TAR Firenze, 16.12.2019 n. 1706
La controinteressata non poteva legittimamente avvalersi, ai fini del possesso del suddetto requisito, del contratto di affitto di ramo di azienda (…), in quanto, (…) esso ha una durata che, pur essendo superiore ai tre anni minimi previsti dall’art. 76, comma 9, del d.p.r. n. 207/2010, è inferiore ai 6 anni di durata dell’appalto aggiudicato.
Orbene, secondo un indirizzo giurisprudenziale (non consolidato) che il Collegio ritiene di condividere “Nel caso in cui il contratto che disciplina l’affitto della azienda o di un ramo di essa, posto in essere al fine di acquisire alcuni requisiti altrimenti non posseduti dal concorrente, rechi una clausola sulla durata del contratto inferiore alla durata del contratto di appalto da eseguire, la stazione appaltante dispone legittimamente l’esclusione dell’operatore economico dalla procedura di gara, poiché la stazione appaltante non può fare affidamento sulla sussistenza dei requisiti di partecipazione per tutta la durata della procedura di gara, e precisamente dalla scadenza del termine della domanda di partecipazione alla procedura e fino all’aggiudicazione, nonché, in seguito, per l’intera fase di esecuzione del contratto di appalto, potendo intervenire una soluzione di continuità nel possesso dei requisiti con conseguente impossibilità di procedere all’aggiudicazione ovvero all’esecuzione del contratto di appalto” (Consiglio di Stato, sez. V, 04.02.2019, n. 827).
Invero, la durata del contratto di affitto pari o superiore all’intera fase di esecuzione dell’appalto costituisce garanzia del fatto che il possesso dei requisiti, vantato in virtù di detto contratto, è effettivamente adeguato all’appalto aggiudicato, ovvero fa sì che i requisiti prefissati dalla stazione appaltante in sede di gara non vengano vanificati con la cessazione del titolo su cui poggiava la continuità nel tempo dei requisiti medesimi. La circostanza che, già in sede di presentazione dell’offerta, il concorrente faccia leva su un contratto di affitto non idoneo a garantire la persistenza del requisito di capacità tecnica per l’intera durata dell’appalto introduce una situazione diversa rispetto al concorrente che possiede in proprio (e quindi a tempo indeterminato) il requisito stesso, talché diverse sono le conseguenze nei due casi (nel primo è doverosa l’estromissione dalla gara, nel secondo l’ammissione). Non osta a tale conclusione l’art. 76, comma 9, del d.p.r. n. 207/2010, laddove sancisce la regola della durata minima di 3 anni del contratto di affitto (durata minima rispettata nella fattispecie in esame), trattandosi di regola valevole e logicamente concepibile solo per i requisiti riferiti ad appalti la cui durata non ecceda i 3 anni.[rif. art. 83 d.lgs. n. 50/2016]
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Cessione o affitto di ramo d’azienda – Regolarità contributiva – Regolarizzazione postuma (art. 80 d.lgs. n. 50/2016)
La cessione o (a fortiori) l’affitto di ramo d’azienda comporta, in concreto, il “passaggio all’avente causa dell’intero complesso dei rapporti attivi e passivi nei quali l’azienda stessa o il suo ramo si sostanzia” (cfr. T.A.R. Lazio, sez. III, 4 febbraio 2016, n. 1676, il quale richiama a sua volta le conclusioni di cui all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 10 del 4 maggio 2012). E ciò tanto più nell’ipotesi in cui si ravvisi una sostanziale continuità tra i due soggetti imprenditoriali. Circostanza questa adeguatamente affrontata nel provvedimento impugnato e nel presupposto parere ANAC (in particolare laddove si afferma che “la gestione delle due società risulta riconducibile ai medesimi individui”) e mai messa in discussione dalla difesa di parte ricorrente. Del resto, “la responsabilità per fatto di soggetto giuridico terzo a cui soggiace il cessionario trova risposta nel principio ubi commoda, ibi incommoda: il cessionario, come si avvale dei requisiti del cedente sul piano della partecipazione a gare pubbliche, così risente delle conseguenze, sullo stesso piano, delle eventuali responsabilità del cedente” (cfr. sempre T.A.R. Lazio, sez. III, 4 febbraio 2016, n. 1676, il quale richiama anche in tale frangente le conclusioni di cui all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 10 del 4 maggio 2012), dunque anche sotto il profilo delle eventuali irregolarità di matrice contributiva (art. 80 d.lgs. n. 50/2016).
