La pronuncia ha ribadito i consolidati orientamenti in materia di pubblicità delle sedute di gara.
Innanzitutto la regola generale, segnatamente con riguardo al momento dell’apertura delle buste contenenti le offerte (economiche), implica necessariamente l’obbligo del seggio di gara di portare preventivamente a conoscenza dei concorrenti il giorno, l’ora e il luogo della seduta della commissione di gara, in modo da garantire loro l’effettiva possibilità di presenziare allo svolgimento delle operazioni di apertura dei plichi pervenuti alla stazione appaltante, atteso che tale adempimento risulta implicitamente necessario ai fini dell’integrazione del carattere di pubblicità della seduta (in termini Consiglio di Stato, sez. V, 28 maggio 2004, n. 3471) (Tar Lecce, sez. II, 3 febbraio 2016, n. 254).
Nelle gare pubbliche … la pubblicità delle sedute risponde all’esigenza di tutela non solo della parità di trattamento dei concorrenti, ai quali deve essere permesso di effettuare gli opportuni riscontri sulla regolarità formale degli atti prodotti e di avere così la garanzia che non siano successivamente intervenute indebite alterazioni, ma anche dell’interesse pubblico alla trasparenza ed all’imparzialità dell’azione amministrativa, le cui conseguenze negative sono difficilmente apprezzabili ex post una volta rotti i sigilli ed aperti i plichi, in mancanza di un riscontro immediato; trattasi di regola che costituisce corretta interpretazione dei principi comunitari e di diritto interno in materia di trasparenza e di pubblicità nelle gare per i pubblici appalti (Cons. St., sez. IV, 20 gennaio 2015, n. 132).
La violazione della regola della pubblicità della seduta di gara comporta l’invalidità di tutti gli atti della procedura selettiva, senza che rilievi l’assenza di prova dell’effettiva lesione sofferta dai concorrenti, trattandosi di adempimento posto a tutela non solo della parità di trattamento tra gli stessi, ma anche dell’interesse pubblico alla trasparenza ed all’imparzialità dell’azione amministrativa, le cui conseguenze negative non sono apprezzabili ex post (Cons. Stato, Ad. Plen., 28 luglio 2011 n. 13; Cons. St., sez. V, 16 giugno 2009 n. 3844; Id., sez. V, 4 marzo 2008 n. 901) (Tar Lecce, 254/2016 cit.).
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Cauzione definitiva – Invio alla Stazione Appaltante – Termine perentorio fissato dal RUP – Violazione – Revoca dell’aggiudicazione – Legittimità (art. 32 , art. 103 d.lgs. n. 50/2016)
TAR Milano, 24.08.2017 n. 1766
La circostanza che la lex specialis non preveda un termine per l’invio della documentazione necessaria ai fini della stipula del contratto, tra cui quella comprovante la costituzione della cauzione definitiva, non impedisce all’amministrazione di imporre un termine perentorio per l’espletamento di tale adempimento: ciò risponde, invero, alla finalità di evitare che la fase provvisoria si protragga indefinitamente (TAR Lazio, sez. II bis, 2.9.2005, n. 6527; TAR Liguria, sez. II, 19.2.2005, n. 266; T.A.R. Campania, Napoli, sez. I, 20/07/2006, n. 7610; Cons. di St., V, 6.7.2002, n. 3718, secondo cui “la stazione appaltante, in effetti, pur in assenza di riferimenti specifici nella normativa di gara, ben poteva imporre, di suo, un termine perentorio per la produzione della documentazione in parola da parte dell’aggiudicataria provvisoria, anche per evitare che si protraesse indefinitamente la fase preliminare al perfezionamento della procedura e quindi all’operatività dell’affidamento del servizio, purché, sia chiaro, il termine fosse ragionevole e congruo”) e ad assicurare il rispetto dell’obbligo, che grava sulle parti, di addivenire alla stipula del contratto, entro il termine previsto all’art. 32, c. 8, d.lgs. n. 50/2016.
