporti necessariamente una loro azione dinanzi a corti e tribunali, di segnalare le eventuali violazioni della presente Direttiva all’autorità o alla struttura competente”.
L’amministrazione detentrice del documento e il giudice amministrativo adito nel giudizio di accesso ai sensi dell’art. 116 c.p.a. non devono svolgere alcuna valutazione sulla influenza o sulla decisività del documento richiesto nell’eventuale giudizio instaurato, poiché un simile apprezzamento compete, se del caso, solo all’autorità giudiziaria investita della questione e non certo all’amministrazione o allo stesso giudice amministrativo nel giudizio di accesso; pertanto la legittimazione all’accesso non può essere valutata facendo riferimento alla legittimazione della pretesa sostanziale sottostante, ma ha consistenza autonoma, indifferente allo scopo ultimo per cui viene esercitata (Consiglio di Stato sez. III, 3 novembre 2022, n. 9588).
Ciò che compete all’Amministrazione (e successivamente al Giudice, in sede di sindacato sull’operato di questa), sulla base della motivazione della richiesta di accesso, è la verifica dell’astratta inerenza del documento richiesto con la posizione soggettiva dell’istante e gli scopi che questi intende perseguire per il tramite dell’accesso. Ne consegue che l’Amministrazione non può subordinare l’accoglimento della domanda alla (propria) verifica della proponibilità e/o ammissibilità di azioni in sede giudiziaria; ciò in quanto il Giudice dell’accesso non è e non deve essere il Giudice della “pretesa principale” azionata o da azionare (Consiglio di Stato sez. IV, 1 marzo 2022, n. 1450).
Rimanendo sul piano astratto proprio delle osservazioni in rito, occorre rammentare che l’art. 24, co.7, della legge n. 241/1990, dedicato alle esclusioni dal diritto di accesso, nel disciplinare le eccezioni ai divieti di divulgazione di alcune categorie di documenti, menziona, oltre che le esigenze di difesa, anche quelle di cura dei propri interessi, idonee a ricomprendere, quindi, forme di tutela non necessariamente giurisdizionali o giustiziali, ma anche stragiudiziali. È stato, infatti, chiarito che l’accesso “difensivo” è “funzionale alla necessità dell’istante di «curare» (anche in sede pre- o stragiudiziale) o di «difendere» (in sede giudiziale) un bene-interesse giuridicamente rilevante oggetto della situazione giuridica soggettiva ‘finale’ asseritamente lesa” (Cons. Stato, Sez. VI, 8 febbraio 2021, n. 1154).
La più ampia nozione di “cura” accanto a quella di “difesa” adottata dal legislatore non consente, pertanto, di attribuire all’accesso difensivo una funzione esclusivamente servente e propedeutica all’instaurazione di un giudizio, con conseguente sopravvivenza dell’interesse all’accesso anche dopo lo spirare del termine per la proposizione del ricorso avverso l’aggiudicazione della gara.
È stato, più nel dettaglio, osservato che “deve escludersi che la sopravvenuta perdita dell’azione giurisdizionale a difesa di quest’ultima (per l’inutile decorso dei termini per il suo esercizio) implichi, quale conseguenza automatica, la consumazione dell’attualità dell’interesse all’ostensione dei documenti che rivelano l’illegittimità del provvedimento rimasto inoppugnato, a fronte di strumenti di protezione diversi ed ulteriori rispetto al ricorso giurisdizionale (quali, ad esempio, la formulazione di istanze di riesame, la sollecitazione dell’esercizio di poteri di autotutela, la presentazione di esposti, all’indirizzo delle autorità preposte al controllo della regolarità dell’azione amministrativa in questione, contenenti la denuncia di eventuali violazioni emerse dall’accesso, la formalizzazione di pretese risarcitorie…” (Cons. Stato, Sez. IV, 1 ottobre 2007, n. 5039).