In siffatta direzione, “la continuità imprenditoriale tra l’affittuario e l’affittante risulta insita in re ipsa nello stesso trasferimento della disponibilità economica di una parte dell’azienda ad altra impresa, giuridicamente qualificabile come affitto, ad eccezione della sola ipotesi in cui il soggetto interessato (cessionario) abbia fornito la prova di una completa cesura tra le gestioni” (cfr. Cons. Stato, sez. V, 5 novembre 2014, n. 5470): prova di cesura in ogni caso del tutto assente nel caso di specie. A ciò si aggiunga che l’esigenza sottesa ad una simile interpretazione “è ancora più evidente nel caso in cui si tratti di affitto e non di cessione dell’azienda, dal momento che l’influenza dell’impresa locatrice è destinata a restare intatta per tutto lo svolgimento del rapporto e ben potrebbe costituire un agevole mezzo per aggirare gli obblighi sanciti dal codice degli appalti” (elementi in tal senso da T.A.R. Napoli, sez. II, 6 aprile 2016, n. 1680). Da quanto complessivamente detto consegue che la sostanziale continuità societaria sopra partitamente descritta determina la traslazione di eventuali responsabilità dal cedente al cessionario, e ciò anche con particolare riguardo alle posizioni contributive, siano esse regolari oppure irregolari come nel caso di specie, che prima del contratto di affitto erano comunque sorte.
Quanto alla mancata attivazione del meccanismo della regolarizzazione contributiva, la giurisprudenza è ormai concorde nel ritenere che “in applicazione del principio della par condicio e considerato che la regolarità contributiva deve sussistere dalla presentazione dell’offerta e deve permanere per tutta la durata della procedura di aggiudicazione e del rapporto con la stazione appaltante, restando irrilevante un eventuale adempimento tardivo dell’obbligazione contributiva, l’istituto dell’invito alla regolarizzazione (il c.d. preavviso di DURC negativo), può operare solo nei rapporti tra impresa ed Ente previdenziale, ossia con riferimento al DURC chiesto dall’impresa e non anche al DURC richiesto dalla stazione appaltante per la verifica della veridicità dell’autodichiarazione” (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. VI, 15 settembre 2017, n. 4349).
Raggruppamento temporaneo di imprese – Modifiche soggettive – Limiti – Contratto d’affitto di ramo d’azienda – Mancanza di elementi del contratto d’affitto di ramo d’azienda – Conseguenze (art. 48 d.lgs. n. 50/2016)
TRGA Trento, 12.05.2017 n. 170
Il principio generale fissato dall’ordinamento, già nel Codice previgente, è quello dell’immutabilità dei raggruppamenti dopo la presentazione dell’offerta (art. 37, comma 9 d.lgs. n. 163 del 2006), principio il quale trova, nel successivo art. 51, una deroga affatto parziale e limitata, poiché l’imprenditore subentrante, secondo quanto la disposizione stabilisce, deve possedere, nel complesso, gli stessi requisiti del subentrato.
D’altra parte, la cessione, per essere consentita, deve potersi riconoscere come attinente ad una entità organica, capace di vita economica propria, che l’affittuario deve gestire conservando l’efficienza dell’organizzazione e degli impianti, giusta artt. 2561 e 2562 c.c.: organizzazione e impianti che, nella fattispecie in esame, concernono limitate posizioni, e sono comunque certamente inidonei a configurare un autonomo organismo imprenditoriale, capace di vita propria.
Come ha ricordato il Consiglio di Stato nella sentenza n. 1172 del 2017, da un lato, la prima delle norme richiamate limita la possibilità di modificazioni soggettive per i raggruppamenti temporanei di imprese; dall’altro, la seconda norma prevede una disciplina più favorevole, ma a patto che si riscontri la cessione o l’affitto di un ramo d’azienda, che deve essere in concreto, e non solo nominalmente come nella fattispecie, sussistente. Altrimenti, si consentirebbe l’uso di un mero escamotage per sottrarsi ai limiti imposti dalla disciplina ratione temporis vigente alle modificazioni soggettive.