Il responsabile unico del procedimento, nell’assegnare un termine perentorio per la produzione della documentazione necessaria per la stipula del contratto e, in particolare, per quanto rileva in questa sede, per l’invio della cauzione definitiva, non ha dunque modificato la lex specialis, non ha violato l’art. 11 del disciplinare di gara né il principio di tassatività delle cause di esclusione di cui all’art. 83, c. 8, d.lgs. n. 50/2016 e neppure l’art. 103, c. 3 del codice dei contratti. (…)La mancata presentazione della garanzia, entro il termine prestabilito, costituisce, infatti, giusto motivo di revoca della aggiudicazione: ciò in quanto essa costituisce atto vincolato rispetto alla clausola del disciplinare di gara (l’art. 11), che prevede, tra i documenti da presentare a pena di esclusione, la costituzione della cauzione definitiva (cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 20 aprile 2010, n. 2199; sez. VI, 25 gennaio 2008; sez. V, 21 aprile 2006, n. 2267) ed a quanto previsto dall’amministrazione con la nota del 24 novembre 2016, atto con cui l’amministrazione si è autovincolata a dare applicazione alla sanzione della perdita dell’aggiudicazione nel caso di mancato rispetto del termine assegnato.
Inoltre, ai sensi dell’art. 103, c. 3, d.lgs. n. 50/2016, “la mancata costituzione della garanzia di cui al comma 1 determina la decadenza dell’affidamento e l’acquisizione della cauzione provvisoria presentata in sede di offerta da parte della stazione appaltante, che aggiudica l’appalto o la concessione al concorrente che segue nella graduatoria”.
L’amministrazione non era quindi onerata di motivare il provvedimento di revoca con sopravvenuti motivi di interesse pubblico né di concedere un nuovo termine per consentire alla ricorrente di produrre la documentazione mancante.
Silenzio assenso formatosi sulla proposta di aggiudicazione – Effetti – Conseguenze – Disciplina nuovo Codice dei contratti (art. 32 d.lgs. n. 50/2016)
TAR Salerno, 12.07.2017 n. 1153
I due ricorsi hanno, infatti, ad oggetto essenzialmente il verbale di valutazione delle offerte della Commissione aggiudicatrice del 20 febbraio 2017. Tale provvedimento non ha la forza di concludere la procedura di gara, perché deve essere seguito dall’approvazione dello stesso da parte della stazione appaltante e dal provvedimento finale con cui l’amministrazione competente, e non la commissione aggiudicatrice, aggiudica definitivamente la gara al soggetto ritenuto tecnicamente migliore dalla commissione di gara.
Il verbale di aggiudicazione provvisoria è impegnativo nei soli confronti della società aggiudicataria e non anche dell’amministrazione che ha bandito la gara, la quale è, comunque, tenuta a svolgere una ulteriore valutazione di opportunità dell’offerta indicata nel verbale, cui consegue l’aggiudicazione definitiva, che presuppone un’attività di verifica dell’amministrazione in ordine alla regolarità della procedura e all’opportunità e convenienza , nel quadro dell’interesse pubblico, della scelta operata dalla commissione di gara, e ove l’esito di tale ponderazione risulti negativo, l’amministrazione può procedere all’annullamento della gara.
Del resto, la giurisprudenza consolidata, già sotto il vigore del vecchio codice degli appalti (d.lgs. 163/2016), aveva evidenziato che l’atto finale della procedura di gara è l’aggiudicazione definitiva. L’aggiudicazione provvisoria ha natura di atto endoprocedimentale, ad effetti instabili ed interinali, soggetta, ai sensi dell’art. 12 d.lg. 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/Ce e 2004/18/Ce), all’approvazione dell’organo competente (cfr., Cons. Stato, sez. VI, 13/06/2013, n. 3310).
E’ stato, peraltro, evidenziato che l’aggiudicazione provvisoria, ai sensi dell’art. 12, d.lg. 12 aprile 2006 n. 163, è soggetta ad approvazione della stazione appaltante ed il provvedimento di approvazione non costituisce un atto vincolato, poiché in esso si esprime un’ulteriore valutazione della stazione appaltante circa la regolarità nello svolgimento della procedura e la convenienza della stipulazione del contratto, dovendo quindi essa svolgere nuove ed autonome considerazioni rispetto all’aggiudicazione provvisoria, tant’è che l’impugnazione di questa è considerata una mera facoltà mentre è sempre necessario che il concorrente non aggiudicatario impugni l’aggiudicazione definitiva. L’aggiudicazione provvisoria è, pertanto, un atto ad effetti instabili, del tutto interinali, a fronte del quale non possono configurarsi situazioni di vantaggio stabili in capo al beneficiario. In attesa dell’aggiudicazione definitiva e del concreto inizio del servizio non vi è alcuna posizione consolidata dell’impresa concorrente che possa postulare il riferimento in sede di revoca dell’aggiudicazione ad un interesse pubblico giustificativo del sacrificio del privato e l’Amministrazione ha altresì il potere di provvedere all’annullamento dell’aggiudicazione provvisoria in via implicita e senza obbligo di particolare motivazione (ex plurimis,T.A.R. Lazio, sez. II, 09/11/2009, n. 10991).
