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Costi della manodopera : ribasso diretto ammissibile ma comporta verifica di anomalia (art. 41 d.lgs. 36/2023)

TAR Catania, 11.11.2024 3739

Ai sensi dell’art. 41, comma 14, del d.lgs. 36 del 2023 “Nei contratti di lavori e servizi, per determinare l’importo posto a base di gara, la stazione appaltante o l’ente concedente individua nei documenti di gara i costi della manodopera secondo quanto previsto dal comma 13. I costi della manodopera e della sicurezza sono scorporati dall’importo assoggettato al ribasso. Resta ferma la possibilità per l’operatore economico di dimostrare che il ribasso complessivo dell’importo deriva da una più efficiente organizzazione aziendale”.
Tale norma, ad avviso del Collegio, deve essere interpretata in maniera coerente con:
(i) l’articolo 108, comma 9, del d.lgs. n. 36 del 2023, che prescrive al concorrente di indicare nell’offerta economica, a pena di esclusione, i costi della manodopera, oltre agli oneri di sicurezza aziendali;
(ii) l’art. 110, comma 1, del d.lgs. n. 36 del 2023, ai sensi del quale “Le stazioni appaltanti valutano la congruità, la serietà, la sostenibilità e la realizzabilità della migliore offerta, che in base a elementi specifici, inclusi i costi dichiarati ai sensi dell’articolo 108, comma 9, appaia anormalmente bassa. Il bando o l’avviso indicano gli elementi specifici ai fini della valutazione”.
Se ne deduce che i costi della manodopera sono assoggettabili a ribasso, come è del resto precisato dall’ultimo periodo del comma 14 dell’art. 41 citato, secondo cui: “Resta ferma la possibilità per l’operatore economico di dimostrare che il ribasso complessivo dell’importo deriva da una più efficiente organizzazione aziendale”.
Se, infatti, il legislatore avesse voluto considerare tali costi fissi e invariabili, non avrebbe avuto senso richiedere ai concorrenti di indicarne la misura nell’offerta economica, né avrebbe avuto senso includere anche i costi della manodopera tra gli elementi che possono concorrere a determinare l’anomalia dell’offerta (T.A.R. Toscana, sez. IV, 29.01.2024, n. 124).
Una diversa lettura del quadro normativo di riferimento, visto nel suo insieme, determinerebbe un’eccessiva compressione della libertà d’impresa, in quanto l’operatore economico, operando un ribasso, potrebbe dimostrare che quest’ultimo sia correlato a soluzioni innovative e più efficienti, oppure, soprattutto in ipotesi di appalto di servizi, come quello per cui è causa, alla sua appartenenza ad un comparto, per il quale viene applicato un CCNL diverso da quello assunto come riferimento dalla stazione appaltante.
Tale eventualità, da ammettersi anche in quanto coerente con il principio di libera iniziativa economica di cui all’art. 41 Cost., può concretizzarsi a condizione che questo “indiretto” ribasso dei costi della manodopera risulti coerente con una “più efficiente organizzazione aziendale” che l’operatore dovrà dimostrare in sede di verifica dell’anomalia, doverosamente promossa dalla stazione appaltante (Consiglio di Stato sez. V, 09/06/2023, n. 5665; T.A.R. Calabria, Reggio Calabria, 8/02/2024, n. 119; T.A.R. Sicilia, Palermo sez. II, 19/12/2023, n. 3779; T.A.R. Campania, Napoli, sez. V, 07/11/2023, n. 6128).
Ove si ritenesse, invero, che sussista un divieto indiscriminato di ribasso dei costi relativi alla manodopera, il risultato ultimo sarebbe quello di attribuire alla stazione appaltante il potere di standardizzare tali costi verso l’alto, mediante la sostanziale imposizione del CCNL dalla stessa individuato.
[…] Da ciò discende che, alla luce di quanto previsto dal comma 14 dell’art. 41 del d.lgs. n. 36 del 2023, l’offerta dell’operatore economico che applichi il ribasso anche ai costi della manodopera non è esclusa dalla gara, ma è assoggetta alla verifica dell’anomalia, nella cui sede l’operatore economico avrà l’onere di dimostrare che il ribasso deriva da una più efficiente organizzazione aziendale oltre il rispetto dei minimi salariali.

Affidamento diretto : necessaria indicazione costi della manodopera ?

Anche per gli affidamenti diretti – dove non viene effettuata una procedura di gara – è necessaria l’ indicazione dei costi della manodopera e degli oneri aziendali per l’adempimento delle disposizioni in materia di salute e di sicurezza sui luoghi di lavoro.
Lo afferma la delibera n. 396/2024 dell’Autorità Nazionale Anticorruzione.
Il caso di specie trae origine dalla richiesta di un parere precontenzioso presentata all’ANAC in ordine alla necessità di indicare il costo della manodopera anche nel caso in cui ci si trovi in presenza nel caso di affidamento diretto ai sensi di quanto previsto dall’art. 50, comma 1, lett b), D.Lgs. n. 36/2023.
L’ANAC propende per l’estensione dell’obbligo di indicazione dei costi della manodopera anche nel caso di un affidamento diretto, sulla base di un esame del contenuto della normativa vigente ed in particolare di quanto previsto dall’art. 108, comma 9, del nuovo Codice dei contratti pubblici che dispone: “nell’offerta economica l’operatore indica, a pena di esclusione i costi della manodopera e gli oneri aziendali per l’adempimento delle disposizioni in materia di salute e di sicurezza sul luoghi di lavoro.”
Si tratta, come a più riprese osservato dalla dottrina e dalla giurisprudenza, di un obbligo volto a tutelare interessi di natura sovraindividuale quali la salute pubblica e la sicurezza sui luoghi di lavoro. Come precisato dal Consiglio di Stato nella sentenza n. 9078/2023 si tratta di una disposizione di carattere imperativo, che impone una eterointegrazione ai sensi di quanto previsto dall’art. 1339 Codice Civile nei confronti degli atti di gara che risultino lacunosi o che contengano disposizioni contrarie.
La norma, ove se ne esamini il contenuto non contiene eccezioni di alcun tipo pertanto pare applicabile a tutte le procedure di gara senza esclusione alcuna. A favore della interpretazione fornita l’ANAC rileva altresì che ai sensi dell’art. 48, comma 4, D.Lgs. n. 36/2023 “Ai contratti di importo inferiore alle soglie di rilevanza europea si applicano se non derogate dalla presente Parte, le disposizioni del Codice.” Si tratta di un rinvio normativo che estende anche agli affidamenti diretti tutte le disposizioni contenute nel Codice.
Pertanto anche nell’ambito di un affidamento diretto l’operatore economico che presenta l’offerta dovrà indicare i costi della manodopera ai sensi dell’ art. 108, comma 9, D.Lgs. n. 36/2023.

Requisito della distanza rispetto alla sede della Stazione Appaltante : limiti (art. 108 d.lgs. 36/2023)

TAR Milano, 25.10.2024 n. 2888

È invece fondata l’altra censura, contenuta sempre nel primo motivo del ricorso per motivi aggiunti, relativa alla violazione dell’art. 108, comma 4, d.lgs. n. 36/2023.
L’art. 108, comma 4, cit., prevede che la stazione appaltante introduce nei “documenti di gara … i criteri di aggiudicazione dell’offerta, pertinenti alla natura, all’oggetto e alle caratteristiche del contratto. In particolare, l’offerta economicamente più vantaggiosa, individuata sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo, è valutata sulla base di criteri oggettivi, quali gli aspetti qualitativi, ambientali o sociali, connessi all’oggetto dell’appalto”; inoltre, stabilisce che la stazione appaltante “al fine di assicurare l’effettiva individuazione del miglior rapporto qualità/prezzo dell’offerta dei concorrenti, valorizza gli elementi qualitativi dell’offerta e individua criteri tali da garantire un confronto concorrenziale effettivo sui profili tecnici”.
La stazione appaltante gode quindi di ampia discrezionalità nella scelta dei criteri di valutazione delle offerte per meglio perseguire l’interesse pubblico; tale scelta, è sindacabile in sede di giurisdizione di legittimità solo allorché sia illogica, irragionevole ed irrazionale oppure sei criteri non sono trasparenti ed intellegibili.
Nel caso in esame, la stazione appaltante non ha valorizzato la prossimità dell’impianto di smaltimento quale requisito speciale di partecipazione alla gara (art 10 del d.lgs. n. 36/2023). Ha invece valorizzato la prossimità da un lato quale criterio di valutazione dell’offerta tecnica (profilo tecnico) e dall’altro lato quale elemento premiale del concorrente (profilo economico) (art. 108 del d.lgs. n. 36/2023).
Sotto il profilo tecnico, l’operatore che dispone di un impianto distante meno di 30 km dalla sede legale della stazione appaltante matura 35 punti per l’offerta tecnica per il sol fatto di disporre dell’impianto (art. 17.1, lett. B), del disciplinare).
Sotto il profilo economico, l’operatore che dispone di un impianto distante meno di 30 km dalla sede legale della stazione appaltante non è tenuto a sostenere il costo del trasporto dei rifiuti dalla sede legale a quella dell’impianto dal momento che tale costo rimane integralmente a carico della stazione appaltante. Viceversa, in caso di “distanze pari o superiori al limite anzidetto”, al fine di ridurre i maggiori costi gravanti sulla stazione appaltante “per manutenzioni, carburante, personale, e organizzazione aziendale”, l’operatore “dovrà contribuire alle spese di trasporto” (art. 9 del capitolato).
Dunque, l’unico presupposto costituito dalla vicinanza dell’impianto alla sede legale riceve una duplice valorizzazione, tecnica ed economica.
In questo modo, la stazione appaltante ha stabilito di attribuire un significativo punteggio tecnico (35 punti pari alla metà di quelli previsti) per la sola disponibilità di un impianto vicino alla propria sede legale.
Non è evidente però quale sia la particolare qualità tecnica di un impianto che si trova vicino (meno di 30 km) alla sede legale della stazione appaltante rispetto ad un altro impianto che risulta collocato ad una maggiore distanza.
Inoltre, non si evince la ragione tecnica sulla base della quale si è deciso di attribuire un così significativo punteggio tecnico (35/70 punti) in base alla distanza che l’impianto ha rispetto alla “sede legale” della stazione appaltante, fermo restando che l’art. 182-bis, comma 1, cit., collega il principio di prossimità “ai luoghi di produzione o raccolta” e non alla sede legale della stazione appaltante per l’evidente constatazione che soltanto il primo caso consente di “ridurre i movimenti dei rifiuti”.
Ne consegue che l’operatore che invera la fattispecie della prossimità rispetto alla sede legale, indicata nel bando, godrà soltanto per questo di un sicuro vantaggio concorrenziale, prescindendo dalle caratteristiche tecniche della sua offerta.
Difatti, non dovendo sostenere costi operativi per il trasporto dei rifiuti, il predetto operatore avrà la possibilità: i) di proporre un’offerta (tecnica ed economica) complessivamente migliore (considerando il maggior punteggio che otterrebbe per l’offerta economica potendo escludere i costi di trasporto); ii) di proporre un’offerta economica complessivamente più remunerativa (sapendo di maturare un alto punteggio per l’offerta tecnica in relazione alla voce della collocazione dell’impianto, l’operatore è indotto ad offrire un prezzo maggiore, compensando così il possibile minor punteggio per l’offerta economica con quello già acquisito per l’offerta tecnica).
Simili previsioni di gara, nella parte in cui stabiliscono, senza plausibile ragione, di attribuire la metà del punteggio tecnico in palio per la prossimità dell’impianto rispetto alla sede legale della stazione appaltante, non risultano idonee, ai sensi dell’art. 108, comma 4, cit., a “garantire un confronto concorrenziale effettivo sui profili tecnici” della proposta negoziale dei concorrenti, poiché di fatto riducono fortemente il confronto concorrenziale sui reali elementi tecnici dell’offerta.
Inoltre, tali previsioni, nel prevedere al contempo (anche) un vantaggio economico per l’operatore che si trova nella situazione di prossimità, non sono adeguate, ai sensi dell’art. 108, comma 4, cit., ad “assicurare l’effettiva individuazione del miglior rapporto qualità/prezzo” della proposta, poiché incoraggiano offerte non competitive o sconvenienti, favorendo di fatto l’operatore che invera la condizione della prossimità; questi, sapendo di ottenere un duplice vantaggio per la prossimità, è infatti portato a proporre un’offerta economica non conveniente per la stazione appaltante oppure a presentare un’offerta tecnica meno competitiva in relazione agli elementi diversi dalla prossimità.

Sicurezza sul lavoro: obblighi e doveri in caso di appalto pubblico

Premessa.

In materia di igiene e sicurezza sul lavoro la Costituzione italiana (articoli 2, 32 e 41) prevede la tutela della persona umana nella sua integrità psico-fisica come principio assoluto ai fini della predisposizione di condizioni ambientali sicure e adeguate. Anche la giurisprudenza ha più volte affermato che la tutela del diritto alla salute del lavoratore si configura come diritto all’incolumità fisica e come diritto ad un ambiente di lavoro salubre anche nell’ambito degli appalti pubblici. L’indicazione degli oneri per la sicurezza nelle gare di appalto concorre a presidiare la tutela delle condizioni di lavoro e di parità di trattamento dei concorrenti (Consiglio di Stato sez. III, 28.10.2022 n. 9312) costituendo infatti l’appalto pubblico, tramite l’azione amministrativa conseguente, un’occasione per garantire il raggiungimento di tale fondamentale obiettivo.
Il d.lgs. 81/2008, mediante il riordino in un unico testo, in attuazione dell’articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, rappresenta il riassetto delle norme in materia di salute e sicurezza delle lavoratrici e dei lavoratori nei luoghi di lavoro. Il citato decreto legislativo garantisce, attraverso il rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, un insieme uniforme di disposizioni e principi per la tutela delle lavoratrici e dei lavoratori sul territorio nazionale anche con riguardo alle differenze di genere e di età, di cui gli appalti pubblici devono tenere conto nella predisposizione degli atti di gara (art. 47 comma 4 del d.lgs. 36/20023).
La stessa ANAC nel 2008, a seguito dell’introduzione del d.lgs. 81/2008, affermò: “si tratta di un ulteriore passo in attuazione di un importante obiettivo strategico dell’Autorità; contribuire con il suo ruolo istituzionale, ad un progressivo innalzamento del livello di sicurezza nell’esecuzione dei contratti pubblici”.

Secondo il codice civile, art. 2087, “L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei  prestatori di lavoro”: pertanto la salute costituisce oggetto, come sopra evidenziato, di un autonomo diritto primario assoluto.
La prescrizione dell’art. 2087 c.c. rappresenta una norma generale che consente certamente di ampliare l’oggetto dell’obbligazione dell’imprenditore in relazione alle specifiche caratteristiche dell’impresa e del servizio reso.

La prima figura chiamata a garantire la salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, dovendo evitare potenziali pericoli dovuti all’esercizio dell’attività, è infatti il datore di lavoro: egli è il soggetto titolare – secondo il d.lgs. 81/2008 – del rapporto di lavoro con il lavoratore, ha la responsabilità dell’organizzazione stessa o dell’unità produttiva ed esercita poteri decisionali e di spesa con riferimento all’ organizzazione aziendale a cui fa capo.
Il datore di lavoro deve provvedere, in sintesi, alla prevenzione, all’informazione, alla formazione, alla consultazione dei lavoratori, ponendo in essere strumenti di controllo e vigilanza: deve adottare conseguentemente le condotte atte a prevenire nella propria organizzazione il rischio di infortuni adottando azioni, misure ed interventi volti ad evitare che un evento dannoso (incidente, malattia, infortunio) si verifichi.

 

L’offerta economica e gli oneri di sicurezza.

Anche il vigente Codice dei contratti pubblici evidenzia l’importanza del rispetto delle disposizioni in materia di tutela della sicurezza negli ambienti di lavoro in ogni fase dell’affidamento.
Diverse sono le disposizioni nel d.lgs. 36/2023 che pongono in stretta ed imprescindibile relazione le norme che regolano la sicurezza nei luoghi di lavoro con le regole degli appalti pubblici. In un contratto d’appalto non è possibile non considerare la sicurezza dei lavoratori nei cantieri come una condizione da valutare e presidiare costantemente da parte della committenza pubblica. Per questo l’offerta economica deve indicare, a pena di esclusione, oltre ai costi della manodopera, gli oneri aziendali per l’adempimento delle disposizioni in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro eccetto che nelle forniture senza posa in opera e nei servizi di natura
intellettuali (art. 108, comma 9, d.lgs. 36/2023) ed è in alcuni casi necessario considerare, dall’origine dell’istruttoria, i rischi di interferenza durante lo svolgimento della prestazione da eseguire a tutela dei diversi prestatori d’appalto coinvolti contestualmente nell’esecuzione dell’appalto.
Inoltre non sono ammesse giustificazioni (come dispone l’art. 110 del d.lgs. 36/2023) in relazione agli oneri di sicurezza di cui alla normativa vigente in materia (d.lgs. 81/2008) ed è prevista l’esclusione dell’offerta qualora risultino incongrui gli oneri aziendali della sicurezza stessi, come prevede il citato art. 108, comma 9, “rispetto all’entità e alle caratteristiche dei lavori, dei servizi e delle forniture”.

Negli appalti pubblici, come giurisprudenza amministrativa conferma, gli oneri di sicurezza aziendali sono quelli che l’appaltatore deve sostenere per garantire la sicurezza dei lavoratori nell’esecuzione dell’appalto, essi sono “rimessi alla esclusiva sfera di valutazione del singolo partecipante e, di conseguenza, non possono essere determinati rigidamente ed unitariamente dalla stazione appaltante, poiché variano da un’impresa all’altra e sono influenzati nel loro ammontare dall’organizzazione produttiva e dal tipo di offerta” (Consiglio di Stato, sez. V, 15.01.2018 n. 177).

Gli oneri della sicurezza costituiscono costi aziendali, dovuti alle misure obbligatorie per legge, per la gestione del rischio “proprio” connesso all’attività svolta e alle misure operative gestionali (come identificati sostanzialmente nel documento di valutazione dei rischi di cui all’art. 18 del d.lgs. 81/2008 ed includono i D.P.I., la sorveglianza sanitaria, la gestione delle emergenze, l’addestramento e l’informazione, il servizio di prevenzione e protezione) della singola impresa.

Gli oneri di sicurezza aziendali rientrano, dunque, nell’offerta economica, quale elemento essenziale, che l’operatore presenta alla stazione appaltante come costo variabile da sostenere per l’esecuzione dell’appalto.