Affitto d’azienda (con esclusione dei rapporti di lavoro) – Idoneità – Requisiti e referenze utilizzabili ai fini della partecipazione alla gara – Obbligo di dichiarare che il possesso dei requisiti di partecipazione sia stato acquisito mediante affitto – Non sussiste (Art. 51)
TAR Salerno, 25.01.2016 n. 254
(testo integrale)Secondo consolidata giurisprudenza (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, n. 3819 del 3 agosto 2015), “l’affitto di azienda, alla stessa stregua della relativa cessione, mette l’affittuario/cessionario, per ciò stesso, in condizione di potersi giovare dei requisiti e referenze inerenti al compendio aziendale acquisito (cfr., ad es., C.d.S., Ad.Pl., nn. 10 e 21 del 4 maggio e 7 giugno 2012: «il cessionario … si avvale dei requisiti del cedente sul piano della partecipazione a gare pubbliche»; Sez. VI, 6 maggio 2014, n. 2306: l’atto di cessione di azienda abilita la società subentrante, previa verifica dei contenuti effettivamente traslativi del contratto di cessione, ad utilizzare i requisiti maturati dalla cedente; Sez. V, 10 settembre 2010, n. 6550: «sono certamente riconducibili al patrimonio di una società o di un imprenditore cessionari prima della partecipazione alla gara di un ramo d’azienda i requisiti posseduti dal soggetto cedente, giacché essi devono considerarsi compresi nella cessione in quanto strettamente connessi all’attività propria del ramo ceduto») (cfr. anche, in senso analogo, T.A.R. Campania, Napoli, Sez. II, n. 1026 dell’11 febbraio 2015: “in caso di cessione del ramo d’azienda l’impresa che partecipa ad una gara d’appalto può avvalersi dei requisiti posseduti dalle imprese cedenti: ed invero la ragione delle operazioni di fusione, incorporazione, cessione o affitto di ramo d’azienda consiste tra l’altro proprio nella possibilità, per la società acquirente/affittuaria, di utilizzare i requisiti tecnici e professionali propri delle imprese cedute. Con l’affitto di azienda si realizza, in sostanza, una situazione assolutamente analoga a quella della cessione di azienda, salvo per il fatto ché, nel primo caso, gli effetti del contratto hanno natura transitoria e vi è un obbligo di restituzione del complesso aziendale mentre nel secondo, invece, gli effetti hanno natura permanente. Ed infatti, anche nel contratto di affitto di azienda non soltanto l’affittuario è in condizione di utilizzare mezzi d’opera e personale facenti capo all’azienda affittata ma, soprattutto, si mette in condizione di avvantaggiarsi anche dei requisiti di ordine tecnico organizzativo ed economico finanziario facenti capo a tale azienda, per quanto ciò avvenga per un periodo di tempo determinato e malgrado la “reversibilità” degli effetti una volta giunto a scadenza il contratto di affitto d’azienda, con l’obbligo di restituzione del complesso aziendale”);
– la suddetta interpretazione trova univoco fondamento nel disposto dell’art. 51 d.lvo n. 163/2006, secondo cui “qualora i candidati o i concorrenti, singoli, associati o consorziati, cedano, affittino l’azienda o un ramo d’azienda, ovvero procedano alla trasformazione, fusione o scissione della società, il cessionario, l’affittuario, ovvero il soggetto risultante dall’avvenuta trasformazione, fusione o scissione, sono ammessi alla gara, all’aggiudicazione, alla stipulazione, previo accertamento sia dei requisiti di ordine generale, sia di ordine speciale, nonché dei requisiti necessari in base agli eventuali criteri selettivi utilizzati dalla stazione appaltante ai sensi dell’articolo 62, anche in ragione della cessione, della locazione, della fusione, della scissione e della trasformazione previsti dal presente codice”;
– non rileva, in senso contrario alla qualificazione del contratto de quo come avente ad oggetto l’affitto del ramo di azienda cui afferisce l’attività oggetto di gara, la pattuita esclusione dall’affitto dei rapporti di lavoro, attesa l’inderogabilità del disposto normativo (art. 2112, comma 1, c.c.) ai sensi del quale “in caso di trasferimento d’azienda, il rapporto di lavoro continua con il cessionario ed il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano”;
– nessun obbligo, sanzionato con l’esclusione dalla gara, di dichiarare che il possesso dei requisiti di partecipazione sia stato acquisito mediante l’affitto del relativo ramo di azienda è ricavabile dalla lex specialis né dalle pertinenti disposizioni normative;