7. Nel merito, il ricorso è, tuttavia, infondato.
La disciplina dell’accesso documentale agli atti delle procedure di affidamento dei contratti pubblici è contenuta nell’art. 53 del d.lgs. n. 50/2016, che, al comma 5, individua alcune deroghe al principio della generale accessibilità agli atti di gara, tra le quali, per quanto rileva in questa sede, quella di cui alla lettera a), che riguarda le “informazioni fornite nell’ambito dell’offerta o a giustificazione della medesima che costituiscano, secondo motivata e comprovata dichiarazione dell’offerente, segreti tecnici e commerciali”, così offrendo una tutela rinforzata alle forme di proprietà industriale che le imprese mettono in gioco all’interno della procedura selettiva, ma onerando, contestualmente, gli operatori interessati di esporre le ragioni della speciale protezione richiesta per l’invocato segreto. Il comma 6, poi, similmente all’art. 24, co.7, della legge n. 241/1990, prevede “un’eccezione all’eccezione”, riconoscendo una riespansione della conoscibilità dei dati, anche contenenti segreti tecnici e commerciale, allorché l’accesso a tali dati sia necessario “ai fini della difesa in giudizio dei propri interessi in relazione alla procedura di affidamento del contratto”, così optando per una prevalenza del diritto di difesa dell’istante – stavolta, però, solo “in giudizio” – rispetto alla tutela del know-how delle altre imprese.
7.1. Mentre, infatti, la formulazione dell’art. 24, co.7, della legge n. 241/1990 consente, a fronte delle più miti esigenze di riservatezza delle persone giuridiche a tutela di un interesse industriale o commerciale, che il richiedente l’accesso possa opporre quello alla mera cura dei propri interessi, l’art. 53, co. 6, del d.lgs. n. 50/2016, nel caso in cui sussistano le più pregnanti necessità di tutela del “segreto”, “cioè di un quid pluris rispetto alla mera “riservatezza” della documentazione oggetto dell’accesso” (Cons. Stato, Sez. III, 26 ottobre 2018, n. 6083), esige una giustificazione maggiormente qualificata, cioè la strumentalità dell’accesso alla difesa in giudizio.
7.2. In tale ipotesi, quindi, è onere: dell’istante, indicare e dimostrare l’esistenza del descritto nesso di strumentalità tra le informazioni richieste e la loro proficua spendibilità in giudizio; delle imprese controinteressate, allegare e provare prevalenti esigenze di tutela del segreto.
La pubblica amministrazione che riceve l’istanza di accesso e l’opposizione dei controinteressati – ovvero, in caso di ricorso avverso le determinazioni assunte, il giudice amministrativo – deve verificare, pertanto, che i controinteressati abbiano (innanzitutto) allegato e, poi, provato fatti indicativi dei possibili pregiudizi arrecati ad uno dei beni immateriali di cui all’art. 98 del d.lgs. 10 febbraio 2005, n. 98, dall’accoglimento dell’istanza di accesso, e che l’istante abbia, invece, quantomeno fornito un principio di prova circa l’utilità della documentazione alla difesa in giudizio dei propri interessi, “anche ricorrendo all’allegazione di elementi induttivi, ma testualmente espressi, univocamente connessi alla “conoscenza” necessaria alla linea difensiva e logicamente intellegibili in termini di consequenzialità rispetto alle deduzioni difensive potenzialmente esplicabili (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 15 marzo 2013, nr. 1568)” (Cons. Stato, Sez. IV, 14 maggio 2014, n. 2472, e, tra le più recenti, Cons. Stato, Sez. V, 18 settembre 2023, n. 8382).
7.3. É possibile, tuttavia, che la particolare struttura del disciplinare di gara avalli inferenze di tipo presuntivo circa la presenza nelle offerte di segreti tecnici e commerciali che attenuano l’onere probatorio concretamente richiesto ai controinteressati.
Nelle fattispecie, infatti, in cui la griglia di valutazione predisposta dalla stazione appaltante ai fini dell’individuazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa esalta, in termini di premialità, le abilità organizzative, gestionali e informatiche dei concorrenti, promuovendo un confronto sulla qualità dei progetti e l’originalità delle soluzioni proposte e richiedendo, quindi, agli operatori economici partecipanti un evidente sforzo inventivo e la correlata attività di investimento necessario a realizzarlo, la prova circa l’esistenza del segreto, almeno in quella parte dell’offerta tecnica in cui vengono illustrati gli aspetti più direttamente espressivi dell’identità dell’impresa, può ritenersi “alleggerita”, in quanto la partecipazione ad una procedura così impostata sollecita, inevitabilmente, in ogni partecipante la proposta di modelli rappresentativi del suo peculiare know-how. La motivazione a giustificazione della tutela del segreto tecnico e commerciale può essere, pertanto, tratta anche per relationem dalla consultazione dei documenti di gara, laddove i profili oggetto di scrutinio da parte della commissione giudicatrice identificano il tipo di informazioni aziendali che l’operatore economico rende visibili con la partecipazione alla competizione e, quindi, il livello di intrusione nei propri affari che subisce in caso di accesso.