Come ribadito dalla sentenza del Consiglio di Stato, sez. V, 20.02.2024 n. 1677, “La necessaria indicazione degli oneri per la sicurezza aziendale risponde, pertanto, all’esigenza di tutela del lavoro sotto il profilo della salute e della sicurezza dei lavoratori (art. 32 Cost.), così come l’altrettanto necessaria indicazione dei costi della manodopera tutela il lavoro per il profilo relativo alla giusta retribuzione di cui all’art. 36 Cost.”.
Secondo diffusa giurisprudenza gli oneri di sicurezza aziendale, rappresentando un elemento costitutivo dell’offerta avente una particolare natura, devono avere una separata identificabilità che presuppone una rigida inalterabilità a presidio degli interessi pubblici sottesi alla relativa disciplina legislativa (Consiglio di Stato, sez. III, 31.05.2022 n. 4406; sez. V, 11.12.2020, n. 7943; sez. V, 24.04.2017, n. 1896).

Tuttavia una recente sentenza del TAR Napoli, 21.03.2024 n. 1838, ha evidenziato che si possa procedere ad una richiesta di chiarimento qualora sia presente un’indicazione degli oneri aziendali di sicurezza abnormemente elevata e palesemente incongrua non solo in assoluto (in relazione al tipo di gara e al prezzo complessivo offerto), ma anche rispetto alla comparazione con i costi indicati da tutti gli altri aggiudicatari del medesimo bando, nonché con riferimento alle incidenze rilevate in tale settore economico.
Infatti con la citata sentenza è stato evidenziato, ad esempio, che l’indicazione abnorme e sproporzionata degli oneri aziendali da parte della società offerente può indurre l’Amministrazione correttamente a chiedere all’offerente “in omaggio ai principi di buona fede e leale collaborazione (art. 1, comma 2-bis, l. 241 del 1990 e, in via interpretativa, art. 5 d.lgs. n. 36 del 2023), che devono ispirare tutta la gara pubblica, oltre che la fase esecutiva del contratto, di chiarire tale dato e di correggerlo, fermo restando l’immodificabilità dell’offerta economica e del relativo ribasso offerto”.
L’offerta in quanto entità originaria dell’offerta economica deve rimane sostanzialmente invariata, così come il ribasso offerto sul prezzo, ma: “in sede di verifica dell’anomalia, è consentita la modifica delle giustificazioni delle singole voci di costo, rispetto alle giustificazioni già fornite, come pure l’aggiustamento delle singole voci di costo per sopravvenienze di fatto o normative ovvero al fine di porre rimedio a originari e comprovati errori di calcolo, sempre che resti ferma l’entità dell’offerta economica in ossequio alla regola della immodificabilità dell’offerta stessa” (come tra l’altro è stato richiamato anche dal T.A.R. Napoli, Sez. I, n. 1166 del 2023).

 

Il possesso di specifica patente per le imprese e i lavoratori autonomi che operano nei cantieri temporanei o mobili. Condizioni.

Il citato collegamento tra le norme che regolano gli appalti e le norme che regolano la materia della prevenzione dei rischi negli ambienti di lavoro è di recente rappresentato dalla novità introdotta con l’art. 29, comma 19, lettera a), del decreto-legge 2 marzo 2024, n. 19, convertito dalla legge n. 56 del 2024. L’importanza di prevenire sempre di più gli incidenti negli ambienti di lavoro ha portato ad una novità nell’ordinamento, a decorrere dal 1° ottobre 2024, prevedendo una “patente a crediti”, ossia un sistema di qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi che rafforza il legame intercorrente tra la l’applicazione di misure di sicurezza nelle organizzazioni d’impresa e gli appalti pubblici. Con la circolare n. 4 dell’Ispettorato del Lavoro del 23 settembre 2024 sono state fornite agli operatori indicazioni in merito alle modalità di predisposizione della domanda e dell’invio in questa prima fase di attuazione.
Infatti sono tenuti al possesso di una patente, a garanzia dell’idoneità professionale e tecnica, le imprese e i lavoratori autonomi che operano nei cantieri temporanei o mobili di cui all’ articolo 89, comma 1, lettera a) del dlgs. 81/2008, ad esclusione, ovviamente, di coloro che effettuano mere forniture o prestazioni di natura intellettuale.
La patente in argomento avrà un punteggio iniziale di 30 crediti e consentirà alle imprese e ai lavoratori autonomi di operare nei cantieri temporanei o mobili con una dotazione pari o superiore a 15 crediti (nel caso di assenza di provvedimenti di decurtazione del punteggio, la patente è incrementata di un credito per ciascun biennio successivo al rilascio della stessa, sino ad un massimo di 20 crediti). I crediti subiranno aumenti secondo i presupposti e le modalità previste nella tabella allegata all’allegato 1 bis del decreto legge 19/2024, che indica le violazioni e le corrispondenti decurtazione di crediti dalla patente.
La patente è rilasciata, in formato digitale, dall’Ispettorato nazionale del lavoro subordinatamente al possesso dei seguenti requisiti:
a) iscrizione alla camera di commercio industria artigianato e agricoltura;
b) adempimento, da parte dei datori di lavoro, dei dirigenti, dei preposti, dei lavoratori autonomi e dei prestatori di lavoro, degli obblighi previsti dal presente decreto;
c) possesso del documento unico di regolarità contributiva in corso di validità;
d) possesso del documento di valutazione dei rischi, nei casi previsti dalla normativa vigente;
e) possesso della certificazione di regolarità fiscale, di cui all’articolo 17-bis, commi 5 e 6, del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, nei casi previsti dalla normativa vigente;
f) avvenuta designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, nei casi previsti dalla normativa vigente.
In particolare l’iscrizione alla camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura, il possesso del DURC e della certificazione di regolarità fiscale sono attestati mediante autocertificazione ai sensi dell’art. 46 del DPR 445/2000, mentre gli adempimenti formativi, il possesso del DVR e la designazione del RSPP sono attestati mediante dichiarazioni sostitutive ai sensi dell’art. 47 del medesimo decreto.
La novella introduce nell’ambito degli adempimenti a carico del committente o responsabile dei lavori nei suddetti cantieri temporanei o mobili, l’obbligo di verifica del possesso della summenzionata patente.
Sono esclusi dall’obbligo:
– i soggetti, come detto, che effettuano mere forniture o prestazioni di natura intellettuale e quelli in possesso di un documento equivalente di un altro Stato;
– alcune classi di imprese, nell’ambito di quelle in possesso dell’attestazione di qualificazione SOA richiesta dal codice dei contratti pubblici per l’aggiudicazione di lavori di importo superiore a determinati limiti (cfr.l’art. 100, comma 4, del codice degli appalti prevede al comma 4 che “Per le procedure di aggiudicazione di appalti di lavori di importo pari o superiore a 150.000 euro le stazioni appaltanti richiedono che gli operatori economici siano qualificati. L’attestazione di qualificazione è rilasciata da organismi di diritto privato autorizzati dall’ANAC”).

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    Principio di invarianza , cristallizzazione delle offerte e della immodificabilità della graduatoria : finalità ed applicazione operativa

    TAR Milano, 30.09.2024 n. 2521

    Il principio di invarianza oggi codificato all’art. 108, c. 12, d.lgs. n. 36/2023 – e in precedenza dall’articolo 95, comma 15, del d.lgs. n. 50 del 2016 (che riproduceva a sua volta la disposizione dell’art. 38, comma 2-bis, del d.lgs. n. 163 del 2006, inserita dall’art. 39 del d. l. 24 giugno 2014 n. 90, convertito dalla l. 11 agosto 2014, n. 114) – stabilisce che “ogni variazione che intervenga, anche in conseguenza di una pronuncia giurisdizionale, successivamente al provvedimento di aggiudicazione, tenendo anche conto dell’eventuale inversione procedimentale, non è rilevante ai fini del calcolo di medie nella procedura, né per l’individuazione della soglia di anomalia delle offerte, eventualmente stabilita nei documenti di gara, e non produce conseguenze sui procedimenti relativi agli altri lotti della medesima gara”.
    Come chiarito dalla giurisprudenza, “il principio di invarianza opera nel senso della “cristallizzazione delle offerte” e della “immodificabilità della graduatoria” ed integra un’espressa eccezione all’ordinario meccanismo del regresso procedimentale per positiva irrilevanza delle sopravvenienze, obbedendo alla duplice e concorrente finalità:
    a) di garantire, per un verso, continuità alla gara e stabilità ai suoi esiti, onde impedire che la stazione appaltante debba retrocedere il procedimento fino alla determinazione della soglia di anomalia delle offerte, cioè di quella soglia minima di utile al di sotto della quale l’offerta si presume senz’altro anomala, situazione che ingenererebbe una diseconomica dilatazione dei tempi di conclusione della gara correlata a un irragionevole dispendio di risorse umane ed economiche (cfr. Cons. Stato, V, 22 gennaio 2021, n. 683; III, 11 ottobre 2021 n. 6821; 12 luglio 2018, n. 4286; 27 aprile 2018, n. 2579);
    b) di impedire, o comunque vanificare, in prospettiva antielusiva, la promozione di controversie meramente speculative e strumentali da parte di concorrenti non utilmente collocatisi in graduatoria, mossi dall’unica finalità, una volta noti i ribassi offerti e quindi gli effetti delle rispettive partecipazioni in gara sulla soglia di anomalia, di incidere direttamente su quest’ultima, traendone vantaggio (cfr. Cons. Stato, Sez V, 2 novembre 2021, n. 7303; III, 11 ottobre 2021 n. 6821; 22 febbraio 2017, n. 841).
    Il principio di invarianza è pertanto finalizzato anche a tutelare l’affidamento medio tempore maturato dai partecipanti alla gara ed è volto altresì a salvaguardare l’interesse delle amministrazioni alla stabilità degli assetti definiti e consolidati dalla chiusura di alcune fasi di gara, con riguardo alla determinazione della soglia di anomalia e al calcolo delle medie per i punteggi attribuiti alle offerte. Ciò nonostante l’eventuale successiva esclusione di taluno dei concorrenti e nonostante l’evidente rischio che, nelle more della partecipazione, la permanenza in gara del concorrente in seguito escluso abbia sortito taluni effetti in punto di determinazione delle medie o delle soglie di anomalia” (Cons. Stato, sez. V, sent. n. 8460/2021).
    La ratio di tale principio consiste, quindi, nel neutralizzare il rilievo sul piano procedimentale di tutte le vicende che seguono la fase di verifica preliminare delle offerte, al fine di sterilizzare “l’alterazione della trasparenza e della correttezza del confronto concorrenziale, potenzialmente correlata alla partecipazione di fatto di un concorrente solo successivamente estromesso della gara” (Cons. Stato, sez. V, 2 settembre 2019, n. 6013).
    La giurisprudenza ha affermato l’applicabilità del meccanismo in parola “non soltanto in presenza di criteri di aggiudicazione automatici, come quello del “minor prezzo”, per i quali sia previsto, anche ai fini della determinazione della soglia di anomalia, il “calcolo di medie” (cfr. art. 97 del Codice), ma anche nelle ipotesi di criteri rimessi alla valutazione discrezionale della commissione valutatrice, come nel caso della “offerta economicamente più vantaggiosa”, le quante volte (come nel caso che debba procedersi, in base al disciplinare di gara, secondo il metodo del c.d. confronto a coppie) la formazione della graduatoria sia condizionata dal meccanismo di “normalizzazione” del punteggio conseguito da ciascun concorrente, attraverso il confronto parametrico con quello dell’offerta migliore, che è alterato dalla modifica della platea dei concorrenti da confrontare attraverso la rideterminazione di valori medi (cfr. Cons. Stato, sez. V, 9 luglio 2019, n. 4789)” (Consiglio di Stato sez. V, 06/04/2020, n.2257).
    In particolare “il principio di invarianza, di cui all’art. 95, co. 15, d.lg. n. 50 del 2016, trova applicazione nel caso in cui il criterio di valutazione delle offerte, quale individuato dal disciplinare di gara, faccia capo al «metodo aggregativo-compensatore di cui alle linee guida Anac approvate con Delibera del consiglio n. 1005 del 21 settembre 2016 », in base ad una predeterminata formula; ed invero, pur trattandosi di criterio non automatico, in quanto orientato alla individuazione tecnico-discrezionale dell’offerta economicamente più vantaggiosa secondo il miglior rapporto qualità/prezzo, lo stesso è destinato ad operare (in virtù del richiamo al metodo aggregativo-compensatore e alla interpolazione lineare) attraverso la quantificazione di medie, condizionate dal numero dei concorrenti e dalle modalità di formulazione dell’offerta. Si tratta, perciò, di fattispecie in cui è destinata ad operare, in base alle riassunte premesse, la regola della « cristallizzazione delle medie », non solo ai (meri) fini della determinazione della soglia di anomalia (art. 97 del Codice), ma anche ai (più comprensivi) fini del divieto di regressione procedimentale, che implica l’immodificabilità della graduatoria anche all’esito della estromissione di uno dei concorrenti la cui offerta aveva concorso alla elaborazione dei punteggi (Cons. Stato, V, 6 aprile 2020, n. 2257)” (Cons. Stato, sez. V, sent. n. 8460/2021).

    SCORPORO E RIBASSO DEL COSTO DELLA MANODOPERA NEL NUOVO CODICE DEI CONTRATTI PUBBLICI: CRITERI INTERPRETATIVI ED APPLICAZIONE CONCRETA NELLE PIÙ RECENTI SENTENZE DEL GIUDICE AMMINISTRATIVO 

     

     

     

     

     

     

     

     

    Sommario: 1. I costi della manodopera sono assoggettabili al ribasso anche nel nuovo Codice; 2. La lettura costituzionalmente orientata dell’art. 41, comma 14, del d.lgs. 36/2023; 3. La possibilità di prevedere il ribasso complessivo; 4. La verifica dei costi della manodopera ribassati; 5. Gli effetti dell’omessa indicazione dei costi della manodopera nel bando; 6. Obbligo di indicazione dei costi della manodopera in caso di subappalto.

    Il focus propone una rassegna ragionata delle principali sentenze dei TAR e del Consiglio di Stato (con link alla versione integrale) riguardo il contenuto dell’articolo 41, comma 14 del d.lgs. 36/2023, in base al quale i costi della manodopera e della sicurezza sono scorporati dall’importo assoggettato al ribasso, ma il concorrente può dimostrare che il ribasso complessivo dipende da un’organizzazione aziendale più efficiente.

    Al fine di chiarire i molteplici e legittimi dubbi su come dover procedere in fase di determinazione dell’importo soggetto a ribasso (e quindi se i costi della manodopera debbano essere inclusi o esclusi dall’importo soggetto a ribasso), la giurisprudenza si è avvalsa di un’interpretazione sistematica e costituzionalmente orientata di tutte le norme sui costi della manodopera presenti nel nuovo Codice dei Contratti Pubblici, prendendo in considerazione anche il punto di vista di ANAC e del MIT.

    La ricostruzione del percorso giurisprudenziale rappresenta, quindi, un utile strumento per comprendere lo stato dell’arte sullo scorporo e sulla ribassabilità dei costi della manodopera nelle nuove gare.

     

    1. I costi della manodopera sono assoggettabili al ribasso anche nel nuovo Codice.

    L’art. 41, comma 14, del d.lgs. 36 del 2023 (di seguito anche solo Codice) prevede che: “Nei contratti di lavori e servizi, per determinare l’importo posto a base di gara, la Stazione appaltante o l’ente concedente individua nei documenti di gara i costi della manodopera secondo quanto previsto dal comma 13. I costi della manodopera e della sicurezza sono scorporati dall’importo assoggettato al ribasso.”.

    Tuttavia, per il Giudice Amministrativo, tale disposizione deve essere interpretata in maniera coerente con:

    – l’articolo 108, comma 9, del Codice, che prescrive al concorrente di indicare nell’offerta economica, a pena di esclusione, i costi della manodopera, oltre agli oneri di sicurezza aziendali;

    – l’art. 110, comma 1, del medesimo Codice, ai sensi del quale “Le Stazioni appaltanti valutano la congruità, la serietà, la sostenibilità e la realizzabilità della migliore offerta, che in base a elementi specifici, inclusi i costi dichiarati ai sensi dell’articolo 108, comma 9, appaia anormalmente bassa. Il bando o l’avviso indicano gli elementi specifici ai fini della valutazione”.

    Dalla lettura integrata delle suddette norme è possibile, quindi, dedurre che, anche nel nuovo Codice Appalti, i costi della manodopera sono assoggettabili a ribasso, come del resto è precisato anche dall’ultimo periodo del comma 14, dell’art. 41 citato, secondo cui: “Resta ferma la possibilità per l’operatore economico di dimostrare che il ribasso complessivo dell’importo deriva da una più efficiente organizzazione aziendale”. Tale inciso sarebbe, infatti, posto nel nulla se si interpretasse il precedente come divieto inderogabile di ribasso dei costi della manodopera.

    Difatti, se i costi della manodopera fossero interamente predeterminati dalla Stazione appaltante, non sarebbe chiaro quale prova potrebbe desumersi dalla più efficiente organizzazione aziendale dimostrata dall’operatore economico. Inoltre, se il legislatore avesse voluto considerare tali costi fissi e invariabili, non avrebbe avuto senso richiedere ai concorrenti di indicarne la misura nell’offerta economica, né avrebbe avuto senso includere anche i costi della manodopera tra gli elementi che possono concorrere a determinare l’anomalia dell’offerta (cfr. TAR Roma, 06.08.2024 n. 15720).

    La tesi dell’inderogabilità assoluta dei costi della manodopera individuati dalla Stazione appaltante determinerebbe, peraltro, un’eccessiva compressione della libertà d’impresa, in quanto l’operatore economico potrebbe dimostrare, ad esempio, che il ribasso è correlato a soluzioni innovative e più efficienti, oppure, soprattutto in ipotesi di appalto di servizi, alla sua appartenenza ad un comparto, per il quale viene applicato un CCNL diverso da quello assunto come riferimento dalla Stazione appaltante (cfr. TAR Potenza, 21.05.2024 n.273).

    A conferma di quanto sin qui esposto, il Consiglio di Stato, Sez. V, 09.06.2023, n. 5665, anche se con riferimento al previgente Codice dei contratti, aveva già osservato che “la clausola della lex specialis che imponga il divieto di ribasso sui costi di manodopera, sarebbe in flagrante contrasto con l’art. 97, comma 6 d.lgs. n. 50/2016 e, più in generale, con il principio di libera concorrenza nell’affidamento delle commesse pubbliche”, e richiamando, quale supporto interpretativo l’art. 41 comma 14 del d.lgs. 36 del 2023, concludeva che: “persino nel nuovo Codice, ….è stata fatta salva la possibilità per l’operatore economico di dimostrare che un ribasso che coinvolga il costo della manodopera sia derivante da una più efficiente organizzazione aziendale così armonizzando il criterio di delega con l’art. 41 della Costituzione”.