– non è predicabile la falsità delle fatture, emesse dall’impresa cui afferisce il ramo di azienda oggetto di affitto ed utilizzate dalla aggiudicataria per dimostrare il possesso dei requisiti di capacità tecnica, solo perché sulle stesse, in aggiunta alla intestazione della prima, è riportata la ragione sociale dell’impresa aggiudicataria, non avendo quest’ultima, così operando, occultato né impedito la riconoscibilità dell’impresa emittente;
– si tratterebbe, in ogni caso, di un falso “innocuo” (facilmente riconoscibile sulla scorta dei certificati regionali attestanti che le prestazioni indicate nelle fatture sono state rese dall’impresa che ha dato in affitto il ramo d’azienda) e comunque “inutile” (essendo rilevanti le prestazioni documentate dalle fatture, ai fini della dimostrazione del possesso dei requisiti di partecipazione in capo all’impresa affittuaria, anche se emesse dall’impresa che ha dato in affitto il ramo d’azienda, sulla scorta dei principi giurisprudenziali dianzi richiamati);
Affitto di ramo d’azienda – Obblighi dichiarativi nei confronti dell’azienda affittata – Operatività del soccorso istruttorio – Differenza tra regolarizzazione ed integrazione documentale (Artt. 38, 46)
Azienda ceduta – Omessa dichiarazione relativa ai requisiti morali dell’amministratore – Esclusione – Presupposti (Art. 38)
Dichiarazioni in caso di affitto d’azienda: vanno riferite anche al legale rappresentante dell’azienda locata (Art. 38)
Affitto o cessione di azienda: effetti – Requisiti necessari per il subentro del cessionario: sono quelli previsti dalla lex specialis – Potere di verifica della Stazione appaltante: limiti (Art. 51)
Consiglio di Stato, sez. III, 03.08.2015 n. 3803
(sentenza integrale)“Va altresì rilevato che l’affitto di azienda rientra nell’ambito di applicazione della regola generale prevista dall’art. 51 del d.lgs. n. 163/2006 («Vicende soggettive del candidato, dell’offerente e dell’aggiudicatario»), per il quale:
«Qualora i candidati o i concorrenti, singoli, associati o consorziati, cedano, affittino l’azienda o un ramo d’azienda, ovvero procedano alla trasformazione, fusione o scissione della società, il cessionario, l’affittuario, ovvero il soggetto risultante dall’avvenuta trasformazione, fusione o scissione, sono ammessi alla gara, all’aggiudicazione, alla stipulazione, previo accertamento sia dei requisiti di ordine generale, sia di ordine speciale, nonché dei requisiti necessari in base agli eventuali criteri selettivi utilizzati dalla stazione appaltante ai sensi dell’articolo 62, anche in ragione della cessione, della locazione, della fusione, della scissione e della trasformazione previsti dal presente codice»
La codificazione, ad opera dell’art. 51, dell’opponibilità alla Stazione appaltante della posizione del soggetto subentrante all’esito delle operazioni testé indicate ha introdotto un temperamento al principio dell’immodificabilità soggettiva dei partecipanti alle gare pubbliche.
Tale temperamento risponde all’esigenza di salvaguardare la libertà contrattuale delle imprese, nel senso che queste devono poter procedere alle riorganizzazioni aziendali reputate opportune senza che possa essere loro di pregiudizio lo svolgimento delle gare alle quali abbiano partecipato (C.d.S., V, 6 marzo 2013, n. 1370).
La previsione dell’art. 51 vale testualmente tanto per le imprese che concorrano in gara come singole quanto per quelle che vi concorrano in associazione con altre (la sua incidenza è maggiore nel primo caso, in cui l’identità del concorrente muta in toto, che nel secondo); oltre il campo di applicazione di tale articolo, si riespande il ricordato principio di immodificabilità soggettiva.
7a Orbene, l’appellante si richiama al pacifico orientamento secondo il quale l’affitto di azienda, alla stessa stregua della relativa cessione, mette l’affittuario/cessionario, per ciò stesso, in condizione di potersi giovare dei requisiti e referenze inerenti al compendio aziendale acquisito (cfr., ad es., C.d.S., Ad.Pl., nn. 10 e 21 del 4 maggio e 7 giugno 2012: «il cessionario … si avvale dei requisiti del cedente sul piano della partecipazione a gare pubbliche»; Sez. VI, 6 maggio 2014, n. 2306: l’atto di cessione di azienda abilita la società subentrante, previa verifica dei contenuti effettivamente traslativi del contratto di cessione, ad utilizzare i requisiti maturati dalla cedente; Sez. V, 10 settembre 2010, n. 6550: «sono certamente riconducibili al patrimonio di una società o di un imprenditore cessionari prima della partecipazione alla gara di un ramo d’aziendai requisitiposseduti dal soggetto cedente, giacché essi devono considerarsi compresi nella cessione in quanto strettamente connessi all’attività propria del ramo ceduto»).