Si è, peraltro, sostenuto in pubblica udienza che, con il decorso del tempo idoneo per approvare l’aggiudicazione provvisoria, si sarebbe formato tacitamente un provvedimento di aggiudicazione tacita definitiva.
Tale ricostruzione non può essere seguita perché priva di fondamento normativo.
In particolare, anche qualora si volesse applicare la disciplina in tema di contratti pubblici, va rilevato che la giurisprudenza amministrativa aveva già avvertito che in tema di gara per l’affidamento di appalti pubblici, l’art. 12, d.lg. 12 aprile 2006 n. 163, determina, nel caso di inutile decorso del termine, la formazione del silenzio assenso sull’approvazione dell’aggiudicazione provvisoria, ma non integra il perfezionamento dell’aggiudicazione definitiva, la quale richiede una manifestazione di volontà espressa della p.a.; in particolare, la stazione appaltante, a fronte dell’approvazione dell’aggiudicazione provvisoria, conserva il potere discrezionale di procedere o meno all’aggiudicazione definitiva, sicché il relativo provvedimento, adottato (non solo da Autorità diversa rispetto a quella competente ai fini dell’aggiudicazione provvisoria, ma anche) nell’esercizio di un potere e sulla base di presupposti inassimilabili rispetto a quelli relativi alla medesima aggiudicazione provvisoria, impone una separata impugnazione, in difetto della quale il consolidamento dei relativi effetti priva parte ricorrente dell’interesse all’ulteriore coltivazione dell’impugnativa. T.A.R. Palermo, (Sicilia), sez. I, 07/09/2011, n. 1603.
Questi principi, delineati nel vigore del vecchio codice degli appalti, sono stati ribaditi anche con il nuovo codice dei contratti pubblici (d.lgs. 50/2016); in particolare, l’art. 32, comma 5, prevede che la “stazione appaltante, previa verifica della proposta di aggiudicazione ai sensi dell’articolo 33, comma 1, provvede all’aggiudicazione”. L’articolo 33, comma 1, prevede che la proposta di aggiudicazione è soggetta ad approvazione dell’organo competente secondo l’ordinamento della stazione appaltante e nel rispetto dei termini dallo stesso previsti, decorrenti dal ricevimento della proposta di aggiudicazione da parte dell’organo competente. In mancanza, il termine è pari a trenta giorni. Il termine è interrotto dalla richiesta di chiarimenti o documenti e inizia nuovamente a decorrere da quando i chiarimenti o documenti pervengono all’organo richiedente. Decorsi tali termini, la proposta di aggiudicazione si intende approvata”.
Tale disposizione dimostra che ciò che si forma tacitamente è l’approvazione dell’aggiudicazione provvisoria non anche l’aggiudicazione definitiva. L’art. 33, co. 1, si riferisce solo all’approvazione dell’aggiudicazione provvisoria, non anche alla formazione (tacita) dell’aggiudicazione definitiva, che, invece, trova la sua disciplina nell’art. 32, co. 5; norma che dimostra la necessità che l’aggiudicazione, per i complessi interessi sottesi e le esigenze che intende soddisfare, non può che rivestire le forme del provvedimento espresso.
Del resto, come visto, tale impostazione era quella fatta propria dalla giurisprudenza nel vigore del vecchio codice degli appalti, in cui esisteva una disciplina sostanzialmente simile a quella contenuta nel codice dei contratti pubblici.
Non essendo stato, quindi, emesso il provvedimento di aggiudicazione definitiva, i ricorsi diretti avverso esclusivamente l’aggiudicazione provvisoria sono inammissibili.