    Riassumendo, quindi, secondo il Giudice Amministrativo l’art. 41, comma 14, non ha determinato la totale equiparazione tra i «costi della manodopera» e gli «oneri di sicurezza da interferenze» (c.d. oneri fissi): difatti, solo questi ultimi sono (come già lo erano, per giurisprudenza pacifica, sotto la vigenza del precedente Codice) integralmente predeterminati dall’amministrazione aggiudicatrice in maniera fissa ed immodificabile (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 20.02.2024 n. 1677).

     

    2. La lettura costituzionalmente orientata dell’art. 41, comma 14, del d.lgs. 36/2023.

    Per primo, con parere n. 2154 del 19.07.2023, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (MIT), rispondendo ad un quesito specifico sui costi della manodopera negli appalti, ha chiarito che l’offerta economica non è costituita solamente dal ribasso operato sull’importo al netto del costo della manodopera, ma deve includere quest’ultimo costo al suo interno; il costo della manodopera non può essere considerato un importo aggiuntivo ma fa parte dell’offerta ed è soggetto a verifica.

    A sua volta l’ Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC), con la delibera n. 528 del 15.11.2023, ha chiarito che: “La lettura sistematica della prima parte dell’articolo 41, comma 14, del d.lgs. 31 marzo 2023, n. 36, secondo il quale i costi della manodopera sono scorporati dall’importo assoggettato al ribasso, e della seconda parte della norma, che riconosce al concorrente la possibilità di dimostrare che il ribasso complessivo offerto deriva da una più efficiente organizzazione aziendale, induce a ritenere che il costo della manodopera, seppur quantificato e indicato separatamente negli atti di gara, rientri nell’importo complessivo a base di gara, su cui applicare il ribasso offerto dal concorrente per definire l’importo”. Tale interpretazione del dettato normativo, secondo l’ANAC, “consente un adeguato bilanciamento tra la tutela rafforzata della manodopera – che costituisce la ratio della previsione dello scorporo dei costi della manodopera, evincibile dal criterio contenuto nella lett. t) dell’art. 1, comma 1, della legge delega (L. n. 78/2022) – con la libertà di iniziativa economica e d’impresa, costituzionalmente garantita, la quale, nel suo concreto dispiegarsi, non può che comportare la facoltà dell’operatore economico di dimostrare che la più efficiente organizzazione aziendale impatta sui costi della manodopera, diminuendone l’importo rispetto a quello stimato dalla Stazione appaltante negli atti di gara. Tra l’altro, solo seguendo tale impoStazione, si spiega anche l’obbligo del concorrente di indicare i propri costi della manodopera, a pena di esclusione dalla gara (art. 108, comma 9, d.lgs. 36/2023) previsione che sarebbe evidentemente superflua se i costi della manodopera non fossero ribassabili, e il successivo art. 110, comma 1, che include i costi della manodopera dichiarati dal concorrente tra gli elementi specifici in presenza dei quali la Stazione appaltante avvia il procedimento di verifica dell’anomalia”.

    Peraltro, sempre l’ANAC, nel bando tipo n. 1/2023 (articolo 17), ha previsto che “l’operatore economico dovrà indicare in offerta il costo della manodopera. Se l’operatore economico riporta in offerta un costo della manodopera diverso da quello stimato dalla Stazione appaltante, l’offerta è sottoposta al procedimento di verifica dell’anomalia ai sensi dell’art. 110, D.Lgs. 36/2023”; evidenziando nella relativa nota illustrativa (punto 28) che: “ai sensi dell’articolo 41, comma 14, del codice, i costi della manodopera e della sicurezza sono scorporati dall’importo assoggettato al ribasso. Tuttavia, è fatta salva la possibilità per l’operatore economico di dimostrare che il ribasso complessivo dell’importo derivi da una più efficiente organizzazione aziendale. Tali giustificazioni potranno essere richieste dalla Stazione appaltante in occasione della verifica di anomalia, fermo restando il divieto di giustificazioni in relazione ai trattamenti salariali minimi inderogabili e agli oneri di sicurezza”.

    Secondo il Giudice Amministrativo, tutti i suddetti interventi plurimi (e diversificati quanto alla provenienza), convincono del fatto che la tesi, secondo la quale il costo della manodopera non sarebbe assoggettabile a ribasso, sia infondata, e allo stesso tempo consentono di dare una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 41 comma 14, con riferimento all’art. 36 della Costituzione.

    La libertà di iniziativa economica deve, infatti, comprendere la facoltà dell’operatore economico di dimostrare che la più efficiente organizzazione aziendale impatta sui costi della manodopera, diminuendone l’importo rispetto a quello stimato dalla Stazione appaltante nella disciplina di gara, slavo il rispetto dei trattamenti salariali minimi inderogabili.

    Neppure può ravvisarsi il vizio di eccesso di delega, in quanto l’art. 1 comma 2 lett. t) della Legge delega (n. 78 del 2022) dispone che le Stazioni appaltanti devono prevedere “in ogni caso, che i costi della manodopera e della sicurezza siano sempre scorporati dagli importi assoggettati a ribasso”, ma – nell’imporre alle Stazioni appaltanti l’obbligatorietà dello scorporo, cioè la necessità di separata quantificazione ed indicazione degli stessi – non ne fa discendere anche l’assoluta intoccabilità dei costi della manodopera come fissati dalle Stazioni appaltanti, dovendo invece intendersi che la finalità della norma della legge delega sia quella di obbligare le Stazioni appaltanti ad evidenziare separatamente il costo della manodopera, per garantirne una tutela rafforzata, ed in ultima analisi di salvaguardare il diritto dei lavoratori alla retribuzione minima, tutelato dall’art. 36 della Costituzione.

    Dunque, in sintesi, i costi della manodopera non sono in assoluto insuscettibili di ribasso. Il divieto di ribasso del costo del personale indicato nel bando non è quindi assoluto ma relativo (cfr. TAR Milano, 05.07.2024 n. 2077).

    Infatti, l’articolo 108, comma 9, del d.lgs. n. 36 del 2023, che prescrive al concorrente di indicare nell’offerta economica, a pena di esclusione, i costi della manodopera va interpretato insieme all’art. 41, comma 14, del d.lgs. 31 marzo 2023, n. 36 (cfr. TAR Napoli, 13.06.2024 n. 3732).

    In base al comma 14 dell’art. 41 del d.lgs. 36 del 2023, la conseguenza per l’operatore economico che applichi il ribasso anche ai costi della manodopera è, non l’esclusione dalla gara, ma l’assoggettamento della sua offerta alla verifica dell’anomalia: in quella sede l’operatore economico avrà l’onere di dimostrare che il ribasso deriva da una più efficiente organizzazione aziendale oltre il rispetto dei minimi salariali (cfr. TAR Firenze, 29.01.2024, n. 120).

    La giurisprudenza prevalente ritiene legittimo per l’operatore economico avvalersi anche di economie di scala, osservando, tuttavia, che l’esistenza dei relativi presupposti deve essere fatto oggetto di rigorosa e puntuale dimostrazione, e non di semplice allegazione (cfr. TAR Napoli, 26.02.2024 n. 1270 e TAR Napoli, 13.06.2024 n. 3732).

    Come recentemente chiarito dal TAR Roma, la ratio della disposizione deve essere individuata nella garanzia di una proporzionata remunerazione del fattore produttivo lavoro (art. 36 Cost.). Tuttavia, occorre considerare come il costo del lavoro, essendo contrattato in un mercato solo parzialmente regolamentato, non possa essere calcolato in maniera certa sulla basa di parametri algebrici inequivocabili: di conseguenza, quella formulata nel bando dalla Stazione appaltante è una stima che sconta inevitabili margini di opinabilità e, per tale ragione, non può essere considerata cogente per l’operatore economico. Peraltro, l’indicazione dei costi della manodopera, in continuità con la precedente disciplina, è basata sulle tabelle ministeriali che, come noto, non sono mai state reputate vincolanti in maniera assoluta, essendo ben possibile dimostrare un trattamento economico inferiore. Conseguentemente, la disposizione ha la funzione di garantire una congrua retribuzione semplificando il processo di verifica dell’anomalia dell’offerta economica, attraverso la circoscrizione della discrezionalità nella valutazione della stessa. Difatti, rendendo separata l’indicazione dei costi della manodopera, la Stazione appaltante ha semplicemente immediata evidenza di quanto l’operatore economico suppone di dover corrispondere per tale fattore produttivo: qualora fosse superiore a quanto indicato nel bando, nulla quaestio; viceversa, nell’ipotesi opposta l’impresa dovrà dimostrare che tali minori oneri siano giustificati dalla più efficiente organizzazione aziendale (cfr. TAR Roma 06.08.2024 n. 15720).

     

    3. La possibilità di prevedere il ribasso complessivo.

    Secondo il TAR Palermo, dopo aver indicato e distinto chiaramente nei documenti di gara, all’interno dell’importo complessivo dell’appalto, le componenti di costo ribassabili da quelle non ribassabili, la Stazione appaltante può prevedere che il ribasso sia espresso in termini percentuali sull’importo posto a base d’appalto comprensivo dei costi della manodopera (cfr. TAR Palermo, 19.12.2023 n. 3787). Il Giudice Amministrativo, in tal caso, interpreta l’obbligo normativo di scorporare i costi della manodopera come un mero onere di indicazione separata negli atti di gara, senza che ciò precluda ai concorrenti di offrire ribassi su tale significativa voce di costo.

    Dello stesso avviso il MIT, che con il parere n. 2505 del 17.04.2024, ha ritenuto che l’importo assoggettato a ribasso comprende i costi della manodopera, che devono essere quantificati dalla Stazione Appaltante. In sostanza, l’importo assoggettato a ribasso può comprendere i costi della manodopera, ma la Stazione appaltante è tenuta ad indicare, come parametro, quanti sono questi costi. In tal caso il concorrente dovrà formulare un “ribasso complessivo”, ma a sua volta dovrà indicare i costi della manodopera: se i costi parametrici sono superiori rispetto a quelli indicati nell’offerta, il concorrente sarà chiamato a giustificare il ribasso dei costi manodopera e, laddove la Stazione appaltante accolga i giustificativi, procederà all’aggiudicazione.

    Per completezza, occorre tuttavia dare conto di tre pronunce in termini opposti.

    Il TAR Salerno, 11.01.2024 n. 147, pur non prendendo espressa posizione sul dibattito in relazione all’art. 41, non ha contestato, nel caso sottoposto al suo esame, la scelta della Stazione appaltante di precludere il ribasso sui costi della manodopera.

    Anche il TAR Reggio Calabria, con le sentenze 08.02.2024, n. 119 e n.120, ha interpretato l’art. 41, comma 14, come divieto al ribasso sui costi della manodopera. Tuttavia, queste ultime due decisioni risultano sospese dal Consiglio di Stato alla data del presente contributo (cfr. ordinanze 22.03.2024 n. 1068 e n. 1067).

     

    4. La verifica di congruità dei costi della manodopera ribassati.

    Nessun onere di esplicita o formale valutazione della congruità dei costi della manodopera e degli oneri della sicurezza può essere imputato alla Stazione appaltante, laddove il concorrente abbia formulato una offerta nel pieno rispetto dei valori indicati nel disciplinare di gara, ai sensi dell’art. 41 del D.Lgs. n. 36/2023 e non emergano elementi che possano mettere in dubbio la congruità dei valori offerti (cfr. TAR Firenze, 23.04.2024 n. 493).

    Al contrario, se l’operatore economico riporta in offerta un costo della manodopera diverso da quello stimato dalla Stazione appaltante, l’offerta è sottoposta al procedimento di verifica dell’anomalia ai sensi dell’art. 110, d.lgs. 36/2023, nei termini sanciti dall’ultimo capoverso del comma 14 dell’art. 41, ossia il concorrente dovrà dimostrare che il ribasso complessivo dell’importo deriva da una sua più efficiente organizzazione aziendale.

    Per quel che attiene al costo della manodopera, in base alla previsione di cui al comma 4, lett. a) del citato art. 110, non potranno essere fornite giustificazioni in relazione ai trattamenti salariali minimi inderogabili stabiliti dalla legge o da fonti autorizzate dalla legge.

    Pertanto, l’operatore economico non può, per spiegare un’offerta con un costo del lavoro più bassa rispetto a quello indicato dalla Stazione appaltante, allegare elementi differenti dalla propria organizzazione aziendale (es. corresponsione di salarî inferiori ai minimi retributivi): specularmente, l’amministrazione non è legittimata a valutare ulteriori e diverse circostanze per reputare non anomala un’offerta formulata ribassando i costi stimati (cfr. TAR Roma, 06.08.2024 n. 15720).

    Sulla modalità di verifica, secondo il TAR Genova, ordinanza 27.03.2024 n. 54, “Appare privo di fondamento l’assunto secondo cui dovrebbe procedersi a due separate valutazioni di anomalia, la prima sull’importo dei lavori e la seconda sugli oneri della manodopera, onde l’esponente avrebbe offerto un ribasso non anomalo per l’oggetto dell’appalto e potrebbe provare la congruità del suo costo del lavoro in contraddittorio con la Stazione appaltante: in realtà, l’art. 41, comma 14, cit., fa riferimento ad un unico “ribasso complessivo…deriva[nte] da una più efficiente organizzazione aziendale”; inoltre, un simile frazionamento della verifica di anomalia è contrario alla logica di semplificazione e celerità sottesa al nuovo codice”.

     

    5. Gli effetti dell’omessa indicazione dei costi della manodopera nel bando.

    La mancata specifica quantificazione dei costi della manodopera nella legge di gara non comporta il travolgimento dell’intera procedura.

    Per stabilire, infatti, se l’effetto di un vizio che si riverbera sull’offerta sia tale da travolgere l’intera procedura o solo l’offerta, occorre accertare se esso abbia reso sostanzialmente impossibile od estremamente difficile la presentazione di un’offerta rispettosa dei vincoli imposti alla riduzione dei costi del personale.

    Secondo il Giudice Amministrativo, l’art. 110, comma 5 del Codice evidenzia che il giudizio di anomalia del costo del personale è interno all’offerta, in quanto comporta il confronto tra il costo del personale offerto e quello indicato dai CCNL e dalle tabelle ministeriali. Ne consegue che deve escludersi che l’indicazione di un costo del personale pari o superiore a quello indicato nel bando legittimi un giudizio di non anomalia dell’offerta sul personale, in quanto mancano gli elementi basilari per esprimere tale giudizio, cioè l’indicazione del personale necessario, delle ore di lavoro e del relativo costo totale, che appartengono all’offerta e rientrano nella discrezionalità dell’imprenditore.

    Ne consegue che l’indicazione dei costi della manodopera nel bando ad opera della Stazione appaltante ha valore meramente indicativo e la sua omissione non comporta l’impossibilità di presentare un’offerta, avendo carattere inderogabile solo il mancato rispetto dei CCNL applicabili e delle tabelle ministeriali negli altri casi.

    Ne deriva che l’omissione dell’indicazione del costo della manodopera nella legge di gara non comporta l’impossibilità di presentare l’offerta, né la possibilità di assoggettare il costo del personale a ribasso ad nutum, in quanto non impedisce di verificare il rispetto dei diritti economici dei lavoratori con i criteri indicati dal citato art. 110, comma 5 del Codice.

    Anzi si può dire che la mancata indicazione del costo teorico del personale calcolato dalla Stazione appaltante comporta l’effetto opposto della necessaria verifica di anomalia dell’offerta delle spese del personale a maggior tutela dei lavoratori.

    In definitiva deve ritenersi che l’omissione dell’indicazione dei costi della manodopera nel bando non costituisce vizio idoneo a travolgere l’intera gara ma può costituire solo vizio dell’offerta, che abbia indicato le spese del personale non rispettose dei livelli salariali applicabili al caso di specie (cfr. TAR Milano, 05.07.2024 n. 2077).

    La mancata specifica quantificazione dei costi della manodopera non preclude, infatti, la possibilità di formulazione adeguata e consapevole delle offerte, dal momento che è sempre possibile accedere, a tal fine, alle tabelle ministeriali (oggi art. 41 comma 13 d.lgs. 36/2023) e far ricorso ad esse per la determinazione dell’ammontare di tale voce (cfr. TAR Catania, 06.06.2024 n. 2137).

     

    6. Obbligo di indicazione dei costi della manodopera in caso di subappalto.

    La frammentazione della prestazione in plurimi subaffidamenti non trasforma i costi del personale preposto all’esecuzione del contratto in costi indiretti o occasionali, ma al contrario rende ancor più evidenti le esigenze di tutela dei lavoratori coinvolti.

    D’altra parte, l’applicazione della disciplina pubblicistica di tutela dei lavoratori non può essere condizionata dalla scelta dell’operatore economico di suddividere la prestazione in plurimi subaffidamenti.

    Le suddette considerazioni risultano a fortiori imposte alla luce del d.lgs. 36/2023, che ha ulteriormente rafforzato il sistema di tutele dei lavoratori previsto dal precedente Codice dei contratti pubblici.

    La legge delega per la redazione del Codice (legge n. 78 del 21 giugno 2022) all’art. 1, comma 2, lett. m), n. 2), poneva alle Stazioni appaltanti l’obiettivo di “garantire l’applicazione dei contratti collettivi nazionali e territoriali di settore, tenendo conto, in relazione all’oggetto dell’appalto e alle prestazioni da eseguire anche in maniera prevalente, di quelli stipulati dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, nonché garantire le stesse tutele economiche e normative per i lavoratori in subappalto rispetto ai dipendenti dell’appaltatore e contro il lavoro irregolare”. Alla lett. t) del medesimo art. 1, comma 2, veniva altresì stabilito come principio e criterio direttivo che “i costi della manodopera e della sicurezza siano sempre scorporati dagli importi assoggettati a ribasso”.

    In attuazione di tali disposizioni, il Codice dei contratti pubblici, oltre a prevedere all’art. 108, comma 9, che nelle offerte economiche presentate per l’aggiudicazione di pubblici appalti, l’operatore economico concorrente è tenuto ad indicare – sotto espressa comminatoria di esclusione dal procedimento selettivo – i costi della manodopera, ha altresì stabilito:

    – all’art. 11, commi 4 e 5, che le Stazioni appaltanti e gli enti concedenti “acquisiscono la dichiarazione con la quale l’operatore economico individuato si impegna ad applicare il contratto collettivo nazionale e territoriale indicato nell’esecuzione delle prestazioni oggetto del contratto per tutta la sua durata, ovvero la dichiarazione di equivalenza delle tutele…”;

    – al comma 5, del medesimo art. 11, che “Le Stazioni appaltanti e gli enti concedenti assicurano, in tutti i casi, che le medesime tutele normative ed economiche siano garantite ai lavoratori in subappalto”;

    – all’art. 102, comma 1, lett. b), che nella legge di gara le Stazioni appaltanti devono richiedere agli operatori economici di assumere l’impegno di “garantire l’applicazione dei contratti collettivi nazionali e territoriali di settore, tenendo conto, in relazione all’oggetto dell’appalto e alle prestazioni da eseguire, anche in maniera prevalente, di quelli stipulati dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e di quelli il cui ambito di applicazione sia strettamente connesso con l’attività oggetto dell’appalto o della concessione svolta dall’impresa anche in maniera prevalente, nonché garantire le stesse tutele economiche e normative per i lavoratori in subappalto rispetto ai dipendenti dell’appaltatore e contro il lavoro irregolare”;

    – all’art. 119, comma 12, che “Il subappaltatore, per le prestazioni affidate in subappalto, deve garantire gli stessi standard qualitativi e prestazionali previsti nel contratto di appalto e riconoscere ai lavoratori un trattamento economico e normativo non inferiore a quello che avrebbe garantito il contraente principale. Il subappaltatore è tenuto ad applicare i medesimi contratti collettivi nazionali di lavoro del contraente principale, qualora le attività oggetto di subappalto coincidano con quelle caratterizzanti l’oggetto dell’appalto oppure riguardino le lavorazioni relative alle categorie prevalenti e siano incluse nell’oggetto sociale del contraente principale. L’affidatario corrisponde i costi della sicurezza e della manodopera, relativi alle prestazioni affidate in subappalto, alle imprese subappaltatrici senza alcun ribasso”.