7b In proposito il TAR ha però ritenuto che una simile conclusione sarebbe subordinata al compimento in concreto di una particolare verifica.
Il Tribunale ha convenuto in via di principio, beninteso, che il subingresso del cessionario investa il complesso dei rapporti del cedente e, tra questi, il possesso dei titoli, referenze e requisiti maturati nello svolgimento dell’attività dell’azienda (o del suo ramo) oggetto di cessione.
Il TAR ha affermato, tuttavia, che in casi del genere residuerebbe, per l’Amministrazione, la possibilità di valutare se il cessionario «possa effettivamente disporre» dei requisiti di capacità economico-finanziaria a esso trasferiti: verifica che sarebbe consentita «perlomeno in situazioni nelle quali si possa fondatamente dubitare del passaggio di tali requisiti per effetto dell’operazione di cessione.»
In un quadro normativo del genere senz’altro poco chiaro, l’Amministrazione disporrebbe, dunque, di un potere di apprezzamento che potrebbe portarla a ricusare il soggetto imprenditoriale pur subentrante ai sensi dell’art. 51.
7c La Sezione – rilevato che il quadro normativo risulta effettivamente complesso – ritiene condivisibile l’opposta tesi di fondo, qui sostenuta dall’appellante, secondo la quale, una volta accertata l’efficacia giuridica del negozio di trasferimento della titolarità o del godimento dell’azienda, l’unica «verifica in concreto» all’uopo occorrente (e possibile) sia quella dell’inerenza del requisito in questione al compendio aziendale oggetto della cessione o dell’affitto, condizione la cui sussistenza nel caso di specie è incontestata.
Non può perciò essere seguita l’impostazione del primo Giudice secondo la quale nei casi in rilievo l’Amministrazione potrebbe verificare – sulla base di ulteriori parametri, non precisati da una disposizione normativa primaria o secondaria, né tanto meno dal bando di gara – se il subentrante, in concreto, «possa effettivamente disporre dei requisiti ad esso trasferiti».
Il Tribunale non ha chiarito, in realtà, né in quali casi la ipotizzata «verifica» ulteriore possa rendersi necessaria sulla base di una specifica disposizione normativa o di una previsione del bando di gara, né quale debba essere il suo preciso oggetto.
A parte l’indeterminatezza appena evidenziata, che già si risolve nel riconoscere alla Stazione appaltante un potere decisionale privo di limiti, la lettura seguita dal T.A.R. presenta, inoltre, l’inconveniente – incompatibile con la normativa del settore – di estendere le valutazioni che l’Amministrazione può esercitare, ai sensi dell’art. 51, nei riguardi del soggetto subentrante, su requisiti ulteriori rispetto al numerus clausus stabilito dalla legge: laddove nessuna disposizione ha considerato preclusiva una condizione di «squilibrio finanziario e patrimoniale», né questa è stata resa rilevante dalla disciplina di gara.
Nei confronti del cessionario/affittuario di azienda, va da sé, invece, che non possano pretendersi altri requisiti se non quelli già esigibili secondo legge nei riguardi del suo dante causa e degli altri concorrenti, ossia quelli previsti dalla disciplina legale e dalla lex specialis.
E proprio questo è il contenuto essenziale dell’art. 51 cit., che, appunto, richiede soltanto l’accertamento «sia dei requisiti di ordine generale, sia di ordine speciale, nonché dei requisiti necessari in base agli eventuali criteri selettivi utilizzati dalla stazione appaltante ai sensi dell’articolo 62».
7d La sentenza impugnata viene quindi fondatamente criticata, in sintesi, sia per avere obliterato il fatto che mediante la cessione o l’affitto di azienda si subentra senz’altro nei requisiti inerenti all’azienda oggetto del negozio, sia per aver giustificato la non consentita introduzione (a carico dell’affittuario) di requisiti ulteriori rispetto a quelli stabiliti dalla disciplina della gara e, in particolare, dall’art. 38 del d.lgs. n. 163/2006.