Una lettura evolutiva della nozione di “segreto tecnico e commerciale” contenuta nell’art. 53, co.5, lett. a), del d.lgs. n. 50/2016 (e, oggi, nell’art. 35, co.4, lett. a), del d.lgs. 31 marzo 2023, n. 36) non può non tener conto, da un lato, del valore patrimoniale ormai riconosciuto alla contigua categoria dei “dati personali” in ambito consumeristico (vds. art. 135-octies, co.4, del d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206, introdotto dal d.lgs. 4 novembre 2021, n. 173, in attuazione della Direttiva (UE) 2019/770) e, dall’altro, del rafforzamento della tutela del know-how per effetto del d.lgs. 11 maggio 2018, n. 63, di attuazione della Direttiva (UE) 2016/943, che ha, tra l’altro, sia previsto la fattispecie colposa dell’illecita acquisizione o utilizzazione dei segreti industriali sia arricchito gli strumenti di tutela processuale del segreto mediante l’attribuzione al giudice del potere di inibirne la divulgazione ad ogni soggetto a vario titolo coinvolto nel giudizio (vds. i nuovi artt. 99 e 121-ter del d.lgs. 10 febbraio 2005, n. 30). Una puntuale ricostruzione della nozione di know-how è stata compiuta dalla Corte di Cassazione, che lo ha definito come quel “patrimonio cognitivo e organizzativo necessario per la costruzione, l’esercizio, la manutenzione di un apparato industriale (Sez. 5, n. 25008 del 18/05/2001, Rv. 219471). Ci si riferisce, con tale espressione, a una tecnica, o una prassi o, oggi, prevalentemente, a una informazione, e, in via sintetica, all’intero patrimonio di conoscenze di un’impresa, frutto di esperienze e ricerca accumulatesi negli anni, e capace di assicurare all’impresa un vantaggio competitivo, e quindi un’aspettativa di un maggiore profitto economico. Si tratta di un patrimonio di conoscenze il cui valore economico è parametrato all’ammontare degli investimenti (spesso cospicui) richiesti per la sua acquisizione e al vantaggio concorrenziale che da esso deriva, in termini di minori costi futuri o maggiore appetibilità dei prodotti. Esso si traduce, in ultima analisi, nella capacità dell’impresa di restare sul mercato e far fronte alla concorrenza. L’informazione tutelata dalla norma in questione è, dunque, un’informazione dotata di un valore strategico per l’impresa, dalla cui tutela può dipendere la sopravvivenza stessa dell’impresa” (Cass. pen., Sez. V, 4 giugno 2020, n. 16975).
D’altra parte, nella trama del d.lgs. n. 50/2016, si rinvengono diverse disposizioni che chiamano la stazione appaltante a valutare “d’ufficio” i rischi per “i legittimi interessi commerciali” degli operatori economici o per la “leale concorrenza tra questi” connessi alla divulgazione di determinate informazioni (art. 76, co. 4, ma, nello stesso senso, vds. anche gli artt. 98, co.5, 153, co.2, nonché, nel vigente d.lgs. n. 36/2023, gli artt. 90, co.3, 111, co.5, 184, co.6), a dimostrazione della presenza, all’interno del sistema di tutela della riservatezza commerciale, di interessi che trascendono quelli, privati, del detentore, e assumono una connotazione pubblicistica, a garanzia della libertà di concorrenza.
7.4. Nella vicenda all’esame di questo Collegio, il ricorrente ha partecipato alla procedura per l’affidamento del servizio di contact center bandito dall’A.n.a.c., considerato “ad alta intensità di manodopera” e, quindi, aggiudicato con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa. All’interno del Capitolato d’oneri allegato alla lettera d’invito, la stazione appaltante ha previsto l’attribuzione di un massimo di 70 punti all’offerta tecnica, sulla base di sub-criteri sia tabellari che discrezionali, questi ultimi previa valutazione di “una proposta tecnico-organizzativa”, contenuta in un’apposita “relazione tecnica” illustrativa, tra l’altro, del modello della struttura organizzativa, di gestione della forza lavoro, delle modalità di valutazione della customer satisfaction, di formazione del personale, di erogazione di servizi aggiuntivi e opzionali, di valutazione e controllo dei livelli e della qualità del servizio e delle soluzioni di sostenibilità ambientale.