    Con tale complessivo assetto normativo, il Codice ha introdotto norme maggiormente pregnanti e vincolanti, garantendo maggiore certezza nell’individuazione del contratto collettivo applicabile e assicurando un più elevato livello di effettività alla tutela dei lavoratori, in una logica di equiparazione tra lavoratori del concorrente e lavoratori dell’impresa subappaltatrice.

    D’altra parte, la soppressione dei limiti quantitativi al subappalto, a seguito delle note sentenze della Corte di Giustizia UE (Corte giust. UE, 26 settembre 2019, in causa C-63/18; Corte giust. UE 27 novembre 2019, in causa C-402/18), impone il superamento della distinzione tra dipendenti del concorrente e dipendenti dell’impresa subappaltatrice, pena l’elusione dell’articolato sistema di tutela dei lavoratori previsto dal Codice.

    Inoltre, stante l’obbligo dell’operatore economico concorrente di “corrispondere i costi della sicurezza e della manodopera, relativi alle prestazioni affidate in subappalto, alle imprese subappaltatrici senza alcun ribasso” (art. 119, comma 12), risulta inevitabile che l’operatore economico concorrente debba indicare in sede di offerta anche il costo della manodopera dell’impresa terza che eseguirà la prestazione. Diversamente la sua offerta mancherebbe di un elemento essenziale e la Stazione appaltante non sarebbe posta nelle condizioni di valutarne l’effettiva serietà.

    In definitiva, alla luce del d.lgs. 36/2023, deve ritenersi che il concorrente debba in ogni caso indicare in sede di offerta i costi della manodopera relativi a tutte le prestazioni contrattuali, anche se oggetto di subappalto a terzi (cfr. TAR Venezia, 21.06.2024 n. 1559 e n. 1560).

    Costi della manodopera : in offerta obbligo indicazione anche per le prestazioni oggetto di subappalto (art. 108 , art. 119 d.lgs. 36/2023)

    TAR Venezia, 21.06.2024 n. 1560

    In tema di costo della manodopera delle prestazioni oggetto di subappalto, la giurisprudenza amministrativa, in relazione alla disciplina dettata dal d.l.gs. n. 50 del 2016, ha aggiunto che: “Il concorrente che intenda avvalersi del subappalto ha l’onere di rendere puntualmente edotta l’amministrazione dell’effettivo costo del personale fornitogli dal subappaltatore, al fine di consentirle un effettivo controllo della sostenibilità economica dell’offerta” (cfr. Cons. St., Sez. V, 8 marzo 2018, n. 1500; Tar Friuli Venezia Giulia, Sez. I, 7 ottobre 2020, n. 348). Infatti, “la previsione (articolo 95, comma 10, d.lgs. n. 50 del 2016) non può che essere estesa a tutti i costi che l’offerente, direttamente o indirettamente, sostiene per adempiere alle obbligazioni contrattualmente assunte. La norma, invero, si presterebbe a facili elusioni, se si consentisse di scorporare dal costo totale della manodopera il costo sostenuto dai subappaltatori (cfr. TAR Milano, 6 novembre 2018, n. 2515)” (TAR Veneto, Sez. II, 13 ottobre 2021, n. 1216). […]
    La frammentazione della prestazione in plurimi subaffidamenti non trasforma certo i costi del personale preposto all’esecuzione del contratto in costi indiretti o occasionali, ma al contrario rende ancor più evidenti le esigenze di tutela dei lavoratori coinvolti.
    D’altra parte l’applicazione della disciplina pubblicistica di tutela dei lavoratori non può essere condizionata dalla scelta dell’operatore economico di suddividere la prestazione in plurimi subaffidamenti.
    Le conclusioni di cui sopra risultano a fortiori imposte alla luce del d.lgs. n. 36 del 2023 che ha ulteriormente rafforzato il sistema di tutele dei lavoratori previsto dal precedente Codice dei contratti pubblici. […]
    In definitiva alla luce del d.lgs. n. 36 del 2023 deve ritenersi che il concorrente debba in ogni caso indicare in sede di offerta i costi della manodopera delle prestazioni contrattuali anche se oggetto di subappalto a terzi.

    Affidamento diretto (mediante RdO su Mepa) : applicabilità obbligo indicazione dei costi della manodopera a pena di esclusione (art. 41 , art. 50 , art. 108 d.lgs. 36/2023)

    TAR Catanzaro, 17.06.2024 n. 958

    4.3. Occorre premettere che l’art. 108, comma 9 del D.Lgs. 36/2023, rubricato “Criteri di aggiudicazione degli appalti di lavori, servizi e forniture” prescrive che “Nell’offerta economica l’operatore indica, a pena di esclusione, i costi della manodopera e gli oneri aziendali per l’adempimento delle disposizioni in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro eccetto che nelle forniture senza posa in opera e nei servizi di natura intellettuale.”
    L’art. 41, comma 14 del suddetto decreto prescrive poi che “Nei contratti di lavori e servizi, per determinare l’importo posto a base di gara, la stazione appaltante o l’ente concedente individua nei documenti di gara i costi della manodopera secondo quanto previsto dal comma 13.”
    Infine, l’art. 48 del decreto dispone che “Ai contratti di importo inferiore alle soglie di rilevanza europea si applicano, se non derogate dalla presente Parte, le disposizioni del codice.”
    E, dunque, sulla scorta dei citati indici normativi ritiene il collegio che non possa escludersi l’applicabilità (anche) agli affidamenti diretti della regola sancita all’art. 108, comma 9 sull’obbligatorietà dell’indicazione dei costi della manodopera a pena di esclusione del concorrente.
    4.4. Ai fini del decidere occorre rammentare che il previgente art. 95, comma 10, D. Lgs. n. 50/2016, rubricato “Criteri di aggiudicazione dell’appalto”, prescriveva che “Nell’offerta economica l’operatore deve indicare i propri costi della manodopera e gli oneri aziendali concernenti l’adempimento delle disposizioni in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro ad esclusione delle forniture senza posa in opera, dei servizi di natura intellettuale e degli affidamenti ai sensi dell’articolo 36, comma 2, lettera a). Le stazioni appaltanti, relativamente ai costi della manodopera, prima dell’aggiudicazione procedono a verificare il rispetto di quanto previsto all’articolo 97, comma 5, lettera d)”.
    4.5. Dal confronto tra le due disposizioni e dalla circostanza che il legislatore del nuovo codice abbia espunto l’affidamento diretto (“ai sensi dell’articolo 36, comma 2, lettera a”) quale eccezione all’obbligo di indicare i costi della manodopera, deriva la fondatezza del primo motivo di ricorso con il quale, difatti, il ricorrente censura l’omessa esclusione della controinteressata -OMISSIS- per non aver indicato espressamente tali voci di costo.
    5. Chiarita l’applicabilità anche agli affidamenti diretti della regola della obbligatorietà dell’indicazione separata dei costi della manodopera, è opportuno verificare se non sussistano nel caso di specie circostanze che consentano di deviare dalla suddetta regola generale, avente peraltro forza eterointegrativa rispetto a lex specialis di gara che eventualmente non la contemplino.
    5.1. Val la pena rammentare che l’Adunanza Plenaria con le sentenze nn. 1, 2 e 3/2019, da un lato, ha aderito alla lettura formalistica dell’art. 95 co. 10 c.c.p., affermando che la “mancata indicazione da parte di un concorrente a una pubblica gara di appalto dei costi della manodopera e degli oneri per la sicurezza dei lavoratori comporta comunque l’esclusione dalla gara senza che il concorrente stesso possa essere ammesso in un secondo momento al beneficio del c.d. ‘soccorso istruttorio’, pur nelle ipotesi in cui la sussistenza di tale obbligo dichiarativo derivi da disposizioni sufficientemente chiare e conoscibili e indipendentemente dal fatto che il bando di gara non richiami in modo espresso il richiamato obbligo legale di puntuale indicazione” e, dall’altro, ha rimesso la questione della compatibilità comunitaria della norma così interpretata alla Corte di Giustizia.
    5.2. La Corte di Giustizia con la sentenza 2 maggio 2019, C-309/18, ha ritenuto gli artt. 95, comma 10, ed 83, comma 9, del d.lgs. n. 50 del 2016, in linea di principio compatibili con la direttiva n. 2014/24/UE, salva tuttavia la situazione – che spetta al Giudice nazionale verificare – in cui sussista una “materiale impossibilità”, per l’offerente, di indicare separatamente quei costi.
    5.3. La giurisprudenza ha altresì precisato che la portata escludente dell’inosservanza dell’obbligo di indicare nell’offerta “i propri costi della manodopera”, secondo quanto prescritto dall’art. 95, comma 10, D. Lgs. n. 50/2016, non trova applicazione allorché in base alla documentazione di gara non sia possibile provvedere a tale indicazione.
    5.4. Ad avviso della giurisprudenza l’indicata materiale impossibilità tuttavia non sussiste laddove l’enunciazione dell’obbligo manchi nel corpo della lex specialis, tenuto conto dell’attitudine eterointegrativa della prescrizione normativa dell’art. 95, comma 10, che deve senz’altro considerarsi, anche alla luce del consolidato orientamento giurisprudenziale, ben nota ad ogni serio ed informato operatore economico.
    5.5. E’ stato ancora precisato che l’eventuale non editabilità dei moduli dichiarativi predisposti dalla stazione appaltante privi dello spazio per l’indicazione in questione, non è di per sé preclusiva, sul piano della materiale elaborazione scritturale dei termini dell’offerta, dell’integrazione ad opera dell’offerente (Consiglio di Stato, Sez. V, 8 aprile 2021, n. 2839; Corte di Giustizia, 2 maggio 2019, cit.; Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 2 aprile 2020, nn. 7, 8).
    5.6. Ciò chiarito, dalle emergenze documentali risulta in primo luogo che la stazione appaltante abbia dato vita ad una procedura di selezione mediante confronto tra più offerte, ragione per la quale va respinta la premessa difensiva dell’amministrazione resistente incentrata sulla natura temporanea dell’affidamento “nelle more della definizione di procedure di maggiore ampiezza e durata” atteso che, avendo comunque posto in essere un affidamento diretto di un servizio – mediante confronto tra preventivi – destinato ad essere remunerato con risorse pubbliche, si è realizzata pur sempre una competizione tra operatori economici a carattere selettivo.
    5.7. In secondo luogo non risulta che l’offerta economica della prima graduata contenga il dettaglio dei costi inerenti alla manodopera né, sul piano materiale, sono ravvisabili limiti di indicazione nei moduli dichiarativi, come comprova la circostanza che l’offerta della controinteressata indica espressamente gli oneri per la sicurezza e che la ricorrente, a differenza della controinteressata, ha correttamente integrato il modulo con l’indicazione di entrambe le citate voci di costo.
    5.8. Alla luce delle esposte considerazioni, non possono ritenersi persuasive le controdeduzioni riferite, da un lato, alla non applicabilità della prescrizione sull’obbligatorietà dell’indicazione dei costi della manodopera al caso all’esame e, dall’altro, alla circostanza che l’operatore non abbia perseguito la strada della richiesta di chiarimenti per superare la criticità palesata ma abbia impugnato il provvedimento solo dopo l’aggiudicazione e la stipula del contratto atteso che è nella facoltà della ricorrente scegliere la condotta stragiudiziale (richiesta di autotutela a seguito dell’aggiudicazione) e giudiziale (ricorso giurisdizionale in caso di diniego di autotutela) per esercitare il proprio diritto di difesa.

    Costi della manodopera : ribasso ammesso anche per economie di scala (art. 41 , art. 108 d.lgs. 36/2023)

    TAR Napoli, 13.06.2024 n. 3732

    Venendo poi al merito della questione, per quanto riguarda i costi della manodopera, va in primo luogo rilevato che essi non sono in assoluto insuscettibili di ribasso e che pertanto non doveva essere esclusa la controinteressata per aver indicato, nella propria offerta economica, un costo della manodopera di appena 330.000,00, inferiore di oltre 200.000 Euro rispetto al costo indicato dalla Stazione appaltante e non ribassabile”.
    Infatti, l’articolo 108, comma 9, del d.lgs. n. 36 del 2023, che prescrive al concorrente di indicare nell’offerta economica, a pena di esclusione, i costi della manodopera, oltre agli oneri di sicurezza aziendali va interpretato insieme all’art. 41, comma 14, del d.lgs. 31 marzo 2023, n. 36, prevede che “nei contratti di lavoro e servizi, per determinare l’importo posto a base di gara, la stazione appaltante o l’ente concedente individua nei documenti di gara i costi della manodopera secondo quanto previsto dal comma 13. I costi della manodopera e della sicurezza sono scorporati dall’importo assoggettato a ribasso. Resta ferma la possibilità per l’operatore economico di dimostrare che il ribasso complessivo dell’importo deriva da una più efficiente organizzazione aziendale”. Come condivisibilmente affermato dal TAR Toscana (sent. 120/2024), “Se ne deduce che i costi della manodopera sono assoggettabili a ribasso, come è del resto precisato dall’ultimo periodo del comma 14, dell’art. 41 citato, secondo cui: “Resta ferma la possibilità per l’operatore economico di dimostrare che il ribasso complessivo dell’importo deriva da una più efficiente organizzazione aziendale”.
    Se, infatti, il legislatore avesse voluto considerare tali costi fissi e invariabili, non avrebbe avuto senso richiedere ai concorrenti di indicarne la misura nell’offerta economica, né avrebbe avuto senso includere anche i costi della manodopera tra gli elementi che possono concorrere a determinare l’anomalia dell’offerta.
    Inoltre, la tesi sostenuta dal ricorrente, dell’inderogabilità assoluta dei costi della manodopera individuati dalla stazione appaltante, determinerebbe un’eccessiva compressione della libertà d’impresa, in quanto l’operatore economico potrebbe dimostrare ad esempio che il ribasso è correlato a soluzioni innovative e più efficienti, oppure, soprattutto in ipotesi di appalto di servizi, come quello di cui si discute, alla sua appartenenza ad un comparto, per il quale viene applicato un CCNL diverso da quello assunto come riferimento dalla stazione appaltante.
    A conferma di quanto sin qui esposto, il Consiglio di Stato, sez. V, 9 giugno 2023, n. 5665, con riferimento al previgente Codice dei contratti, ha osservato che “la clausola della lex specialis che imponga il divieto di ribasso sui costi di manodopera, sarebbe in flagrante contrasto con l’art. 97, comma 6 d.lgs. n. 50/2016 e, più in generale, con il principio di libera concorrenza nell’affidamento delle commesse pubbliche”, e richiamando, quale supporto interpretativo l’art. 41 comma 14 del d.lgs. 36 del 2023, ha osservato che: “persino nel “nuovo Codice”, che in applicazione di un preciso criterio di delega di cui all’art. 1 comma 2 lett. t) della L. 78/2022, ha previsto “in ogni caso che i costi della manodopera e della sicurezza siano sempre scorporati dagli importi assoggettati a ribasso” è stata fatta salva la possibilità per l’operatore economico di dimostrare che un ribasso che coinvolga il costo della manodopera sia derivante da una più efficiente organizzazione aziendale così armonizzando il criterio di delega con l’art. 41 della Costituzione”.
    Il Collegio ritiene di condividere pienamente tali argomentazioni. Pertanto, il profilo di doglianza concernente la violazione del divieto di ribasso dei costi di manodopera deve essere respinto.
    Quanto alla censura relativa alla mancata giustificazione dei ribassi dei costi della manodopera va rilevato che la controinteressata ha nelle sue giustificazioni rappresentato di potersi giovare di economie di scala, in quanto, come si legge nella relazione giustificativa del costo della manodopera: “ Oggi, la -OMISSIS- catering gode di un’organizzazione aziendale tale da consentire la gestione di un’utenza ben oltre l’appalto per cui si scrive, e tale da consentire la redistribuzione dell’incidenza dei costi del singolo appalto su più ampia scala. Difatti, l’azienda attualmente ha un team, supportato da idonee attrezzature, capace di produrre fino a 5.000 pasti per ciclo produttivo, così come dichiarato anche in fase di gara. Preso atto che attualmente la ditta scrivente è impegnata nella produzione di circa 1.500 pasti giornalieri, dispone di tutte le attrezzature e le risorse per poter soddisfare ampiamente un incremento di circa 600 pasti giornalieri.”
    Come già recentemente affermato da questa Sezione (T.A.R. Napoli, sez. II, 26/02/2024, n.1270, la giurisprudenza prevalente ritiene legittimo per l’operatore economico avvalersi di economie di scala, osservando, tuttavia, che l’esistenza dei relativi presupposti deve essere fatto oggetto di rigorosa e puntuale dimostrazione, e non di semplice allegazione: “L’operatore economico può sempre, mediante l’organizzazione d’impresa, realizzare economia di scala che rendono il costo del lavoro offerto inferiore a quello di altro operatore pur a parità di ore lavorate. Il costo del lavoro, ove non risulti inferiore ai minimi retributivi tabellari, non può essere indicativo d’inattendibilità dell’offerta. Una organizzazione aziendale di rilevante entità è in grado di far fronte alle richieste della Stazione appaltante servendosi anche di lavoratori impiegati nella esecuzione di altre commesse” (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 13 marzo 2020, n. 1818); “Va dichiarata anomala l’offerta del concorrente che presenti talune voci non giustificate e un utile esiguo, atteso che le economie di scala di cui l’operatore può godere, perché parte di un più ampio consorzio di imprese, vanno dimostrati e non semplicemente allegati” (cfr. T.A.R. Brescia, (Lombardia) sez. I, 10/05/2021, n. 417).