8 A questo punto occorre invero rimarcare che la lex specialis della fattispecie non prevedeva requisiti di capacità economico-finanziaria ulteriori rispetto a quelli del fatturato, globale e specifico, che sicuramente sono stati trasferiti quale effetto dell’affitto dell’azienda.
In particolare, la lex specialis non esigeva alcun capitale minimo.
Pur risultando comprensibile (in rapporto agli interessi pubblici da salvaguardare) la preoccupazione manifestata dall’Autorità amministrativa con la valutazione contestata in primo grado, il provvedimento impugnato – nell’attribuire rilevanza alla circostanza che il capitale della società affittuaria fosse limitato a «soli euro 10.000» – ha dunque individuato un caso di esclusione ulteriore rispetto a quelli previsti dalla legge ed ha formulato un giudizio di «inaffidabilità» del subentrante che non si può ex se ritenere consentito, sulla base del solo capitale della società.
9 Diversamente da quanto dedotto dall’Amministrazione, pertanto, l’affittuaria non è risultata priva per ciò solo dei requisiti richiesti dall’art. 51, essendo indiscusse la validità e l’efficacia giuridica del più volte menzionato contratto di affitto di azienda.
Pertanto, il Comune – in assenza di ulteriori, significativi e univoci elementi tali da far concludere in senso opposto – avrebbe dovuto ammettere alla stipulazione, senza pretendere di svolgere apprezzamenti ulteriori, per giunta di natura discrezionale in assenza di previi parametri, sulla sua «reale capacità economica e finanziaria», i quali non erano nemmeno consentiti e precostituiti dalla disciplina di gara.
L’art. 51 infatti, «ammette espressamente che la cessione dell’azienda o di un suo ramo comporta il subentro dell’impresa cessionaria alla cedente (…) e condiziona tale effetto alla sola verifica (vincolata e vincolante) del possesso dei requisiti di ordine generale e speciale in capo alla cessionaria» (C.d.S., III, 14 gennaio 2015, n. 55).
E non vi è dubbio che l’Amministrazione anche in occasione dell’accertamento dei requisiti agli effetti di tale articolo sia tenuta all’osservanza della lex specialis.
10 E’ pur vero, poi, che l’art. 38 del d.lgs. n. 163/2006, al comma 1, lett. a), stabilisce che la sottoposizione a concordato preventivo (oltre che a fallimento o liquidazione coatta) comporta di regola l’esclusione dalle gare. All’uopo è sufficiente, anzi, che il relativo procedimento sia stato instaurato (laddove però la semplice esistenza di condizioni di «squilibrio finanziario e patrimoniale» o di una «situazione finanziaria precaria», cui pure nell’atto impugnato si fa riferimento, non rientra tra le cause di possibile esclusione di un’impresa).
La misura oggetto d’impugnativa non trae, tuttavia, specifico fondamento dalla circostanza che, come si è detto, la s.r.l. D. abbia conclusivamente presentato, il 15 aprile 2014, domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo.
Né il Comune avrebbe potuto correttamente farlo.
Occorre difatti rilevare che l’iniziativa dell’originaria mandante dell’ATI aggiudicataria di sottoporsi al concordato preventivo è stata assunta soltanto dopo l’aggiudicazione definitiva, il successivo invito comunale del 22 novembre 2013 alla stipula del contratto di affidamento previa costituzione della cauzione definitiva, e, soprattutto, dopo la sottoscrizione del contratto di affitto d’azienda, la comunicazione della relativa operazione alla Stazione appaltante, e, infine, la successiva trasmissione da parte dell’affittuaria della documentazione riflettente il possesso dei requisiti per subentrare nell’A.T.I..
In questo contesto, l’Amministrazione era quindi ormai chiamata a svolgere il proprio vaglio sul possesso dei requisiti da parte dell’affittuaria, verifica il cui esito favorevole avrebbe escluso la rilevanza delle iniziative postume dell’originaria mandante dell’ATI (cfr. C.d.S., IV, 3 luglio 2014, n. 3344).