Dal confronto tra la griglia di valutazione delle offerte tecniche contenuta nel capitolato d’oneri e lo schema di offerta tecnica che le imprese partecipanti erano chiamate a compilare, la conoscenza integrale delle informazioni riportate nei paragrafi A “organizzazione e modalità di erogazione dei servizi di governo”, C “formazione del personale”, D “organizzazione e modalità di erogazione dei servizi principali e opzionali” ed E “strumenti e funzionalità a supporto dell’erogazione dei servizi” appare idonea a rivelare, tramite una loro lettura “reticolare”, la precipua identità di un’impresa operante in quel settore e, quindi, quella “precisa configurazione e combinazione dei loro elementi” che consente di considerare “segrete” “le informazioni aziendali e le esperienze tecnico-industriali”, ai sensi dell’art. 98 del d.lgs. n. 30/2005, indipendentemente dalla natura “tabellare” o “discrezionale” della capacità professionale che il singolo dato esprime.
7.5. In un sistema definito “a doppia mandata” (Cons. Stato, Sez. V, 18 settembre 2023, n. 8382), in cui l’autorità (amministrativa o giudiziaria) investita dell’istanza di accesso deve contemporaneamente accertare l’interesse del richiedente e quello dell’opponente e stabilirne la rispettiva meritevolezza, l’indagine sulla posizione del primo si concentra, invece, sul grado di utilità che il “documento al quale è chiesto l’accesso” è in grado di portare a beneficio di “una situazione giuridicamente tutelata”, previo riscontro di un “collegamento” tra l’uno e l’altra (art. 22, co.1, lett. b), della legge n. 241/1990).
Nell’ambito delle procedure ad evidenza pubblica, quando l’accesso interferisce con segreti tecnici o commerciali, cioè con beni dai quali dipende, come sopra ricordato, l’effettività della stessa libertà di iniziativa economica, riconosciuta dall’art. 41 della Costituzione, l’interesse del concorrente non aggiudicatario non ottiene una tutela assoluta e indiscriminata, ma subordinata all’esistenza di un rapporto di “stretta indispensabilità” tra l’accesso ai documenti contenenti segreti tecnici e commerciali e le sue esigenze difensive, nel senso che la mancata conoscenza dei primi deve paralizzare completamente le seconde.
Il Consiglio di Stato, nella sua più autorevole composizione, ha, infatti, affermato che “L’eccezione di cui alla lett. a) è posta a tutela della riservatezza aziendale, al fine di evitare che gli operatori economici in diretta concorrenza si servano dell’accesso per acquisire informazioni riservate sul know-how del concorrente, costituenti segreti tecnici e commerciali, e ottenere così un indebito vantaggio e ha una natura assoluta perché, nel bilanciamento tra gli opposti interessi, il legislatore ha privilegiato quello, prevalente, della riservatezza, a tutela di un leale gioco concorrenziale, delle caratteristiche essenziali dell’offerta quali beni essenziali per lo sviluppo e per la stessa competizione qualitativa, che sono prodotto patrimoniale della capacità ideativa o acquisitiva della singola impresa (Cons. St., sez. V, 7 gennaio 2020, n. 64), salva la necessità, per un altro concorrente, di difendersi in giudizio, unica eccezione all’eccezione ammessa (art. 53, comma 6, del d. lgs. n. 50 del 2016” (Cons. Stato, Ad. Pl., 2 aprile 2020, n. 10).
Laddove il richiedente non provi, anche in via indiziaria, che non è possibile difendere i propri interessi se non con la disponibilità delle informazioni riservate, il presupposto in questione non può dirsi integrato, in quanto il pregiudizio inferto alla segretezza del know-how risulterebbe ingiustificato.