    Principio di invarianza delle medie art. 108 d.lgs. 36/2023 : ratio , interpretazione ed applicazione

    Consiglio di Stato, sez. V, 13.06.2024 n. 5319

    15.1. Ritiene il collegio che il primo giudice abbia fatto al riguardo un’erronea applicazione del principio di invarianza delle medie, quale codificato dall’art. 108 comma 12 del d.lgs. n. 36 del 2023, in riferimento a tale primo motivo, riferito all’inesatto calcolo della soglia di anomalia, per avere la commissione preso in considerazione il ribasso indicato dalla Mar.sal. Restauri s.r.l. nell’allegato G e non quello indicato nel modulo generato automaticamente dal sistema, sulla base dei dati indicati dal medesimo operatore economico.
    15.2. Ed invero secondo tale disposto normativo “Ogni variazione che intervenga, anche in conseguenza di una pronuncia giurisdizionale, successivamente al provvedimento di aggiudicazione, tenendo anche conto dell’eventuale inversione procedimentale, non è rilevante ai fini del calcolo di medie nella procedura, né per l’individuazione della soglia di anomalia delle offerte, eventualmente stabilita nei documenti di gara, e non produce conseguenze sui procedimenti relativi agli altri lotti della medesima gara”.
    Tale principio era già espresso – anche se non riferito expressis verbis alle conseguenze sui procedimenti relativi agli altri lotti (precisazione inserita nel nuovo Codice, avendo evidentemente riguardo al vincolo di aggiudicazione) e letteralmente ancorato alla fase di ammissione, regolarizzazione od esclusione delle offerte – dall’articolo 95, comma 15, del d.lgs. n. 50 del 2016 (che riproduceva a sua volta la disposizione dell’art. 38, comma 2-bis, del d.lgs. n. 163 del 2006, inserita dall’art. 39 del d. l. 24 giugno 2014 n. 90, convertito dalla l. 11 agosto 2014, n. 114) prevedendo che “..ogni variazione che intervenga, anche in conseguenza di una pronuncia giurisdizionale, successivamente alla fase di ammissione, regolarizzazione o esclusione delle offerte non rileva ai fini del calcolo di medie nella procedura, né per l’individuazione della soglia di anomalia delle offerte..”.
    L’art. 39, comma 1, del d.l. 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, inserì infatti all’art. 38 del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 il comma 2- bis recante detta previsione.
    In identici termini si espresse, come detto, l’art. 95, comma 15, del d.lgs. 18 aprile 2016, n.50.
    Peraltro occorrere rammentare che tale comma era stato sostituito dall’art. 1, comma 1, lett. s), n. 4), del d.l. 18 aprile 2019, n. 32, nei seguenti termini: “Ogni variazione che intervenga, anche in conseguenza di una pronuncia giurisdizionale, successivamente alla fase amministrativa di prima ammissione, regolarizzazione o esclusione delle offerte non rileva ai fini del calcolo di medie nella procedura, né per l’individuazione della soglia di anomalia delle offerte”, aggiungendo all’ammissione, l’aggettivo numerale ordinale “prima”.
    Tuttavia, la novella non veniva confermata dalla legge di conversione 14 giugno 2019, n. 55.

    15.3. Come chiarito dalla giurisprudenza nel vigore del previgente codice (ex multis Consiglio di Stato, sez. V, 20 dicembre 2021 n. 8460) il principio di invarianza opera nel senso della “cristallizzazione delle offerte” e della “immodificabilità della graduatoria” ed integra un’espressa eccezione all’ordinario meccanismo del regresso procedimentale per positiva irrilevanza delle sopravvenienze, obbedendo alla duplice e concorrente finalità:
    a) di garantire, per un verso, continuità alla gara e stabilità ai suoi esiti, onde impedire che la stazione appaltante debba retrocedere il procedimento fino alla determinazione della soglia di anomalia delle offerte, cioè di quella soglia minima di utile al di sotto della quale l’offerta si presume senz’altro anomala, situazione che ingenererebbe una diseconomica dilatazione dei tempi di conclusione della gara correlata a un irragionevole dispendio di risorse umane ed economiche (cfr. Cons. Stato, V, 22 gennaio 2021, n. 683; III, 11 ottobre 2021 n. 6821; 12 luglio 2018, n. 4286; 27 aprile 2018, n. 2579);
    b) di impedire, o comunque vanificare, in prospettiva antielusiva, la promozione di controversie meramente speculative e strumentali da parte di concorrenti non utilmente collocatisi in graduatoria, mossi dall’unica finalità, una volta noti i ribassi offerti e quindi gli effetti delle rispettive partecipazioni in gara sulla soglia di anomalia, di incidere direttamente su quest’ultima, traendone vantaggio (cfr. Cons. Stato, Sez V, 2 novembre 2021, n. 7303; III, 11 ottobre 2021 n. 6821; 22 febbraio 2017, n. 841).

    15.4. Il principio di invarianza è pertanto finalizzato anche a tutelare l’affidamento medio tempore maturato dai partecipanti alla gara ed è volto altresì a salvaguardare l’interesse delle amministrazioni alla stabilità degli assetti definiti e consolidati dalla chiusura di alcune fasi di gara, con riguardo alla determinazione della soglia di anomalia e al calcolo delle medie per i punteggi attribuiti alle offerte. Ciò, nonostante l’eventuale successiva esclusione di taluno dei concorrenti e nonostante l’evidente rischio che, nelle more della partecipazione, la permanenza in gara del concorrente in seguito escluso abbia sortito taluni effetti in punto di determinazione delle medie o delle soglie di anomalia.
    La ratio di tale principio, quale ricostruito dalla giurisprudenza, consiste pertanto, come già accennato in precedenza, nel neutralizzare il rilievo sul piano procedimentale di tutte le vicende che seguono la fase di verifica preliminare delle offerte, al fine di sterilizzare “l’alterazione della trasparenza e della correttezza del confronto concorrenziale, potenzialmente correlata alla partecipazione di fatto di un concorrente solo successivamente estromesso della gara” (Cons. Stato, sez. V, 2 settembre 2019, n. 6013).

    15.5. Peraltro vi è da evidenziare che l’irrilevanza delle modifiche successive è stata nel nuovo codice riferita expressis verbis all’aggiudicazione definitiva, in continuità peraltro con l’orientamento giurisprudenziale formatosi in materia, secondo il quale con il principio di invarianza della soglia di anomalia, la legge intende evitare la retrocessione della procedura di gara fino alla (ri)determinazione della soglia di anomalia delle offerte (ossia della soglia minima di utile al di sotto della quale l’offerta si presume senz’altro anomala), quando, già intervenuta l’aggiudicazione del contratto, sia disposta, anche in via giudiziaria, l’esclusione dell’aggiudicatario (o di altro concorrente) per carenza dei requisiti di partecipazione (cfr. Cons. Stato, sez. V, 22 gennaio 2019, n. 572).
    Si è chiarito, infatti, che la “fase di ammissione, regolarizzazione o esclusione delle offerte” a conclusione della quale, ai sensi dell’art. 95, comma 15, citato, non è più consentita la modifica della soglia di anomalia in via di intervento da parte della stessa stazione appaltante è delimitata, dal punto di vista temporale e procedimentale, dal provvedimento di aggiudicazione; l’adozione del provvedimento di aggiudicazione costituisce il termine ultimo entro il quale l’intervento in autotutela della stazione appaltante può comportare variazioni rilevanti per l’individuazione della soglia di anomalia delle offerte (cfr. Cons. Stato, sez. V, 23 novembre 2020, n. 7332, cui si rinvia, spec. par. 5, per le motivazioni che hanno condotto ad accogliere tale interpretazione, superando la diversa tesi secondo la quale è la proposta di aggiudicazione a segnare il momento a partire dal quale opera il principio di invarianza; vedi anche Cons. Stato, sez. V, 23 maggio 2022, n. 4056).

    16. In applicazioni delle indicate coordinate ermeneutiche, la statuizione di inammissibilità di cui alla sentenza di prime cure, fondata sull’indicato principio di invarianza, deve intendersi senz’altro erronea con riferimento al primo motivo del ricorso di prime cure.

    16.1. Ed invero, con tale motivo -OMISSIS-, lungi dal richiedere il ricalcolo della soglia di anomalia per effetto dell’esclusione della -OMISSIS-, afferma che la stazione appaltante, ai fini del calcolo della soglia di anomalia, anziché prendere in considerazione il ribasso indicato nel modello G, avrebbe dovuto prendere in considerazione il ribasso indicato nel modello generato automaticamente dal sistema, da considerarsi come la vera e propria offerta economica.
    Pertanto la censura non è finalizzata ad un ricalcolo della soglia dell’anomalia per effetto dell’esclusione di uno degli offerenti, e quindi della modifica della platea dei concorrenti, ma è volta a contestare lo stesso operato della stazione appaltante nella determinazione della soglia di anomalia, con la conseguenza che non viene in rilievo l’applicabilità del principio di invarianza (in tal senso Consiglio di Stato, Sez. III, 11 ottobre 2021, n. 6821, secondo cui il perimetro di operatività della norma non si estende fino a ricomprendere anche l’applicazione delle regole di calcolo della soglia di anomalia).
    Ed invero la norma qui in rilievo è rivolta a: “paralizzare gli effetti riflessi sulla soglia di anomalia, derivanti da modifiche incidenti a posteriori sul novero degli operatori economici legittimamente partecipanti. A questo scopo può in particolare essere valorizzato l’impiego del verbo atecnico “intervenire”: «Ogni variazione che intervenga, anche in conseguenza di una pronuncia giurisdizionale…», come appunto riferito ai riflessi sulla soglia di anomalia e la conseguente graduatoria di gara derivanti da modifiche concernenti le imprese in precedenza ammesse a presentare l’offerta. Questi effetti riflessi, utilizzati consapevolmente ed in modo strumentale da operatori economici che altrimenti non potrebbero conseguire l’aggiudicazione, sono appunto quelli che il legislatore ha inteso limitare per contrapposte legittime esigenze di stabilità delle situazioni giuridiche derivanti dalla gara (ex multis, Cons. Stato, Sez. V, 12 febbraio 2020, n. 1117).

    17. Più problematica si rileva per contro la delibazione dell’ammissibilità degli ulteriori due motivi del ricorso di prime cure, con i quali la -OMISSIS- mira per l’appunto alla modifica della soglia di anomalia per effetto dell’esclusione della -OMISSIS-, trattandosi di questione strictu sensu rientrante nell’ambito di applicabilità del principio di invarianza.

    17.1. Peraltro, come sottolineato da questa Sezione, nel vigore del d.lgs. 50 del 2016, con sentenza 31 ottobre 2022 n. 9381, invocata da parte appellante, il principio di invarianza è idoneo a incidere sull’esercizio dell’azione giurisdizionale, poiché, ove rigorosamente applicato, renderebbe inutiliter data la sentenza che accerti l’esistenza di cause di esclusione nei confronti di uno dei concorrenti, privando già in prospettazione il concorrente pregiudicato dell’interesse a ricorrere.
    Vero quanto sopra, con tale pronuncia si è rilevato il possibile contrasto con il principio di effettività della tutela giurisdizionale (art. 24 e 113 Cost., art. 1 cod. proc. amm., art. 6 CEDU, art. 47 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea): il concorrente non potrebbe contestare il provvedimento di aggiudicazione che sia stato adottato sulla base di una soglia di anomalia inesatta, calcolata tenendo conto delle offerte di concorrenti che la stazione appaltante avrebbe dovuto escludere, per il solo fatto che la procedura di gara sia pervenuta alla fase dell’aggiudicazione del contratto (cfr. Cons. Stato, sez. V, 27 ottobre 2020, n. 6542; III, 27 aprile 2018, n. 2579, pronunciata peraltro nella vigenza dell’art. 120 comma 2 – bis, cod. proc. amm., successivamente abrogato).
    Si tratterebbe, inoltre, di esito contrastante con i principi, di pari rilevanza costituzionale, del buon andamento e imparzialità dell’azione amministrativa, per l’evidente distorsione nella determinazione della soglia di anomalia, in base alla quale si è giunti a selezionare l’affidatario del contratto.
    La giurisprudenza amministrativa seguita da questa Sezione ha accolto, pertanto, una interpretazione teleologica del principio di invarianza, orientata secondo la sua ratio.
    Se la ratio consiste nell’esigenza di impedire impugnazioni di carattere strumentale e speculativo, in cui il conseguimento dell’aggiudicazione è ottenibile non già per la portata delle censure dedotte contro gli atti di gara e per la posizione in graduatoria del ricorrente, ma solo avvalendosi degli automatismi insiti nella determinazione automatica della soglia di anomalia (cfr. Cons. Stato, V, 20 dicembre 2021, n. 8460; V, 23 novembre 2020, n. 7332; V, 27 ottobre 2020, n. 6542; V, 12 febbraio 2020, n. 1117), deve ritenersi che la preclusione non operi per le iniziative giurisdizionali dirette a contestare l’ammissione alla gara di imprese prive dei requisiti di partecipazione o autrici di offerte invalide, che nondimeno abbiano inciso sulla soglia di anomalia automaticamente determinata (cfr. Cons. Stato, sez. V, 2 novembre 2021, n. 7303; V, 22 gennaio 2021, n. 683) laddove la questione relativa alla loro ammissione fosse già sorta al momento dell’aggiudicazione.
    Solo a queste condizioni, infatti, si evita la preclusione del “fatto compiuto”, vale a dire l’impedimento all’esercizio dell’azione giurisdizionale derivante dal solo fatto che la stazione appaltante abbia concluso la fase di ammissione dei concorrenti e assunto il provvedimento di aggiudicazione del contratto (cfr. Cons. Stato, sez. V, 23 maggio 2022, n. 4056).
    Ciò posto, in continuità con la lettura di tale principio offerta da questa Sezione con l’indicata sentenza 31 ottobre 2022 n. 9381, deve ritenersi che l’applicazione in senso letterale del principio di invarianza consentirebbe alla stazione appaltante – pur consapevole dell’esistenza di ragioni di esclusione nei confronti di taluno dei concorrenti (che, ove disposta, condurrebbe alla revisione della soglia di anomalia) – di procedere fino all’adozione del provvedimento di aggiudicazione, così da far scattare nei tempi che ella stessa governa la relativa preclusione.
    Il momento in cui è emersa l’esistenza di una (possibile) causa di esclusione di uno dei concorrenti assumerebbe, così, un valore decisivo per qualificare l’azione giurisdizionale intrapresa dal concorrente che si assume pregiudicato.
    Se la causa di possibile esclusione era emersa quand’ancora non era stata disposta l’aggiudicazione, l’iniziativa del concorrente dovrebbe intendersi legittima, non potendo egli subire preclusioni (e decadenze) processuali (il “fatto compiuto” di cui si è detto) che derivano direttamente dalle decisioni assunte dall’amministrazione (sua controparte del giudizio).
    In questi casi, d’altronde, prima ancora che l’ammissione in gara di un concorrente perché privo dei requisiti di partecipazione – che, come rammentato, potrebbe essere strumentalmente utilizzata al solo fine di ribaltare l’esito sfavorevole della procedura – il ricorrente contesta lo sviamento di potere che inficia l’azione della stazione appaltante, la quale, consapevole dell’esistenza di una possibile causa di esclusione nei confronti di un concorrente (e, dunque, dell’inesatto calcolo della soglia di anomalia) nondimeno sia andata oltre, fino all’aggiudicazione del contratto.

    17.2. Il collegio intende dar seguito tale orientamento giurisprudenziale – avuto riguardo alla circostanza che dal verbale n. 3 si desume come la commissione fosse consapevole della circostanza che il ribasso contenuto nel modello G fosse diverso da quello indicato nel modulo generato automaticamente dal sistema telematico – e comunque scrutinare nel merito anche le ultime due censure, avuto riguardo alla loro infondatezza, che consentirebbe comunque di prescindere dal vaglio di ammissibilità, in applicazione del principio della ragione più liquida.

    Costi della manodopera “al rialzo” : ammissibile ?

    TAR Firenze, 11.06.2024 n. 703

    2.1. Tali motivi si basano sull’assunto secondo cui il maggior costo della manodopera indicato da -OMISSIS- andrebbe a costituire un rialzo complessivo della base d’asta e non andrebbe invece ad imputarsi a carico di -OMISSIS-.
    Tale prospettazione non può però essere condivisa. L’offerta complessiva di -OMISSIS- è infatti inferiore alla base d’asta, come risulta inequivocabilmente dalla sua offerta economica complessiva, ove viene indicato “Importo totale offerto al netto dell’IVA: Euro 1.607.775,00”, che è inferiore all’importo a base d’asta di € 1.657.500,00.
    Invero, come chiarito da -OMISSIS- già in sede di gara in seguito alla sua esclusione, per determinare l’importo complessivo offerto occorreva sommare l’importo fisso, relativo al costo della manodopera stabilito dalla stazione appaltante, con la componente variabile, soggetta a ribasso. Ebbene, sommando i costi della manodopera stimati dalla Stazione appaltante (€ 764.337,00) – che necessariamente dovevano essere indicati nel modello di offerta economica – con l’importo ribassato offerto da -OMISSIS- per il servizio refezione scolastica (€ 842.137,50) si giunge, tenendo conto anche degli per la sicurezza da interferenze (€ 1.300,50), all’importo di € 1.607.775, inferiore all’importo a base d’asta (€ 1.657.500).
    In particolare, il modulo precompilato dalla stazione appaltante relativo all’offerta economica riportava come immodificabile il valore del costo della manodopera indicato dalla stazione appaltante in euro 764.337,00.
    Pertanto, -OMISSIS- era obbligata a tale indicazione e, volendo e dovendo tuttavia dichiarare i propri effettivi costi della manodopera necessari per l’esecuzione del servizio oggetto dell’appalto, si è servita della separata ed apposita dichiarazione (prevista dalla legge di gara e dall’art. 108, comma 9, del d.lgs. n. 36 del 2023), restando tuttavia logicamente sottinteso che tali maggiori costi (rispetto a quelli fissati dalla stazione appaltante) non andavano ad alterare il prezzo complessivo offerto, dovendo essere imputati all’importo variabile della propria offerta ed andando a gravare sull’utile ritraibile.
    Peraltro, lo stesso ricorrente ammette che non si possa dubitare sul fatto che le imprese partecipanti fossero libere di offrire maggiori costi della manodopera rispetto a quelli quantificati dalla stazione appaltante, restando infatti salva la facoltà delle concorrenti di indicare un costo del lavoro diverso rispetto a quello stimato dalla stazione appaltante, e ciò non soltanto in ribasso (ex art. 41, comma 14, del d.lgs. n. 36 del 2023) ma anche in aumento, come appunto fatto da Sodexo in base all’art. 108, comma 9, del d.lgs. citato.
    A tal riguardo, la Commissione di gara ha correttamente interpretato le disposizioni sopra citate e quelle della lex specialis di gara assegnando a ciascuna dichiarazione della Sodexo la funzione che gli era propria (dichiarazione del prezzo complessivo offerto – dichiarazione del costo della manodopera), come si evince nel verbale del 26 ottobre 2023, nel quale la prima ha ritenuto infatti che “i maggiori costi della manodopera concretamente sostenuti da -OMISSIS- ed indicati nella dichiarazione ex art. 108, co. 9 del d.lgs. 37/2023 siano stati computati dalla concorrente nell’ambito dell’importo complessivo offerto, che, come risulta dal modello dell’offerta economica, è pari ad euro 1.607.775,00; correlativamente, l’indicazione di tali maggiori costi della manodopera non integra alcuna causa di esclusione, ma costituisce un elemento suscettibile di incidere sulla remuneratività dell’offerta, andando ad abbattere l’utile ritraibile dall’importo offerto, essendo, di conseguenza, opportuno il controllo di anomalia dell’offerta”.