L’interpretazione dell’art. 51 cit., del resto, «implica il riconoscimento dell’obbligo della stazione appaltante di verificare, ai fini di una corretta amministrazione della procedura, il possesso, da parte dell’impresa cessionaria, dei requisiti richiesti per la partecipazione alla gara, avendo riguardo al momento in cui si è prodotta la modificazione soggettiva e senza che rilevi, a tali fini, il tempo in cui la stessa è stata effettivamente comunicata» (così C.d.S., Sez. III, 14 gennaio 2015, n. 55; 5 aprile 2013, n. 1894).”www.giustizia-amministrativa.it
Facoltà della Commissione di gara di rettificare le offerte: limiti – Dimostrazione della capacità economica e finanziaria per le società neo costituite – Dimostrazione del possesso dei requisiti mediante affitto d’azienda (Artt. 41, 42)
TAR Napoli, 15.07.2015 n. 3790
(sentenza integrale)“Non può certamente ipotizzarsi, come erroneamente sostenuto in ricorso, che la Commissione di gara, rilevato il presunto sforamento percentuale del ribasso sull’elemento tempo offerto dalle ditte ammesse in gara intervenga sulle offerte contenendole nel limite massimo consentito, poiché in tale evenienza la rideterminazione dell’offerta si tradurrebbe, infatti, in un’ oggettiva alterazione della parità di condizione dei concorrenti, nonché in una violazione del principio di certezza delle situazioni giuridiche sotteso alla immodificabilità della “lex specialis “, conseguendone che il bando di gara perderebbe la sua forza cogente per i soggetti partecipanti, ai quali non è dato interpretare e precisare il senso e la portata di quei parametri di gara la cui immutabilità è posta a garanzia di tutti indistintamente i partecipanti (Cons. Stato, sez. V, 12 marzo 2009, n. 1451; T.A.R., Lazio, Latina, 29 luglio 2003, n. 660). Sul punto la giurisprudenza riconosce la facoltà della commissione di gara di intervenire per rettificare le offerte, ma solo qualora essa riscontri l’esistenza di errori materiali nella compilazione dell’offerta, ictu oculi rilevabili e riconoscibili dando direttamente all’offerente la possibilità di emendarli in una fase successiva del procedimento (Cons. sez. IV, 12 dicembre 2005 n. 7035; T.A.R. Puglia, Bari, sez. I, 28 ottobre 2009, n. 2504). (…)
Al riguardo con riferimento alla capacità economica e finanziaria per le società di nuova costituzione, l’art. 41 comma 3 del d.lgs.163/2006 stabilisce che se il concorrente non è in grado, per giustificati motivi, ivi compreso quello concernente la costituzione o l’inizio dell’attività da meno di tre anni, di presentare le referenze richieste, può provare la propria capacità economica e finanziaria mediante qualsiasi altro documento considerato idoneo dalla stazione appaltante. Infatti l’art. 41, comma 3 del d.lgs. n. 163/2006 consente alla ditte neo costituite di provare la capacità tecnica e finanziaria anche con mezzi diversi da quelli previsti dalla lex specialis. La ratio della norma sopra ricordata si individua, da un lato, nella volontà di favorire la partecipazione agli appalti, con conseguente soddisfazione dell’interesse pubblico all’incremento delle possibilità di scelta, dall’altro lato, nell’intento di favorire lo sviluppo delle nuove imprese, con i correlati evidenti benefici per l’economia nazionale. Pertanto, nell’interpretare la disposizione in rassegna, come del resto ogni altra disposizione, si debbono adottare criteri di tipo sostanziale che consentano, per quanto possibile, il perseguimento, in concreto e nel rispetto della sistematica, degli intenti legislativi. (…)
Come noto, l’art. 2555 c.c. definisce l’azienda come il complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa per cui essa ricomprende in sé sia i beni immateriali che quelli materiali, nonché tutti i rapporti giuridici inerenti l’esercizio dell’impresa, e dunque i contratti, i crediti ed i debiti.
Il contratto di affitto d’azienda è previsto dall’art. 2562 c.c. che opera un rinvio alla disposizione di cui all’art. 2561 c.c. stabilendo che all’affitto si applichino le disposizioni in tema di usufrutto d’azienda.
L’affittuario quindi vanta sui beni aziendali un diritto personale di godimento e i suoi poteri ed i suoi doveri corrispondono essenzialmente a quelli dell’usufruttario, sicchè egli ha il potere di disporre dei beni aziendali nel rispetto del complessivo vincolo di destinazione. Nella sostanza, l’affitto di azienda è un contratto di locazione avente ad oggetto un bene produttivo, ossia l’azienda intesa come complesso organizzato di beni preordinati all’esercizio di una attività d’impresa.