Conseguentemente, la giurisprudenza esclude che generici riferimenti “a non meglio precisate esigenze probatorie e difensive” siano sufficienti per entrare in possesso del know-how altrui (Cons. Stato, Sez. V, ord. 24 gennaio 2023, n. 787). In tal caso, infatti, esisterebbe un chiaro segnale della natura “esplorativa” dell’accesso, che l’ordinamento non ammette, se non nei limiti dell’accesso civico, di cui si dirà infra.
7.6. Nel caso di specie, il Consorzio ricorrente non ha fornito neanche un principio di prova circa la propedeuticità della parte di documentazione non conosciuta all’esercizio del proprio diritto di difesa.
Se, infatti, il decorso dei termini per la proposizione della domanda di annullamento non vale a privare il ricorrente della legittimazione ed all’interesse ad agire, in quanto, come si è detto, sono astrattamente ipotizzabili forme alternative di tutela dei propri interessi, è anche vero che la decadenza in cui è incorso ai fini della contestazione dell’aggiudicazione aggrava l’onere di dimostrare, in concreto, l’utilità dell’accesso integrale alle offerte tecniche delle concorrenti rispetto alla dichiarata intenzione di difendersi, indicando, almeno a grandi linee, l’ipotesi di illegittimità o di errore in cui ritiene che sia incappata la commissione giudicatrice, per aver, ad esempio, acquisito aliunde indizi circa l’incapacità di un’impresa classificatasi in posizione migliore in graduatoria ad onorare proposte commerciali più competitive della propria.
L’istanza di accesso, con la quale il ricorrente ha richiesto indistintamente la trasmissione di tutta la documentazione della gara (verbali, documentazione amministrativa, copia delle offerte tecniche ed economiche “comprensiva di eventuali allegati”, documentazione probatoria del possesso dei requisiti di partecipazione, relazioni giustificative dell’anomalia dell’offerta, chiarimenti resi in fase di soccorso istruttorio), appare effettivamente preordinata a quel “controllo generalizzato dell’operato delle pubbliche amministrazioni” che l’art. 24, co. 3, della legge n. 241/1990 intende sottrarre alle finalità legittimamente perseguibili con l’accesso documentale, in quanto intestato agli organi di controllo interno delle pubbliche amministrazioni, nonché al giudice contabile.
Non può ritenersi esaustivo dichiarare, nell’istanza, che “l’ostensione degli atti è certamente necessaria ed imprescindibile per la formulazione delle censure che si andranno a proporre nelle apposite sedi” ovvero esprimere, nel ricorso ex art. 116 c.p.a., l’intendimento di voler “contestare le modalità di attribuzione dei punteggi tecnici e dunque il complessivo operato della Commissione di gara”, in quanto si tratta di affermazioni che disvelano un uso improprio dell’accesso documentale. Tale strumento postula, infatti, richieste “mirate”, finalizzate a verificare la possibilità di un esito alternativo del procedimento evidenziale per effetto di una diversa valutazione delle offerte, che sia, però, suffragata pur sempre da “tracce” preesistenti rispetto alla domanda di accesso.
La genericità (e onnicomprensività) dell’istanza di accesso formulata recide, in conclusione, quel legame tra il documento e l’interesse che l’art. 22, co.1, lett. b), della legge n. 241/1990 eleva a condizione generale per l’esercizio del diritto di accesso, ancor di più al cospetto di segreti tecnici e commerciali.
7.7. Né convince la tesi che l’art. 36, co.2, del d.lgs. n. 36/2023, comunque non applicabile alla vicenda in esame, abbia rimosso ogni ostacolo alla conoscenza integrale delle reciproche offerte da parte delle imprese che occupano i primi cinque posti in graduatoria. La norma in questione si inserisce, infatti, all’interno di una più articolata disposizione che detta le regole procedimentali (e processuali) dell’istituto delineato dal nuovo codice dei contratti pubblici, imponendone una lettura sistematica, che armonizzi l’indubbia semplificazione procedimentale determinata dall’utilizzo delle piattaforme telematiche di negoziazione con un’invariata tutela dei segreti tecnici e commerciali, alla quale sono dedicati i successivi commi. L’accoglimento delle eventuali “richieste di oscuramento di parti delle offerte” produce, evidentemente, effetti nei confronti di tutti i concorrenti e, quindi, anche per i primi cinque in graduatoria, ancorché ciascuno di essi goda di un canale più veloce per l’accesso alla documentazione degli altri quattro, ma pur sempre “al netto” dei segreti tecnici e commerciali. A ben vedere, il medesimo art. 36 richiamato dal ricorrente, all’ultimo comma, prevedendo che il dies a quo per impugnare l’aggiudicazione decorre “comunque” dalla comunicazione di cui all’art. 90, offre anche argomenti per un ridimensionamento dell’interesse all’accesso una volta che siano spirati i termini per contestare in giudizio l’aggiudicazione, così superando definitivamente la tesi, fatta propria dal ricorrente nella memoria di replica, che “la consumazione del termine decadenziale di impugnazione e il consolidamento degli atti di gestione della gara potrebbero non verificarsi laddove risulti pendente un’istanza di accesso tempestivamente presentata e concretamente idonea a determinare una dilazione temporale, la quale si verifica nel caso in cui i motivi di ricorso conseguano effettivamente alla conoscenza dei documenti richiesti”.