    Equo compenso e D.Lgs. 36/2023 : esclusione dalla gara per ribasso sui compensi da parametri ministeriali

    TAR Roma, 30.04.2023 n. 8580

    3. Passando agli aspetti sostanziali della vicenda, è opportuno dare sinteticamente conto della nuova disciplina dell’equo compenso (per quanto oggi di interesse).

    3.1. Come è noto, la legge n. 49/2023, pubblicata nella G.U. 5 maggio 2023, n. 104 (entrata in vigore il 20 maggio 2023), ha riscritto le regole in materia di corrispettivo per le prestazioni professionali, garantendo la percezione di un compenso proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, al contenuto e alle caratteristiche della prestazione professionale, ossia – per quanto qui rileva – conforme ai compensi previsti “per i professionisti iscritti agli ordini e collegi, dai decreti ministeriali adottati ai sensi dell’articolo 9 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27” (art. 1, co. 1, lett. b).
    Ai sensi dell’art. 2, co. 1, tale disciplina “si applica ai rapporti professionali aventi ad oggetto la prestazione d’opera intellettuale di cui all’articolo 2230 del codice civile regolati da convenzioni aventi ad oggetto lo svolgimento, anche in forma associata o societaria, delle attività professionali svolte in favore di imprese bancarie e assicurative nonché delle loro società controllate, delle loro mandatarie e delle imprese che nell’anno precedente al conferimento dell’incarico hanno occupato alle proprie dipendenze più di cinquanta lavoratori o hanno presentato ricavi annui superiori a 10 milioni di euro”. Le medesime disposizioni “si applicano altresì alle prestazioni rese dai professionisti in favore della pubblica amministrazione e delle società disciplinate dal testo unico in materia di società a partecipazione pubblica, di cui al decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175” (art. 2, co. 3).
    Il legislatore ha quindi stabilito la nullità delle clausole che non prevedano un compenso equo e proporzionato all’opera prestata (art. 3), introducendo una nullità relativa o di protezione che consente al professionista di impugnare la convenzione, il contratto, l’esito della gara, l’affidamento, la predisposizione di un elenco di fiduciari o comunque qualsiasi accordo che preveda un compenso iniquo innanzi al Tribunale territorialmente competente in base al luogo in cui ha la residenza, per chiedere la rideterminazione del compenso per l’attività professionale prestata con l’applicazione dei parametri previsti dal decreto ministeriale relativo alla specifica attività svolta.

    3.2. Orbene, a differenza di quanto affermato – con articolate argomentazioni – dalla parte ricorrente, si deve ritenere che non vi sia contrasto tra le disposizioni appena illustrate e la libertà di stabilimento (art. 49 TFUE) o il “diritto di prestare servizi in regime di concorrenzialità” (artt. 101 TFUE e 15 direttiva 2006/123/CE) (come viceversa sostenuto dalla società istante, cfr. pagg. 13 e ss. e 25, memoria depositata in data 29 marzo 2024), né “ontologica incompatibilità” tra la stessa legge e la disciplina di cui al d.lgs. n. 36 del 2023 (cfr. pagg. 8 e ss. e pag. 24, memoria depositata in data 29 marzo 2024).

    3.3. Con riferimento all’asserita incompatibilità della disciplina dell’equo compenso con il diritto eurounitario, in giurisprudenza si è già condivisibilmente affermato come la prima “non sia in grado di pregiudicare l’accesso, in condizioni di concorrenza normali ed efficaci, al mercato italiano da parte di operatori economici di altri Stati dell’Unione Europea […]. Si tratta […] di un rafforzamento delle tutele e dell’interesse alla partecipazione alle gare pubbliche, rispetto alle quali l’operatore economico, sia esso grande, piccolo, italiano o di provenienza UE, è consapevole del fatto che la competizione si sposterà eventualmente su profili accessori del corrispettivo globalmente inteso (ad esempio, […] sulle spese generali) e, ancor di più sul profilo qualitativo e tecnico dell’offerta formulata. […] il meccanismo derivante dall’applicazione della legge n. 49/2023 è tale da garantire sia dei margini di flessibilità e di competizione anche sotto il profilo economico, sia la valorizzazione del profilo qualitativo e del risultato, in piena coerenza con il dettato normativo nazionale e dell’Unione Europea” (Tar Veneto, sez. III, 3 aprile 2024, n. 632).
    Neppure potrebbe giungersi a conclusioni diverse in forza del richiamo fatto dalla ricorrente alla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea e, in particolare, alla sentenza 4 luglio 2019, nella causa C-377/17 – pronuncia che non afferma, invero, la sussistenza di preclusioni assolute, riconoscendo, viceversa, in capo agli Stati Membri il potere di introdurre tariffe minime per le prestazioni professionali che siano non discriminatorie, necessarie e proporzionate alla realizzazione di un motivo imperativo di interesse generale ex art. 15, par. 3, della direttiva 2006/123/CE – o alla recente sentenza 25 gennaio 2024, nella causa C-438/22 (pag. 14 memoria di parte ricorrente depositata il 29 marzo 2024), che ha affermato l’obbligo di rifiutare l’applicazione di una normativa che fissi importi minimi degli onorari degli avvocati.
    Va, infatti, considerato che nel caso oggetto di quest’ultima pronuncia gli importi erano stati determinati dal Consiglio superiore dell’Ordine forense della Bulgaria“in assenza di qualsiasi controllo da parte delle autorità pubbliche e di disposizioni idonee a garantire che esso si comporti quale emanazione della pubblica autorità”: la Corte ha cioè ritenuto come tale organismo agisse alla stregua di “un’associazione di imprese, ai sensi dell’articolo 101 TFUE” (§ 44, sent. cit.), nel perseguimento di un proprio interesse specifico e settoriale (realizzando un’ipotesi di “determinazione orizzontale di tariffe minime imposte, vietata dall’art. 101, paragrafo 1, TFUE”), in un contesto, quindi, del tutto diverso da quello oggetto del presente giudizio, in cui rilevano norme di carattere generale (la l. n. 49/2023 e gli inerenti decreti ministeriali) adottate da autorità pubbliche e, per questo, non sussumibili nell’ambito (soggettivo e oggettivo) di applicazione dell’art. 101 TFUE (rivolto a vietare “tutti gli accordi tra imprese, tutte le decisioni di associazioni di imprese e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio tra Stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato interno”).

    3.4. Va altresì escluso l’ipotizzato (dalla ricorrente) “disallineamento” tra la legge n. 49/2023 e il d.lgs. n. 36/2023, alla luce dell’indirizzo secondo cui “un’antinomia può configurarsi ‘in concreto’ allorché – in sede di applicazione – due norme connettono conseguenze giuridiche incompatibili ad una medesima fattispecie concreta. […] Nell’ipotesi in esame, l’interpretazione letterale e teleologica della legge n. 49/2023 depone in maniera inequivoca per la sua applicabilità alla materia dei contratti pubblici” (Tar Veneto, n. 632/2024, cit.).3030

    3.4.1. In particolare, non merita accoglimento la tesi di parte ricorrente laddove esclude che “la disciplina dettata dalla L. 49/2023 sia idonea a perseguire il proprio obiettivo anche in materia di appalti pubblici”, in quanto nessuna esigenza di protezione vi sarebbe “quando la prestazione avviene istituzionalmente tramite il libero confronto tra gli operatori” alla “presenza di offerte libere e adeguatamente ponderate da parte degli offerenti” e con la garanzia di “adeguati meccanismi atti proprio ad evitare la presentazione di offerte eccessivamente basse e quindi non sostenibili (anomalia dell’offerta)” (pag. 15, memoria 29 marzo 2024).
    Invero, la legge n. 49/2023, oltre a perseguire obiettivi di protezione del professionista, mediante l’imposizione di un’adeguata remunerazione per le prestazioni da questi rese, contribuisce, tra l’altro, analogamente al richiamato giudizio di anomalia dell’offerta, a evitare che il libero confronto competitivo comprometta gli standard professionali e la qualità dei servizi da rendere a favore della pubblica amministrazione.
    Risulta dunque indimostrato che la legge sull’equo compenso venga a collidere con le disposizioni del codice dei contratti pubblici che assicurano il confronto competitivo tra gli operatori; del resto, analoghe perplessità non nutre il ricorrente in relazione ad altre disposizioni parimenti poste a presidio dell’esatto adempimento, come, appunto, quelle in materia di anomalia (la cui finalità è di “evitare che offerte troppo basse espongano l’amministrazione al rischio di esecuzione della prestazione in modo irregolare e qualitativamente inferiore a quella richiesta e con modalità esecutive in violazione di norme, con la conseguente concreta probabilità di far sorgere contestazioni e ricorsi”, Cons. Stato, sez. V, 27 settembre 2022, n. 8330).

    3.4.2. La prospettata incompatibilità tra la legge sull’equo compenso e il codice dei contratti pubblici è in ogni caso smentita dal dato testuale.
    Da un lato, la legge n. 49/2023 prevede esplicitamente l’applicazione alle prestazioni rese in favore della P.A., senza esclusioni, dall’altro lato, l’art. 8 del d.lgs. n. 36/2023 impone alle pubbliche amministrazioni di garantire comunque l’applicazione del principio dell’equo compenso nei confronti dei prestatori d’opera intellettuale (salvo che in ipotesi eccezionali di prestazioni rese gratuitamente).

    3.4.3. Né può condividersi l’ulteriore argomento basato sull’asserita diversità del tenore letterale dei commi 1 e 3 dell’art. 2 della l. n. 49 del 2023.
    In particolare, la società ricorrente valorizza la circostanza che, se, da un lato, il comma 1 del predetto art. 2 ha cura di specificare che l’equo compenso si applica ai rapporti aventi a oggetto la prestazione d’opera intellettuale ex art. 2230 c.c., regolamentati da convenzioni aventi a oggetto lo svolgimento, anche in forma associata o societaria, delle attività professionali prestate a favore di imprese bancarie e assicurative, delle loro società controllate e delle loro mandatarie, imprese che, nell’anno precedente al conferimento dell’incarico, hanno occupato alle proprie dipendenze più di 50 lavoratori ovvero hanno presentato ricavi annui superiori a 10 milioni di euro, dall’altro lato, il comma 3 si limita a prevedere “lapidariamente” l’applicabilità della legge alle “prestazioni rese dai professionisti in favore della Pubblica Amministrazione”.
    In sintesi, secondo parte ricorrente, nel “declinare la disciplina dell’equo compenso anche in relazione ai servizi intellettuali forniti alla p.a., significativamente, la norma [farebbe] riferimento ai soli professionisti senza estendere il campo di applicazione anche ai servizi forniti dai medesimi in forma associata o societaria” (pag. 25, memoria 29 marzo 2024). Nei rapporti con la P.A., la legge sull’equo compenso sarebbe cioè applicabile esclusivamente alle prestazioni rese da singoli liberi professionisti, che trovino “fondamento in un contratto d’opera caratterizzato dall’elemento personale” (“in cui il singolo professionista assicura lo svolgimento della relativa attività principalmente con il proprio lavoro autonomo”, pag. 17, memoria 29 marzo 2024), con l’esclusione, invece, delle prestazioni rese da società e imprese, laddove vi è “una articolata organizzazione di mezzi e risorse e […] assunzione del relativo rischio imprenditoriale” (pag. 17, memoria 29 marzo 2024, e pag. 30, ricorso). Ciò in quanto soltanto il professionista singolo si troverebbe nella condizione del “contraente debole” da tutelare, mentre nei confronti di chi esercita la professione in forma associata o societaria, vi sarebbe un “certo grado di minore dominanza della posizione degli Enti pubblici” (cfr. pag. 25, memoria 29 marzo 2024).
    La prospettazione non è condivisibile.
    In primo luogo, la scelta di applicare la disciplina sull’equo compenso esclusivamente alle prestazioni di natura intellettuale rese in favore della P.A. dal singolo professionista, che non necessiti (o comunque non si avvalga) di un’organizzazione di mezzi e risorse, sarebbe difficilmente giustificabile dal punto di vista logico, considerata l’ontologica corrispondenza tra le prestazioni rese dal singolo e quelle rese nell’ambito di una società/impresa (tanto più che per “servizi di natura intellettuale” oggetto di appalto, come i servizi di ingegneria e architettura, si intendono “quelli che richiedono lo svolgimento di prestazioni professionali, svolte in via eminentemente personale, costituenti ideazione di soluzioni o elaborazione di pareri, prevalenti nel contesto della prestazione erogata rispetto alle attività materiali e all’organizzazione di mezzi e risorse”; Cons. Stato, sez. V, 21 febbraio 2022, n. 1234).
    Inoltre, considerato che, da un lato, l’ordinamento lascia libero il professionista di scegliere di svolgere la propria attività come singolo o in forma associata e che, dall’altro, lo stesso art. 66 del d.lgs. n. 36/2023 stabilisce che “[s]ono ammessi a partecipare alle procedure di affidamento dei servizi attinenti all’architettura e all’ingegneria nel rispetto del principio di non discriminazione fra i diversi soggetti sulla base della forma giuridica assunta: a) i prestatori di servizi di ingegneria e architettura: i professionisti singoli, associati, le società tra professionisti di cui alla lettera b), le società di ingegneria di cui alla lettera c), i consorzi, i GEIE, i raggruppamenti temporanei fra i predetti soggetti (…)”, imporre il rispetto della norma sull’equo compenso soltanto per le prestazioni rese dal professionista che operi (e partecipi a una procedura a evidenza pubblica) uti singuli avrebbe l’effetto di concretizzare una inammissibile disparità di trattamento tra quest’ultimo e i professionisti che, viceversa, operino (e concorrano) nell’ambito di società, associazioni o imprese, i quali ultimi potrebbero in ipotesi trarre vantaggio dalla mancata applicazione della normativa in materia di equo compenso e quindi praticare ribassi sui compensi (con la presentazione di offerte verosimilmente più “appetibili”).

    3.4.4. Né può ravvisarsi un’incompatibilità tra la legge sull’equo compenso e l’art. 108, co. 2, del codice dei contratti pubblici, nella parte in cui impone l’applicazione del “criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa individuata sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo” ai “contratti relativi all’affidamento dei servizi di ingegneria e architettura e degli altri servizi di natura tecnica e intellettuale di importo pari o superiore a 140.000 euro”.
    E invero, la legge n. 49/2023 non preclude l’applicabilità ai contratti in questione del criterio di aggiudicazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa: il compenso del professionista è, infatti, soltanto una delle componenti del “prezzo” determinato come importo a base di gara, al quale si affiancano altre voci, relative in particolare a “spese ed oneri accessori” (peraltro, anche la delibera ANAC n. 101 del 28 febbraio 2024 non esclude la legittimità delle tre ipotesi contemplate nel bando-tipo n. 2/2023: a) procedura di gara a prezzo fisso in virtù dell’applicazione della l. n. 49/2023 a tutte le voci del corrispettivo posto a base di gara; b) procedura di gara da aggiudicare secondo il criterio dell’OEPV, con ribasso limitato alle sole spese generali; c) inapplicabilità della disciplina sull’equo compenso, con conseguente ribassabilità dell’intero importo posto a base di gara).

    3.4.5. Infine, non si può ritenere che l’art. 41, comma 15, e l’all. I.13 al d.lgs. n. 36/2023 individuino nelle tariffe professionali i criteri per la determinazione del (solo) importo da porre a base di gara, non precludendo affatto l’applicabilità di un ribasso alla base d’asta così composta (cfr. pag. 23, memoria parte ricorrente 29 marzo 2024).
    Delle disposizioni da ultimo menzionate va, infatti, offerta un’interpretazione coerente con il richiamato art. 8 dello stesso d.lgs. n. 36/2023, ai sensi del quale, come detto, le pubbliche amministrazioni debbono garantire comunque l’applicazione del principio dell’equo compenso nei confronti dei prestatori d’opera intellettuale.

    Verifica d’ ufficio costi della manodopera: differenza tra art. 108 D.Lgs. 36/2023 ed art. 95 D.Lgs. 50/2016.

    TAR Firenze, 23.04.2024 n. 133

    Per inficiare le operazioni di valutazione e aggiudicazione di una gara pubblica non basta contestare la mancanza del formale passaggio valutativo del costo della manodopera ma occorre fornire quantomeno un principio di prova sulla non correttezza dei valori di gara e delle corrispondenti offerte presentate che, nel caso di specie, il ricorrente non ha offerto. […]
    Occorre evidenziare che l’art. 41 del D.Lgs. n. 36/2023 prevede che “nei contratti di lavori e servizi, per determinare l’importo posto a base di gara, la stazione appaltante o l’ente concedente individua nei documenti di gara i costi della manodopera secondo quanto previsto dal comma 13. I costi della manodopera e della sicurezza sono scorporati dall’importo assoggettato al ribasso. Resta ferma la possibilità per l’operatore economico di dimostrare che il ribasso complessivo dell’importo deriva da una più efficiente organizzazione aziendale”. D’altro canto, l’art. 108, comma 9, del decreto, prevede che “nell’offerta economica l’operatore indica, a pena di esclusione, i costi della manodopera e gli oneri aziendali per l’adempimento delle disposizioni in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro …”.
    Secondo l’attuale regime normativo, in altri termini, le conclusioni interpretative sopra indicate sono ulteriormente rafforzate, giacché l’onere istruttorio della stazione appaltante per la valutazione del rispetto dei minimi salariali e, più in generale, dei costi della manodopera e dei profili di sicurezza scatta, oltre che nelle ipotesi di anomalia dell’offerta (ai sensi dell’art. 110 del codice), nei casi in cui l’importo offerto dal concorrente (in termini assoluti o di sconto) intacchi i valori indicati dalla stazione appaltante.
    Si consideri inoltre che l’art. 108 del nuovo Codice non reca più la necessità generalizzata di procedere alla verifica d’ufficio dei costi della manodopera, come invece riportato all’art. 95, comma 10 del precedente Codice.
    Ciò significa che nessun onere di esplicita o formale valutazione della congruità dei costi della manodopera e degli oneri della sicurezza può essere imputato alla stazione appaltante, laddove il concorrente abbia formulato una offerta nel pieno rispetto dei valori indicati nel disciplinare di gara, ai sensi dell’art. 41 del D.Lgs. n. 36/2023 e non emergano elementi che possano mettere in dubbio la congruità dei valori offerti.