Verifica dei requisiti in capo all’aggiudicatario – Esito – Non riapre i termini per ricorso giurisdizionale – Omessa impugnazione dell’aggiudicazione definitiva – Preclusa declaratoria di inefficacia del contratto (art. 32 , art. 33 d.lgs. n. 50/2016)
Secondo una costante giurisprudenza, la verifica ex art. 48 del D.Lgs. n. 163 del 2006 [oggi, art. 33 d. lgs. n. 50/2016, n.d.r.] non può essere utilizzata strumentalmente per riaprire i termini per impugnare l’aggiudicazione definitiva. Una volta selezionata la migliore offerta ed intervenuta l’aggiudicazione definitiva da parte della stazione appaltante all’esito della verifica di legittimità sugli atti della commissione, la procedura di gara risulta esaurita e ciò che ad essa segue, vale a dire il controllo sul possesso dei requisiti in capo all’aggiudicatario e al concorrente che segue in graduatoria ove già non assoggettati a controllo per sorteggio è fase successiva alle operazioni di gara, che non riguarda tutti i concorrenti ma unicamente i migliori due offerenti ed integra l’efficacia dell’aggiudicazione stessa ai soli fini della stipulazione del contratto. Il concorrente che intende contestare l’esito a lui sfavorevole della selezione delle offerte ha, dunque, l’onere di impugnare tempestivamente il provvedimento di aggiudicazione, in quanto esso cristallizza il risultato scaturente dalla comparazione delle offerte. L’omessa impugnazione nel termine decadenziale del risultato delle operazioni di gara ne determina l’inoppugnabilità, precludendo all’interessato la sua ulteriore contestazione e con essa l’accesso alle fasi successive verso la stipula del contratto” (T.A.R. Sardegna, I, 19.4.2012, n. 390; nello stesso senso T.A.R. Valle d’Aosta, 16.2.2011, n. 13; T.A.R. Campania-Napoli, I, 12.4.2010, n. 1905).
A ciò si aggiunga che, anche a voler ammettere l’autonoma impugnabilità per vizi propri – in assenza di impugnazione dell’aggiudicazione definitiva – della successiva fase di verifica dei requisiti integrativa della sua efficacia, nel caso di specie il ricorso sarebbe comunque irricevibile perché tardivo, avendo l’amministrazione, in esito ad apposita istanza, comunicato l’esito positivo di tale verifica con la nota 14.10.2016, comunicata via pec in pari data (cfr. docc. 13 e 14 delle produzioni 13.1.2017 di parte ricorrente) e impugnata soltanto in data 23.12.2016.Allorquando l’aggiudicazione definitiva dell’appalto è divenuta inoppugnabile, la società non aggiudicataria non ha più alcun interesse a contestare la successiva fase di verifica dei prescritti requisiti, che attiene soltanto alla “efficacia” – non già alla legittimità, e dunque alla validità – della disposta aggiudicazione (così l’art. 32 comma 7 del d.lgs. n. 50/2016), in vista della stipulazione del contratto. In particolare, la mancata impugnazione dell’aggiudicazione definitiva preclude al giudice di dichiarare l’inefficacia del contratto, che può essere disposta – ex art. 121 e 122 c.p.a. – soltanto all’esito dell’annullamento dell’aggiudicazione definitiva medesima.
Proposta di aggiudicazione – Revoca – Comunicazione di avvio del procedimento (art. 33 d.lgs. n. 50/2016)
Con l’entrata in vigore del nuovo codice, l’aggiudicazione provvisoria è stata sostituita dalla “proposta di aggiudicazione”, di cui all’art. 33 del d. lgs. 18 aprile 2016, n. 50: non di meno, in prima approssimazione, si possono richiamare gli orientamenti giurisprudenziali formatisi sull’atto di aggiudicazione provvisoria, cui si riferiva il previgente codice degli appalti.
Ciò vale anzitutto per la tesi, del tutto condivisibile, per cui l’aggiudicazione provvisoria, facendo nascere in capo all’interessato solo una mera aspettativa alla definizione positiva del procedimento stesso, non è individuabile come provvedimento conclusivo della procedura di evidenza pubblica, avendo, per sua natura, un’efficacia destinata ad essere superata: per cui, ai fini della suo ritiro non vi è obbligo di avviso di avvio del procedimento (così, da ultimo C.d.S., III, 5 ottobre 2016, n. 4107).