Non appaiono, pertanto, condivisibili interpretazioni atomistiche dei singoli commi, che restituiscono solo una visione parziale dell’istituto, dotato di una fisionomia ben più complessa.
In materia di accesso ai documenti relativi al procedimento concorsuale o di gara da parte di chi vi abbia partecipato, la giurisprudenza amministrativa ritiene che l’interesse “sottostante”, che legittima all’esercizio del diritto, sia ravvisabile, di fatto, in re ipsa (cfr. Cons. Stato n. 1115/2009).
Inoltre, la giurisprudenza da tempo ha precisato che l’interesse all’accesso rappresenta una situazione giuridicamente autonoma e non necessariamente coincidente in senso stretto con quello all’impugnativa di un provvedimento amministrativo.
Proprio l’autonomia dell’interesse all’accesso comporta l’irrilevanza della circostanza che gli atti concorsuali oggetto della domanda siano divenuti, in tesi, definitivi ed inoppugnabili, nonché dell’eventuale infondatezza o inammissibilità della domanda giudiziale che il richiedente – una volta conosciuti gli atti – potrebbe proporre (cfr. Cons. Stato n. 5111/2015).
A conferma di ciò, l’art. 24 della L. n. 241 del 1990 garantisce l’accesso proprio a quegli atti la cui conoscenza sia necessaria per curare o difendere i propri interessi giuridici (cfr. comma 7).
Non v’è dubbio alcuno, pertanto, che il ricorrente sia titolare, nella specie, di un interesse diretto, concreto e attuale corrispondente a una situazione giuridicamente tutelata e collegata ai documenti ai quali ha chiesto l’accesso, anche al fine di curare e difendere i propri interessi giuridici.
Poiché dall’accesso a detti documenti potrebbero innegabilmente scaturire opportunità di più compiuta e completa difesa in giudizio per la posizione del ricorrente, devono ritenersi pienamente sussistenti i presupposti di legge per l’accoglimento del ricorso, con conseguente annullamento del parziale diniego dell’Amministrazione.
In proposito, come è noto, in base all’art 53. D.lgs. n. 50/2016, l’accesso «alle informazioni fornite nell’ambito dell’offerta o a giustificazione della medesima che costituiscono, secondo motivata e comprovata dichiarazione dell’offerente, segreti tecnici o commerciali» è tendenzialmente escluso, salvo nei confronti del «concorrente al fine della difesa in giudizio dei propri interessi in relazione alla procedura di affidamento del contratto».
Nella disciplina vigente, dunque, è riconosciuto l’interesse qualificato del concorrente ad accedere agli atti di gara, risolvendosi a favore del diritto di difesa – e quindi dell’accesso – il conflitto trasversalmente latente e sin troppo strumentalmente immanente che in materia di appalti si instaura rispetto ai profili di riservatezza che possano riguardate segreti tecnici o commerciali avvalendosi dei quali si sia giunti a confezionare l’offerta di gara.
Del resto, sempre restando su un piano generale, la stessa scelta a monte di partecipare ad una procedura pubblica di selezione – con le esigenze di trasparenza che la connotano – implica necessariamente il rischio di una possibile “pubblicizzazione” del segreto tecnico o commerciale, essendo evidente che, proprio in correlazione all’insorgere di un possibile contenzioso in relazione alla stessa, la parte, in prima battuta, o se del caso il Giudice, nell’esercizio dei propri poteri istruttori, potrebbero realisticamente utilizzare in tutto o in parte per le esigenze del giudizio il materiale astrattamente coperto da segreto, in tal modo inevitabilmente pubblicizzandolo.