    Equo compenso e nuovo Codice : prima sentenza TAR – Compenso non ribassabile – Eterointegrazione Legge 49/2023 applicabile – Nessun contrasto con le Direttive comunitarie (art. 8 , art. 108 d.lgs. 36/2023)

    TAR Venezia, 03.04.2024 n. 632

    Più nel dettaglio, ed in estrema sintesi, il ricorrente ha evidenziato come a seguito dell’entrata in vigore della legge n. 49/2023 in materia di “equo compenso”, le tariffe stabilite dal D.M. 17 giugno 2016 non possano più costituire un mero criterio o base di riferimento per le Stazioni Appaltanti ai fini dell’individuazione dell’importo da porre a base di gara dell’affidamento, in quanto dovrebbero essere considerate un parametro vincolante e inderogabile per la determinazione dei corrispettivi negli appalti di servizi di ingegneria e di architettura, con la conseguente impossibilità per gli operatori economici di sottoporre a ribasso la componente “compensi” nell’ambito delle procedure di gara da svolgere con il criterio di aggiudicazione dell’offerta qualitativamente migliore in base al rapporto qualità/prezzo. Ciò in quanto la legge sul c.d. “equo compenso” ha stabilito che al professionista intellettuale, all’esito della gara o dell’affidamento, deve essere riconosciuto un corrispettivo proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, al contenuto e alle caratteristiche della prestazione professionale, presumendo tale equità qualora il corrispettivo venga determinato ai sensi dei decreti ministeriali adottati in base all’art. 9 del d.l. 24 gennaio 2012, n. 1. Al tempo stesso, la legge n. 49/2023 ha previsto la nullità delle clausole che non prevedano un compenso equo e proporzionato all’opera prestata, in quanto inferiore agli importi fissati dai parametri per la liquidazione giudiziale dei compensi dei professionisti iscritti agli ordini, consentendo soltanto al professionista di far valere tale nullità dinnanzi al giudice ordinario.
    In questa logica (che sarebbe supportata anche dalla delibera ANAC n. 343 del 20.7.2023, resa in sede di precontenzioso), la Stazione Appaltante, pur apparentemente applicando tali principi, non li avrebbe utilizzati correttamente, posto che tutti gli operatori economici, incluso l’aggiudicatario, hanno formulato offerte economiche al ribasso, rispetto all’importo a base di gara, che hanno comportato una riduzione del compenso per l’attività di progettazione rispetto a quello “equo” determinato ai sensi del D.M. 17 giugno 2016; al contrario, il ricorrente ha affermato di avere presentato un’offerta economica con un ribasso limitato e tale da salvaguardare l’equo compenso, essendo comunque superiore all’importo determinato per tale voce dalla stessa Amministrazione nella disciplina di gara.
    […]

    La Stazione appaltante, inoltre, ha evidenziato il possibile contrasto tra la legge n. 49/2023, come interpretata dal Raggruppamento ricorrente, e gli artt. 49, 56, 101 TFUE, nonché con quanto previsto dalla Direttiva 2006/123/CE e dagli artt. 3, 41, 81, 117 Cost. e ha sollecitato il Collegio a formulare il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia o a sollevare la questione di legittimità costituzionale innanzi alla Corte Costituzionale, qualora intenda accogliere la ricostruzione normativa formulata dal ricorrente.
    […]

    2. Nel merito.
    Il Collegio ritiene di doversi, in primo luogo, soffermare sull’esame della legge n. 49/2023, per quanto in questa sede di interesse.
    Come è noto, con l’approvazione della legge 21 aprile 2023, n. 49, pubblicata sulla G.U. 5 maggio 2023, n. 104 (ed entrata in vigore in data 20 maggio 2023), il legislatore ha riscritto le regole in materia di compenso equo per le prestazioni professionali con l’intento di incrementare le tutele per quest’ultime, garantendo la percezione, da parte dei professionisti, di un corrispettivo equo per la prestazione intellettuale eseguita anche nell’ambito di quei rapporti d’opera professionale in cui essi si trovino nella posizione di “contraenti deboli”.
    Più nel dettaglio, la novella normativa, che trova applicazione in favore di tutti i professionisti, a prescindere dalla loro iscrizione ad un ordine o collegio, ha previsto (art. 1) che per compenso equo deve intendersi la corresponsione di un compenso proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, al contenuto e alle caratteristiche della prestazione professionale, nonché conforme ai compensi previsti rispettivamente:
    a) per gli avvocati, dal decreto del Ministro della giustizia emanato ai sensi dell’articolo 13, comma 6, della legge 31 dicembre 2012, n. 247;
    b) per i professionisti iscritti agli ordini e collegi, dai decreti ministeriali adottati ai sensi dell’articolo 9 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27;
    c) per i professionisti di cui al comma 2 dell’articolo 1 della legge 14 gennaio 2013, n. 4, dal decreto del Ministro delle imprese e del made in Italy.
    Il successivo articolo 2, inoltre, ha specificato che la legge in esame trova applicazione ai rapporti professionali fondati sulla prestazione d’opera intellettuale ex art. 2230 c.c., regolamentati da convenzioni aventi ad oggetto lo svolgimento, anche in forma associata o societaria, delle attività professionali prestate a favore di imprese bancarie e assicurative, delle loro società controllate e delle loro mandatarie, imprese che, nell’anno precedente al conferimento dell’incarico, hanno occupato alle proprie dipendenze più di 50 lavoratori ovvero hanno presentato ricavi annui superiori a 10 milioni di euro e, infine, per le prestazioni rese in favore della Pubblica Amministrazione.
    Il legislatore ha quindi stabilito la nullità delle clausole che non prevedono un compenso equo e proporzionato all’opera prestata, come determinato dall’art. 2, introducendo una nullità relativa o di protezione che consente al professionista di impugnare la convenzione, il contratto, l’esito della gara, l’affidamento, la predisposizione di un elenco di fiduciari o comunque qualsiasi accordo che prevede un compenso iniquo innanzi al Tribunale territorialmente competente in base al luogo in cui ha la residenza per far valere la nullità della pattuizione, chiedendo la rideterminazione giudiziale del compenso per l’attività professionale prestata con l’applicazione dei parametri previsti dai decreti ministeriali relativi alla specifica attività svolta dal professionista.
    Lo scopo della normativa in esame, come visto, è quello di tutelare i professionisti nell’ambito dei rapporti d’opera professionale in cui essi si trovino nella posizione di “contraenti deboli” ed emerge ulteriormente dalla previsione per la quale gli stessi ordini e i collegi professionali sono chiamati ad adottare disposizioni deontologiche volte a sanzionare il professionista che violi le disposizioni sull’equo compenso.

    Compenso non ribassabile.

    2.1. Ebbene, è opinione di questo Collegio che non vi sia alcuna antinomia in concreto tra la legge n. 49/2023 e la disciplina del codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs. n. 50/2016 (applicabile, ratione temporis, alla fattispecie in oggetto).
    La tesi dell’antinomia è stata prospettata, con maggior precisione, dall’Amministrazione resistente, la quale ha osservato che l’art. 95, d.lgs. 50/2016 (così come oggi l’art. 108, c. 1 d.lgs. 36/2023) ha previsto tre diversi criteri di aggiudicazione: 1) affidamento “sulla base del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, individuata sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo”; 2) affidamento sulla base “dell’elemento prezzo”; 3) affidamento sulla base “del costo, seguendo un criterio di comparazione costo/efficacia quale il costo del ciclo di vita”, con competizione limitata ai profili qualitativi.
    Secondo la Stazione appaltante, quindi, poiché il criterio di aggiudicazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa è fondato “sul miglior rapporto qualità/prezzo”, a seguito dell’entrata in vigore della legge su c.d. “equo compenso”, le gare per servizi di architettura o di ingegneria dovrebbero essere strutturate e aggiudicate sulla base di un “prezzo fisso” non ribassabile, individuato dalla stessa P.a. come corrispettivo posto a base di gara, con competizione limitata alla sola componente tecnica dell’offerta e con una evidente compromissione della libera contrattazione, del confronto competitivo tra operatori economici e dei principi comunitari in materia di libertà di circolazione, di stabilimento e di prestazione di servizi.
    Nel medesimo solco interpretativo, come segnalato dalla Stazione appaltante e dal Raggruppamento aggiudicatario, si è parzialmente collocata anche l’Anac che, oltre a sollecitare un intervento chiarificato del legislatore, ha evidenziato dei dubbi circa l’applicabilità della legge sull’equo compenso alla materia dei contratti pubblici.
    Il Collegio ritiene la tesi in esame non condivisibile.
    Si deve ricordare, in via generale, che un’antinomia può configurarsi “in concreto” allorché – in sede di applicazione – due norme connettono conseguenze giuridiche incompatibili ad una medesima fattispecie concreta. Ciò accade ogniqualvolta quest’ultima sia contemporaneamente sussumibile in due ipotesi normative diverse, l’applicazione delle quali, comporti, in conformità a quanto previsto dall’ordinamento giuridico, conseguenze giuridiche incompatibili tra loro.
    In tale ipotesi, l’interprete è chiamato ad effettuare una interpretazione letterale, teleologica e adeguatrice delle norme in apparente contrasto, al fine di determinarne il significato che è loro proprio, coordinandole anche in un più ampio sistema di norme, rappresentato dall’ordinamento giuridico.
    Nell’ipotesi in esame, l’interpretazione letterale e teleologica della legge n. 49/2023 depone in maniera inequivoca per la sua applicabilità alla materia dei contratti pubblici.
    Come già esposto, infatti, il legislatore, al dichiarato intento di tutelare i professionisti intellettuali nei rapporti contrattuali con “contraenti forti” ha espressamente previsto l’applicazione della legge anche nei confronti della Pubblica Amministrazione e ha riconosciuto la legittimazione del professionista all’impugnazione del contratto, dell’esito della gara, dell’affidamento qualora sia stato determinato un corrispettivo qualificabile come iniquo ai sensi della stessa legge.
    Non a caso, l’art. 8, d.lgs. n. 36/2023, oggi prevede che le Pubbliche Amministrazioni, salvo che in ipotesi eccezionali di prestazioni rese gratuitamente, devono garantire comunque l’applicazione del principio dell’equo compenso nei confronti dei prestatori d’opera intellettuale.
    Sul piano letterale e teleologico, pertanto, gli elementi sopra evidenziati depongono in maniera chiara per l’applicabilità delle previsioni della legge n. 49/2023 anche alla disciplina contenuta nel d.lgs. n. 50 del 2016; diversamente opinando, l’intervento normativo in questione risulterebbe privo di reale efficacia sul mercato delle prestazioni d’opera intellettuale qualora il legislatore avesse inteso escludere i rapporti contrattuali tra i professionisti e la Pubblica Amministrazione che, nel mercato del lavoro attuale, rappresentano una percentuale preponderante del totale dei rapporti contrattuali conclusi per la prestazione di tale tipologia (si ricorda, a titolo esemplificativo, che con riferimento al 2021 l’Anac, in un periodo ancora condizionato dall’emergenza pandemica, ha stimato in circa 70 miliardi di euro il valore totale degli appalti di servizi aggiudicati dalle Pubbliche Amministrazioni).
    Il Collegio ritiene, poi, che sia comunque applicabile, anche successivamente all’entrata in vigore della legge n. 49/2023, il criterio di aggiudicazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa, in ragione del rapporto qualità/prezzo.
    Infatti, mediante l’interpretazione coordinata delle norme in materia di equo compenso e del codice dei contratti pubblici (nel caso in esame, del d.lgs. n. 50/2016, ma il ragionamento è analogo anche con riguardo al d.lgs. n. 36/2023) si può affermare che il compenso del professionista sia soltanto una delle componenti del “prezzo” determinato dall’Amministrazione come importo a base di gara, al quale si affiancano altre voci, relative in particolare alle “spese ed oneri accessori”.
    L’Amministrazione è chiamata a quantificare tali voci in applicazione del D.M. 17 giugno 2016 per individuare l’importo complessivo da porre a base di gara; al tempo stesso, la voce “compenso”, individuata con tale modalità come una delle voci che costituiscono il prezzo, è da qualificare anche come compenso equo ai sensi della legge n. 49/2023, che sotto tale aspetto stabilisce che è equo il compenso dell’ingegnere o architetto determinato con l’applicazione dei decreti ministeriali adottati ai sensi dell’art. 9, d.l. 24 gennaio 2012, n. 1.
    A tale conclusione si perviene in ragione del fatto che le due tipologie di decreti ministeriali (ossia il D.M. 17 giugno 2016 e il DM 140/2012 adottato ai sensi dell’articolo 9 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1) sono costruiti con l’applicazione degli stessi parametri e la valorizzazione delle medesime voci; lo stesso art. 9, d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, inoltre, disciplina unitariamente sia la determinazione dei compensi liquidabili giudizialmente al professionista, sia la determinazione degli importi da porre a base di gara da parte delle Amministrazioni (art. 9.2.“ Ferma restando l’abrogazione di cui al comma 1, nel caso di liquidazione da parte di un organo giurisdizionale, il compenso del professionista è determinato con riferimento a parametri stabiliti con decreto del Ministro vigilante, da adottare nel termine di centoventi giorni successivi alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. Entro lo stesso termine, con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sono anche stabiliti i parametri per oneri e contribuzioni alle casse professionali e agli archivi precedentemente basati sulle tariffe. Il decreto deve salvaguardare l’equilibrio finanziario, anche di lungo periodo, delle casse previdenziali professionali. Ai fini della determinazione dei corrispettivi da porre a base di gara nelle procedure di affidamento di contratti pubblici dei servizi relativi all’architettura e all’ingegneria di cui alla parte II, titolo I, capo IV del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, si applicano i parametri individuati con il decreto di cui al primo periodo, da emanarsi, per gli aspetti relativi alle disposizioni di cui al presente periodo, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti; con il medesimo decreto sono altresì definite le classificazioni delle prestazioni professionali relative ai predetti servizi. I parametri individuati non possono condurre alla determinazione di un importo a base di gara superiore a quello derivante dall’applicazione delle tariffe professionali vigenti prima dell’entrata in vigore del presente decreto.”).
    Ne deriva che il compenso determinato dall’Amministrazione ai sensi del D.M. 17 giugno 2016 deve ritenersi non ribassabile dall’operatore economico, trattandosi di “equo compenso” il cui ribasso si risolverebbe, essenzialmente, in una proposta contrattuale volta alla conclusione di un contratto pubblico gravato da una nullità di protezione e contrastante con una norma imperativa.
    Nondimeno, trattandosi di una delle plurime componenti del complessivo “prezzo” quantificato dall’Amministrazione, l’operatività del criterio di aggiudicazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa, in ragione del rapporto qualità/prezzo, è fatta salva in ragione della libertà, per l’operatore economico, di formulare la propria offerta economica ribassando le voci estranee al compenso, ossia le spese e gli oneri accessori.
    Siffatta conclusione, oltre ad assicurare la coerente e coordinata applicazione dei due testi normativi, consente di escludere che la legge n. 49/2023 produca di per sé effetti anti concorrenziali o in contrasto con la disciplina dell’Unione Europea (profilo che sarà esaminato più ampiamente nel prosieguo dell’esposizione). Si osserva, infatti, che escludere la proposizione di offerte economiche al ribasso sulla componente del prezzo rappresentata dai “compensi” non è un ostacolo alla concorrenza o alla libertà di circolazione e di stabilimento degli operatori economici, ma al contrario rappresenta una tutela per questi ultimi, a prescindere dalla loro nazionalità, in quanto permetterà loro di conseguire un corrispettivo equo e proporzionato anche da un contraente forte quale è la Pubblica Amministrazione e anche in misura superiore a quella che sarebbero stati disposti ad accettare per conseguire l’appalto; inoltre, l’operatore economico che, in virtù della sua organizzazione d’impresa, dovesse ritenere di poter ribassare componenti accessori del prezzo (ad esempio le spese generali) potrà avvantaggiarsi di tale capacità nell’ambito del confronto competitivo con gli altri partecipanti alla gara, fermo restando il dovere dell’Amministrazione di sottoporre a controllo di anomalia quelle offerte non serie o che, per la consistenza del ribasso offerto su componenti accessorie del prezzo, potranno apparire in buona sostanza abusive, ossia volte ad ottenere un vantaggio indebito traslando su voci accessorie il ribasso economico che, in mancanza della legge n. 49/2023, sarebbe stato offerto sui compensi.

    Eterointegrazione Legge 49/2023 applicabile.