Così, nelle gare pubbliche, “la possibilità che all’aggiudicazione provvisoria della gara d’appalto non segua quella definitiva è un evento del tutto fisiologico, disciplinato dagli artt. 11 comma 11, 12 e 48, d.lg. 12 aprile 2006, n. 163, inidoneo di per sé a ingenerare qualunque affidamento tutelabile con conseguente obbligo risarcitorio” (C.d.S., V, 21 aprile 2016, n. 1600); per lo stesso motivo, “non è richiesto un particolare onere motivazionale a sostegno della revoca del procedimento, mentre dopo l’aggiudicazione definitiva e prima della stipula del contratto, la revoca è pur sempre possibile, salvo un particolare e più aggravato onere motivazionale” (T.A.R. Lazio, II, 5 settembre 2016, n. 9543).
Ne segue che il ritiro dell’aggiudicazione provvisoria può essere censurato, oltre che per violazione della norma di legge eventualmente invocata dalla Stazione appaltante a fondamento della sua decisione, soltanto in caso di manifesta illogicità o irrazionalità della scelta amministrativa compiuta: e ciò vale anche per il caso che tale decisione trovi il proprio fondamento, come nel caso, nel bando di gara, giacché è pur sempre la stessa aspettativa transitoria a chiedere tutela.
1) Appalti – Motivi di ricorso “intrusi” – Inammissibilità – 2) Approvazione degli atti di gara per l’aggiudicazione definitiva – Finalità – (art. 32 d.lgs. n. 50/2016)
Consiglio di Stato, sez. V, 13.04.2017 n. 1769
1. Il Tribunale amministrativo ha correttamente applicato il combinato dei commi 1, lett. d), e 2 dell’art. 40 cod. proc. amm., secondo cui il ricorso deve contenere «i motivi specifici» su cui esso si fonda, mentre i motivi «proposti in violazione del comma 1, lettera d), sono inammissibili».
Le norme in questione sono interpretate dall’incontrastata giurisprudenza di questo Consiglio di Stato nel senso che incorrono nella comminatoria di inammissibilità in questione i motivi di impugnazione disseminati nell’ambito della narrativa in fatto e di cui non è in alcun modo chiara la configurabilità quali vere e proprie censure (cfr. Cons. Stato, V, 31 marzo 2016, n. 1268). Come peraltro precisato dalla pronuncia ora richiamata, attraverso il principio di specificità delle censure enunciato dall’art. 40 del cod. proc. amm. si persegue l’obiettivo di incentivare la redazione di ricorsi dal contenuto chiaro e di porre argine ad una prassi in cui i ricorsi oltre ad essere poco sintetici, non contengono una esatta suddivisione tra fatto e motivi, con il conseguente rischio che trovino ingresso i c.d. ‘motivi intrusi’, ossia i motivi inseriti nelle parti del ricorso dedicate al fatto, che, a loro volta, ingenerano il rischio della pronuncia di sentenze che non esaminino tutti i motivi per la difficoltà di individuarli in modo chiaro e univoco e, di conseguenza, incorrano in un vizio revocatorio (nel medesimo senso: Cons. Stato, VI, 4 gennaio 2016, n. 8, 25 ottobre 2012, n. 5469).2. Si deve al riguardo precisare che queste norme di lex specialis vanno intese in senso ampio, al di là del loro tenore letterale, perché espressive del potere generalmente spettante all’amministrazione di verificare tutti i presupposti di legge o che comunque essa reputi necessari per l’affidamento di un contratto. Incluso in questo potere vi è poi anche quello di approvare gli atti di gara ai fini dell’aggiudicazione definitiva. Il potere in questione è in particolare previsto per i contratti soggetti al previgente codice di cui al citato d.lgs. n. 163 del 2006 dall’art. 12, comma 1, ma è incontestabilmente attribuito ad ogni amministrazione, perché attraverso di esso quest’ultima esercita un controllo non solo di legittimità ma anche nel merito dell’operato della commissione giudicatrice, al fine di verificare la rispondenza dell’offerta presentata agli obiettivi di interesse pubblico da conseguire attraverso il contratto posto a gara.