Nello stesso partecipare ad una procedura di evidenza pubblica vi è dunque una potenziale “accettazione del rischio” di pubblicizzazione dei contenuti dell’offerta, con particolare riguardo all’insorgere di esigenze processuali.
Le contrarie posizioni espresse dal Consiglio di Stato in alcune isolate pronunce (cfr. Cons. Stato, Sez. V, n. 64/2020) non possono essere condivise e sono state palesemente superate dall’evoluzione normativa contemporanea.
Come è noto, il nuovo Codice Appalti 2023 (cfr. D.Lgs. n. 36/2023)ha introdotto una nuova disciplina dell’accesso agli atti di gara che, pur non applicandosi direttamente alla procedura in esame ratione temporis, è oltre modo significativo rispetto alle tendenze ideologico culturali, oltre che ovviamente giuridiche, verso le quali il sistema sta evolvendo. Una novità rilevante è sicuramente prevista all’art. 36: con la comunicazione digitale dell’aggiudicazione, verranno rese note anche le decisioni assunte dalla Stazione appaltante sulle richieste di oscuramento di parti delle offerte, formulate dagli offerenti a tutela dei loro segreti tecnici o commerciali. In tal modo si vuole palesemente accelerare la procedura; gli operatori non dovranno più formulare alcuna istanza di accesso. Inoltre, ai primi cinque classificati in graduatoria, sarà consentito visionare reciprocamente le rispettive offerte, sempre attraverso le piattaforme informatiche. Ma si noti che tutto verrà deciso in autonomia dalla Stazione appaltante al momento di valutazione delle offerte: non è previsto un preliminare avviso all’offerente, quale controinteressato, circa l’intenzione di rendere visibili le parti di offerte indicate come segrete, né viene disciplinato un contraddittorio sul punto prima dell’aggiudicazione. Le decisioni sulle richieste di oscuramento, comunicate appunto contestualmente all’aggiudicazione, potranno essere impugnate solamente per le vie giudiziali, nel breve termine – ai limiti del giugulatorio – di dieci giorni. Il quadro che emerge è, per l’appunto, quello della pubblicizzazione integrale della gara pubblica e l’eradicazione, si spera definitiva di tutto il contenzioso sviluppatosi negli ultimi anni sulla, spesso strumentale, difesa del c.d. know how industriale e commerciale.
Nel caso di specie, entrambe le parti hanno fornito ampia allegazione del proprio interesse qualificato e differenziato – ex art. 24 Cost. – all’ottenimento della documentazione richiesta, che pertanto dovrà essere reciprocamente ed integralmente ostesa, senza limitazioni di sorta.
Ne consegue l’integrale accoglimento di entrambe le istanze di accesso per come introdotte in atti.
5.2 Come evidenziato di recente da Cons. Stato, sez. V, 7 gennaio 2021, n. 224 merita di essere condiviso l’orientamento dalla Corte di cassazione, (Cass. civ., sez. lav., 9 luglio 2020, n. 14629) secondo cui “… Con riguardo all’onere motivazionale delle sentenze, il c.p.c. non esige l’originalità delle modalità espositive né vieta l’uso del contenuto di altri scritti. L’originalità delle modalità espositive della sentenza non risulta richiesta, contemplata o anche solo “auspicata” nel codice di rito. Nel codice si richiede, piuttosto, che una motivazione esista, sia chiara, comprensibile, coerente (pertanto non solo apparente); in nessun punto del codice risulta richiesta, invece, una motivazione espressa con modalità espositive “inedite”. Peraltro, nella disciplina processuale civile non risulta in alcun modo vietato riportare in sentenza il contenuto di scritti (altre sentenze, atti amministrativi, scritti difensivi di parte o più in generale atti processuali) la cui paternità non sia attribuibile all’estensore. Anzi, specie nelle riforme legislative degli ultimi anni e nella giurisprudenza di legittimità, sembra emergere una tendenza addirittura contraria; e ciò è ormai reso inevitabile anche dalla necessità di dare concreta attuazione al principio costituzionale della ragionevole durata del processo”.