L’affitto d’azienda oltre ad essere disciplinato dalle norme che regolano l’usufrutto di azienda, in forza del richiamo operato dall’art. 2562 del codice civile, è altresì regolato da alcune delle norme che regolano la cessione d’azienda. In particolare si applica all’affitto di azienda, per espresso richiamo, l’art. 2558 cc. che regola la successione nei contratti nel caso del trasferimento d’azienda. La norma prevede un’ipotesi di cessione del contratto, ricondotta alla legge che, al verificarsi di una vicenda successoria relativa all’azienda, prevede il subentro automatico dell’acquirente nei contratti stipulati per l’esercizio della stessa, così derogando alla disciplina generale in materia di cessione del contratto che, come noto, richiede per il perfezionamento della fattispecie il consenso del contraente ceduto (art. 1406 cc.).
In seguito all’affitto d’azienda il locatario ha quindi la facoltà di usufruire del patrimonio la cui disponibilità è stata trasferita, e quindi di comprovare i requisiti richiesti dal bando in sede di gara, poiché con la cessione dei contratti si perfeziona il passaggio della capacità economica e delle competenze possedute dall’affittante.
Ciò premesso, ritiene il Collegio che, al fine di integrare i requisiti di partecipazione ad una gara di appalto ed a prescindere da un’espressa previsione del bando, sono certamente riconducibili al patrimonio di un’impresa i titoli posseduti da altro soggetto che gli abbia ceduto o affittato l’azienda o un suo ramo, in quanto detti contratti comportano il subingresso del contraente in tutti i rapporti attivi e passivi del cedente o locatore ivi compresi i titoli e le referenze che derivano dallo svolgimento dell’attività svolta. Infatti, è applicabile al contratto di affitto il principio di diritto affermato a proposito della cessione di ramo d’azienda, ossia che sono riconducibili al patrimonio della società o dell’imprenditore cessionari i requisiti posseduti dal soggetto cedente, giacché essi devono considerarsi compresi nella cessione in quanto strettamente connessi all’attività propria del ramo ceduto (Cons. Stato, sez. V, 10 settembre 2010, n. 6550). Per l’ipotesi di cessione di ramo d’azienda (cui l’affitto è equiparato) avvenuta prima della partecipazione alla gara l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha osservato che : “sebbene per suo tramite si realizzi una successione a titolo particolare, essa tuttavia assume una forma del tutto peculiare, consistente nel passaggio all’avente causa dell’intero complesso dei rapporti attivi e passivi nei quali l’azienda stessa o il suo ramo si sostanzia (tanto da farsi riferimento in giurisprudenza al concetto di trasferimento di universitas, v. Cass., 12 giugno 2007, n. 13765; Cass., 13 giugno 2006, n. 13676; Cass., 19 luglio 2000, n. 9460). Il che rende la vicenda ben suscettibile di comportare pur essa la continuità tra precedente e nuova gestione imprenditoriale”.
Nel caso in cui, come nella specie, l’affitto sia intervenuto prima dell’avvio della procedura di gara, sono certamente riconducibili al patrimonio della società o dell’imprenditore locatari prima della partecipazione alla gara di un’azienda i requisiti posseduti dal soggetto locatore, giacché essi devono considerarsi compresi nella cessione in quanto strettamente connessi all’attività propria del locatore, e pertanto possono integrare i requisiti di partecipazione ad una gara di appalto a prescindere da un’espressa previsione del bando. Non può quindi sostenersi pertanto che l’aggiudicataria avrebbe dovuto dichiarare nella domanda di partecipazione, a pena di esclusione, l’intenzione di avvalersi dei requisiti acquisiti per effetto dell’affitto delle aziende stipulato a anteriormente alla procedura. Del resto l’art. 51 del d.lgs. 163 cit., nel disciplinare le vicende soggettive del candidato, dell’offerente e dell’aggiudicatario nella fase successiva all’avvio della procedura di gara prevede nei casi, tra l’altro, di cessione o affitto l’azienda o di un ramo di essa sinanche la possibilità di sub ingresso del cessionario ad cedente subordinatamente all’accertamento del possesso dei requisiti di ordine generale e speciale.
Del resto al fine di assicurare la massima estensione dei principi comunitari e delle regole di concorrenza negli appalti di servizi o di servizi pubblici locali, per la comprova del requisito in parola il Codice dei contratti, al successivo comma 4 bis dello stesso art. 42 ammette sinanche la possibilità di ricorrere a contratti di locazione finanziaria con soggetti terzi.“www.giustizia-amministrativa.it