    3. Da quanto finora esposto, deriva che la legge n. 49/2023 deve essere applicata anche alla procedura di gara oggetto del presente giudizio.
    Al riguardo, deve essere evidenziato come la Stazione appaltante abbia espressamente richiamato la legge n. 49/2023 nell’ambito del controllo sull’anomalia dell’offerta del Raggruppamento aggiudicatario: tale richiamo non può essere derubricato ad un mero “aver tenuto conto”, come affermato dalla Stazione appaltante, posto che l’Amministrazione non è chiamata a tenere conto discrezionalmente di una legge in vigore, ma a darvi rigorosa applicazione.
    Ma ciò che è dirimente osservare è che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Stazione appaltante e dal Raggruppamento aggiudicatario, la disciplina di gara deve ritenersi essere stata eterointegrata dalla legge n. 49/2023.
    Tale istituto, come è noto, “ha come necessario presupposto la sussistenza di una lacuna nella legge di gara e, solo nel caso in cui la stazione appaltante ometta di inserire nella disciplina di gara elementi previsti come obbligatori dall’ordinamento giuridico, soccorre il meccanismo di integrazione automatica in base alla normativa in materia, analogamente a quanto avviene nel diritto civile ai sensi degli artt. 1374 e 1339 c.c., colmandosi in via suppletiva le eventuali lacune del provvedimento adottato dalla Pubblica amministrazione; l’invocato meccanismo sostitutivo/integrativo riesce quindi ad operare solo in presenza di norme imperative e cogenti” (si v. ex multis, Consiglio di Stato sez. III, 24/10/2017, n.4903).
    Nel caso in esame, il bando di gara non ha previsto, espressamente, l’applicazione della legge sul c.d. “equo compenso” e non ha precluso la formulazione di offerte economiche al ribasso sulla componente “compenso” del prezzo stabilito; tale lacuna, con riferimento ad un profilo sottratto alla libera disponibilità della Stazione appaltante, deve ritenersi integrata dalle norme imperative previste dalla legge n. 49/2023 che, come visto, ha stabilito la nullità delle clausole che non prevedono un compenso equo e proporzionato all’opera prestata.
    Il fatto che il combinato disposto degli artt. 1, 2 e 3, l. n. 49 del 2023 integrino un’ipotesi di norma imperativa, non può, ad avviso del Collegio essere messo in dubbio.
    Premesso che la già ricordata previsione testuale della nullità rappresenta, quantomeno, un indizio “forte”, al riguardo, occorre ricordare come, secondo l’orientamento giurisprudenziale consolidato, ‹‹il focus dell’indagine sulla imperatività della norma violata si appunta ora sulla natura dell’interesse leso che si individua nei preminenti interessi generali della collettività›› (Cass. civ., Sez. Un., 15 marzo 2022 n. 8472).
    Nel caso di specie, l’imperatività della normativa in esame è associata non solo, come detto, alla previsione testuale della nullità, ma anche al fatto che lo scopo del provvedimento è quello di assicurare al professionista un compenso proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, al contenuto e alle caratteristiche della prestazione professionale, sia in sostanziale attuazione dell’art. 36 Cost., sia per rafforzare la tutela dei professionisti nel rapporto contrattuale con specifiche imprese, che per natura, dimensioni o fatturato, sono ritenute contraenti forti, ovvero, per quanto in questa sede di interesse, con la P.a..
    A tale riguardo, con particolare riguardo alle procedure di evidenza pubblica, è chiaro come non possono non venire in preminente rilievo anche i principi di imparzialità e buon andamento della P.a.: sarebbe irragionevolmente discriminatorio se i limiti imposti dalla normativa in esame non fossero rispettati, in modo particolarmente cogente, proprio dalla P.a. nell’ambito delle gare, laddove vengono in gioco anche interessi generali ulteriori correlati alla tutela della concorrenza e della par condicio dei concorrenti in gara.
    In questo senso, con specifico riguardo alla rilevanza della disciplina sull’equo compenso nell’ambito delle procedure di gara, in combinato disposto con le previsioni contenute nel d.lgs. n. 50 del 2016, il Collegio ritiene che la natura relativa o di “protezione” della nullità in questione, così come emergente dall’art. 3, comma 4, l. n. 49 del 2023 (laddove prevede che ‹‹la nullità delle singole clausole non comporta la nullità del contratto, che rimane valido ed efficace per il resto. La nullità opera solo a vantaggio del professionista ed è rilevabile d’ufficio››) non possa comportare l’irrilevanza della violazione dei compensi minimi in sede di gara.
    Infatti, la norma in questione è di portata generale, ed è chiaramente pensata, in particolare, in funzione della già avvenuta stipula del contratto con il professionista, nell’ambito, quindi, del rapporto contrattuale con lo stesso instaurato.
    D’altronde, pur non contenendo la normativa in esame una previsione puntuale in ordine alle conseguenze derivanti dalla violazione in esame nell’ambito delle procedure ad evidenza pubblica, è evidente che, in considerazione delle finalità di carattere generale sopra evidenziate, e, in particolare, al fine di garantire il puntuale rispetto del principio di imparzialità e buon andamento dell’attività della P.a., nonché dei principi anche eurounitari alla base delle procedure ad evidenza pubblica medesime, non può ammettersi un’aggiudicazione in palese violazione di una norma imperativa, ancorché nell’ambito del rapporto contrattuale “ a valle” la nullità del contratto possa essere dedotta solo dal professionista.
    Diversamente, infatti, si rischierebbe, proprio nell’ambito delle procedure ad evidenza pubblica, una pericolosa eterogenesi dei fini: il professionista concorrente potrebbe essere “tentato” di abusare della nullità di protezione in questione, volutamente presentando un’offerta “inferiore” ai minimi, per così ottenere l’aggiudicazione e, una volta stipulato il contratto far valere la nullità parziale al fine di attivare il “meccanismo” di cui al comma 6 dell’art. 3, ai sensi del quale ‹il tribunale procede alla rideterminazione secondo i parametri previsti dai decreti ministeriali di cui al comma 1 relativi alle attività svolte dal professionista, tenendo conto dell’opera effettivamente prestata e chiedendo, se necessario, al professionista di acquisire dall’ordine o dal collegio a cui è iscritto il parere sulla congruità del compenso o degli onorari, che costituisce elemento di prova sulle caratteristiche, sull’urgenza e sul pregio dell’attività prestata, sull’importanza, sulla natura, sulla difficoltà e sul valore dell’affare, sulle condizioni soggettive del cliente, sui risultati conseguiti, sul numero e sulla complessità delle questioni giuridiche e di fatto trattate. In tale procedimento il giudice puo’ avvalersi della consulenza tecnica, ove sia indispensabile ai fini del giudizio›.
    È evidente d’altronde, che ciò porterebbe ad un aggiramento del principio di tendenziale immutabilità dell’offerta anche in sede di esecuzione del contratto pubblico.
    In questo senso, allora, la nullità relativa o di protezione si può ritenere giustificata proprio in relazione ai casi in cui il professionista è sostanzialmente “tenuto” a “subire” la previsione contraria all’equo compenso, e ciò anche eventualmente quando ad imporre la riduzione al di sotto dei minimi sia la P.a..
    Diversamente, nell’ambito di gare, come quella in esame, dove la violazione della normativa sull’equo compenso non è imposta dalla P.a., ma dipende da una volontaria scelta dell’operatore economico al fine di ottenere l’aggiudicazione superando gli altri concorrenti, la natura “relativa” della nullità non può rivestire alcun rilievo, l’imperatività della normativa medesima imponendo, al contrario, un effetto escludente delle offerte con la stessa in contrasto.
    Né possono deporre in senso contrario i principi di certezza del diritto o di legittimo affidamento, come valorizzato in un caso analogo dalla delibera Anac n. 101/2024. Su tale aspetto, il Collegio si limita ad osservare, trattandosi di delibera che è stata oggetto di ampia discussione orale tra le parti, che sono proprio i principi da ultimo indicati a determinare la necessaria integrazione della disciplina di gara nel caso concreto, posto che la legge n. 49/2023 ha stabilito delle norme di carattere imperativo in merito a profili che sono estranei alla libera determinazione delle Amministrazioni aggiudicatrici. Ne deriva che soltanto tramite il meccanismo di integrazione finora descritto può essere tutelato l’affidamento degli operatori economici sul legittimo esercizio dell’azione amministrativa nel caso concreto.

    Nessun contrasto con le Direttive Comunitarie.

    4. Le conclusioni a cui si è pervenuti rendono necessario scrutinare le questioni pregiudiziali poste dalla Stazione appaltante in ordine al possibile contrasto tra la legge n. 49/2023, come interpretata da questo Collegio, e gli artt. 49, 56, 101 TFUE, nonché con quanto previsto dalla Direttiva 2006/123/CE e dagli artt. 3, 41, 81, 117 Cost.
    4.1. Più nel dettaglio, la Stazione appaltante ha osservato come l’esclusione della formulazione di ribassi sui compensi si tradurrebbe nell’imposizione da parte del legislatore di tariffe obbligatorie prive di flessibilità, idonee ad ostacolare la libertà di stabilimento, di prestazione di servizi e la libera concorrenza nel mercato europeo. Allo stesso modo, si avrebbe, a giudizio della Stazione appaltante, un evidente contrasto con i principi costituzionali di ragionevolezza, di proporzionalità e un incremento della spesa pubblica senza che la stessa legge n. 49/2023 abbia previsto le risorse con cui farvi fronte. Ciò in quanto per i contratti a cui tale legge risulterà applicabile, l’Amministrazione committente potrebbe essere condannata dal Tribunale ordinario al pagamento dei compensi per l’attività professionale svolta dall’operatore economico che abbia deciso di impugnare, entro il termine prescrizionale di dieci anni successivi alla conclusione del rapporto negoziale, il contratto, l’esito della gara o l’affidamento per far valere l’iniquità del compenso conseguito.
    4.2. Il Collegio ritiene che entrambe le questioni pregiudiziali siano manifestamente infondate.
    Quanto all’ipotizzata restrizione della libertà di stabilimento e di prestazione di servizi, si deve ricordare come dalla giurisprudenza costante della CGUE emerga che la restrizione sia configurabile a fronte di misure che vietino, ostacolino o scoraggino l’esercizio di tali libertà (v., ex multis, sentenze 15 gennaio 2002, causa C-439/99, Commissione/Italia; 5 ottobre 2004, causa C-442/02, CaixaBank France). Ciò si può configurare a fronte di misure che, per quanto indistintamente applicabili, pregiudichino l’accesso al mercato per gli operatori economici di altri Stati membri.
    Più nel dettaglio, affrontando la tematica delle disposizioni italiane che hanno imposto agli avvocati l’obbligo di rispettare tariffe massime, la Corte di Giustizia ha affermato che “una normativa di uno Stato membro non costituisce una restrizione ai sensi del Trattato CE per il solo fatto che altri Stati membri applichino regole meno severe o economicamente più vantaggiose ai prestatori di servizi simili stabiliti sul loro territorio (v. sentenza 28 aprile 2009, Commissione/ Italia, cit., punto 63 e giurisprudenza ivi citata).
    L’esistenza di una restrizione ai sensi del Trattato non può dunque essere desunta dalla mera circostanza che gli avvocati stabiliti in Stati membri diversi dalla Repubblica italiana devono, per il calcolo dei loro onorari per prestazioni fornite in Italia, abituarsi alle norme applicabili in tale Stato membro.
    Per contro, una restrizione del genere esiste, segnatamente, se detti avvocati sono privati della possibilità di penetrare nel mercato dello Stato membro ospitante in condizioni di concorrenza normali ed efficaci” (si v. sentenza C-565/08, Commissione/Italia).
    Ebbene, nel caso in esame, il Collegio ritiene che la normativa nazionale non sia in grado di pregiudicare l’accesso, in condizioni di concorrenza normali ed efficaci, al mercato italiano da parte di operatori economici di altri Stati dell’Unione Europea.
    In primo luogo, si osserva che l’impostazione seguita dalla legge n. 49/2023 deriva dal dichiarato intento del legislatore italiano di preservare il professionista intellettuale nell’ambito dei rapporti con “contraenti forti”, inclusa la Pubblica Amministrazione.
    Infatti, in ragione delle peculiarità del mercato e dei servizi in esame, tali rapporti contrattuali potrebbero concretizzarsi nell’offerta di prestazioni al ribasso, e, attraverso una selezione avversa, persino nell’eliminazione degli operatori che offrono prestazioni di qualità. Nel perseguimento di tale interesse di portata generale (già ritenuto dalla Corte di Giustizia UE idoneo a giustificare la previsione di “tariffe” minime, si v. sentenza C-377/17 Commissione c. Repubblica federale di Germania e Ungheria) la previsione dell’inderogabilità al ribasso della voce “compensi”, oltre a trovare applicazione omogenea nei confronti di ogni operatore economico, non appare in grado di ostacolare la partecipazione alle gare pubbliche.
    Infatti, tale previsione si risolve nel riconoscimento, in favore dell’aggiudicatario, di un compenso equo, proporzionato alla prestazione intellettuale eseguita, e ipoteticamente anche in misura superiore a quello che avrebbe accettato qualora fosse stato ammissibile un ribasso sul proprio compenso.
    Si tratta, pertanto, di un rafforzamento delle tutele e dell’interesse alla partecipazione alle gare pubbliche, rispetto alle quali l’operatore economico, sia esso grande o piccolo, italiano o di provenienza UE, è consapevole del fatto che la competizione si sposterà eventualmente su profili accessori del corrispettivo globalmente inteso (ad esempio, come visto, sulle spese generali) e, ancor di più, sul profilo qualitativo e tecnico dell’offerta formulata. Ciò è idoneo a produrre, a giudizio del Collegio, anche effetti pro-concorrenziali in favore del piccolo operatore economico, che sarà incentivato a partecipare alle pubbliche gare nella consapevolezza che non si troverà più a competere sulla voce “compensi” con gli operatori di grandi dimensioni, che per loro stessa natura possono essere maggiormente in grado di formulare ribassi su tale voce, mantenendo comunque un margine di utile rilevante.
    Pertanto, il meccanismo derivante dall’applicazione della legge n. 49/2023 è tale da garantire sia dei margini di flessibilità e di competizione anche sotto il profilo economico, sia la valorizzazione del profilo qualitativo e del risultato, in piena coerenza con il dettato normativo nazionale e dell’Unione Europea. In particolare, si ricorda che, sin dalle direttive del 2014, il legislatore dell’UE ha voluto superare il criterio del minor prezzo quale strumento predominante di aggiudicazione delle pubbliche gare, favorendo il ricorso al criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, che consente alla Stazione appaltante di strutturare l’aggiudicazione valorizzando la qualità dell’offerta tecnica, ma anche considerazioni ambientali, aspetti sociali o innovativi, pur tenendo conto del prezzo e dei costi.
    Non si può pervenire ad un esito interpretativo difforme neanche alla luce della recente pronuncia della Corte di Giustizia (Causa C-438/22, sentenza del 25.1.2024) con cui è stato affermato che “L’articolo 101, paragrafo 1, TFUE , in combinato disposto con l’articolo 4, paragrafo 3, TUE, dev’essere interpretato nel senso che, nell’ipotesi in cui un giudice nazionale constati che un regolamento che fissa gli importi minimi degli onorari degli avvocati, reso obbligatorio da una normativa nazionale, è contrario a detto articolo 101, paragrafo 1, esso è tenuto a rifiutare di applicare tale normativa nazionale nei confronti della parte condannata a pagare le spese corrispondenti agli onorari d’avvocato, anche qualora tale parte non abbia sottoscritto alcun contratto di servizi d’avvocato e di onorari d’avvocato”. In tale fattispecie, infatti, gli importi minimi degli onorari degli avvocati, pur essendo stati recepiti dal legislatore nazionale, erano stati determinati dalla stessa associazione di categoria nel perseguimento di un proprio interesse specifico e settoriale, con una finalità, quindi, del tutto diversa dall’obiettivo perseguito dal legislatore italiano attraverso la novella in esame che, imponendo di preservare l’equo compenso di tutti i professionisti intellettuali nei rapporti con la P.a., nell’ambito delle procedure di gare, ove, evita l’offerta di prestazioni al ribasso e la possibile eliminazione, dalle pubbliche gare, degli operatori che offrono prestazioni maggiormente qualitative.
    Tale interesse generale, peraltro, è stato perseguito mediante un intervento normativo proporzionato e ragionevole, in cui comunque si è lasciata la possibilità all’operatore economico di differenziarsi anche sotto il profilo economico a condizione di salvaguardare l’equo compenso.
    In questa prospettiva, non si ravvisa alcun contrasto con l’art. 3 Cost. per come enunciato dalla Stazione appaltante. Né, tantomeno, appare fondata la questione di illegittimità costituzionale proposta in quanto dall’applicazione della legge n. 49/2023 deriverebbero maggiori oneri per la finanza pubblica, senza una adeguata previsione normativa.
    Al riguardo, fermo restando che non sono stati forniti elementi precisi a sostegno della contestazione in esame, va, per contro, osservato un maggior onere per le finanze pubbliche potrebbe derivare non tanto dall’applicazione in sede di gara dalle previsioni della l. n. 49 del 2023 sul c.d. equo compenso, quanto dalla stipulazione di contratti nulli da parte delle Stazioni appaltanti, che abbiano operato in contrasto con la norma imperativa: d’altronde, non può ragionevolmente affermarsi che sia quest’ultima norma a dover stanziare le risorse economiche per far fronte alle possibili e indeterminate (sotto il profilo dell’an e del quantum) violazioni del suo contenuto.
    Ne deriva, pertanto, che deve essere affermata la piena compatibilità tra la legge n. 49/2023, da applicare come finora esposto alla fattispecie sottoposta a questo Collegio, e gli artt. 49, 56, 101 TFUE e gli artt. 3, 41, 81, 117 Cost.

    Obbligo di verifica costo della manodopera rispetto ai minimi salariali, indipendentemente da verifica di anomalia, anche nel nuovo Codice contratti pubblici (art. 108 , art. 110 d.lgs. n. 36/2023)

    TAR Napoli, 07.11.2023 n. 6128

    Occorre rammentare che, in forza del combinato disposto degli artt. 108 comma 9 e 110 comma 5 lett. d) del d.lgs. n. 36/2023, al pari di quanto stabilivano gli artt. 95, comma 10, e 97, comma 5, lett. d) del d.lgs. n. 50/2016, prima dell’aggiudicazione le stazioni appaltanti devono verificare che il costo del personale non sia inferiore ai minimi salariali retributivi.
    Tale accertamento (che non dà luogo a un sub-procedimento di verifica di anomalia dell’intera offerta, ma mira esclusivamente a controllare il rispetto del salario minimo: cfr. T.A.R. Lazio, Roma, sez. III, 11 novembre 2022, n. 14776) è sempre obbligatorio, anche nei casi, quale quello in esame, di gara al massimo ribasso. Diversamente, infatti, potrebbe essere compromesso il diritto dei lavoratori alla retribuzione minima, tutelato dall’art. 36 Cost. (in argomento cfr., ex multis, T.A.R. Campania, Salerno, sez. II, 21 dicembre 2020, n. 1994; T.A.R. Lombardia, Milano, sez. II, 1° giugno 2020, n. 978; T.A.R. Puglia, Lecce, sez. III, 16 marzo 2020, n. 329; T.A.R. Sicilia, Catania, sez. I, 26 marzo 2018, n. 608).
    In altri termini, la Stazione appaltante ha l’obbligo di procedere, prima dell’aggiudicazione, sempre e comunque, a prescindere dalla valutazione di anomalia dell’offerta, alla verifica della congruità del costo della manodopera rispetto ai minimi salariali retributivi. In altre parole, si tratta di una autonoma condicio causam dans del provvedimento di aggiudicazione, come indefettibilmente condizionato all’esito positivo di tale attività di certazione.
    Inoltre, al fine di consentire alla stazione appaltante tale doverosa attività di controllo, occorre distinguere i “costi indiretti della commessa”, ovverosia i costi relativi al personale di supporto all’esecuzione dell’appalto o adibito a servizi esterni, dai “costi diretti della commessa”, comprensivi di tutti i dipendenti impiegati per l’esecuzione della specifica commessa. L’obbligatoria indicazione dei costi della manodopera in offerta – e la correlativa verifica della loro congruità imposta alla Stazione appaltante – si impone solo per i dipendenti impiegati stabilmente nella commessa, in quanto voce di costo che può essere variamente articolata nella formulazione dell’offerta per la specifica commessa; non è così, invece, per le figure professionali impiegate in via indiretta, che operano solo occasionalmente, ovvero in modo trasversale a vari contratti, il cui costo non si presta ad essere rimodulato in relazione all’offerta da presentare per il singolo appalto (T.A.R. Lazio, Roma, sez. III, 12/07/2021, n.8261).