5.3 A conferma di quanto precede osserva il collegio che nel codice del processo amministrativo non solo non si rinviene un divieto di riportare il contenuto di scritti di parte ma è espressamente affermato il principio opposto, suscettibile di applicazione in tutti i casi in cui prevalgono esigenze di peculiare speditezza del giudizio, come avviene nel contenzioso per opere ricomprese negli interventi P.n.r.r..
5.4 Il riferimento è al contenzioso in materia elettorale e, segnatamente all’articolo 129, comma 6, laddove si prevede che “Il giudizio è deciso all’esito dell’udienza con sentenza in forma semplificata, da pubblicarsi nello stesso giorno. La relativa motivazione può consistere anche in un mero richiamo delle argomentazioni contenute negli scritti delle parti che il giudice ha inteso accogliere e fare proprie”.
5.5. Tale modalità redazionale della sentenza è stata di recente confermata dal nuovo codice dei contratti pubblici, a conferma di un trend legislativo orientato ad assicurare la massima celerità del giudizio, attraverso il ricorso a strumenti di semplificazione. L’art. 36 del d. lgs. n. 36 del 2023 recante “Norme procedimentali e processuali in tema di accesso” prevede infatti, al comma 7, che “Il ricorso di cui al comma 4 è fissato d’ufficio in udienza in camera di consiglio nel rispetto di termini pari alla metà di quelli di cui all’articolo 55 del codice di cui all’allegato I al decreto legislativo n. 104 del 2010 ed è deciso alla medesima udienza con sentenza in forma semplificata, da pubblicarsi entro cinque giorni dall’udienza di discussione, e la cui motivazione può consistere anche in un mero richiamo delle argomentazioni contenute negli scritti delle parti che il giudice ha inteso accogliere e fare proprie”. 5.6 Da quanto precede può dunque desumersi il tendenziale consolidarsi di un principio di portata generale secondo cui nel bilanciamento tra esigenze di garanzia e quelle del buon andamento del processo, inteso come forma necessaria del giudizio e quindi dell’accertamento giudiziale, le esigenze di celerità e quelle proprie dell’amministrazione c.d. di risultato, giustificano l’ammissibilità di tecniche motivazionali finalizzate a semplificare la fase di stesura della motivazione – spesso connotata da particolare complessità e quindi suscettibile di dilatare in modo significativo i tempi di deposito della sentenza e quindi di definizione del processo, in tal modo vanificando la stessa utilità della decisione – anche mediante il solo il rinvio alle argomentazioni delle parti che il giudice, condividendole, ritenga di far proprie, assumendole al fine di dare evidenza all’iter logico giuridico che ha condotto alla decisione.
5.7 L’unico limite a tale possibilità è rappresentato dalla necessità che la motivazione, in tal modo predisposta mediante l’ausilio diretto del contributo ricostruttivo ed interpretativo delle parti, non sia una motivazione apparente ma realmente idonea a dar conto delle ragioni giuridiche della decisione; siffatte ragioni, sebbene formalmente elaborate dalle parti nella dinamica del contraddittorio, ben possono essere fatte proprie dal giudice e così assunte a volontà oggettiva dell’ordinamento nel procedimento di sussunzione dei fatti nello schema astratto delle fattispecie normativamente predeterminate e di qualificazione giuridica che ne consegue.
5.8. Non si tratta di acritica ricezione di argomentazioni altrui ma di una mera semplificazione del processo di giustificazione formale della decisione giudiziale assunta, che presuppone, in ogni caso, un attento vaglio critico ed una accurata selezione degli argomenti giuridici da comporre in un discorso argomentativo chiaro, esaustivo, rispetto a tutte le questioni poste e trattate dalle parti e, soprattutto, logico, nella connessione dei fatti accertati e delle ragioni giuridiche addotte.
5.9 Ed anche quanto il giudice assume e fa proprio il materiale argomentativo elaborato da una delle parti per accoglierne la domanda, non viene meno al dovere di imparzialità e di terzietà e quindi ai principi del giusto processo poiché tale operazione rappresenta comunque l’esito di un processo logico di vaglio e di selezione critica di tutte le argomentazioni, in fatto ed in diritto, prospettate dalle parti nella dinamica del contraddittorio, alla luce delle disposizioni di legge ritenute pertinenti al caso.
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