Consiglio di Stato, sez. V, 12.03.2025 n. 2048
3. Il Consiglio di Stato, nella sua più autorevole composizione, ha condivisibilmente chiarito che: “La responsabilità in cui incorre l’amministrazione per l’esercizio delle sue funzioni pubbliche è inquadrabile nella responsabilità da fatto illecito, sia pure con gli inevitabili adattamenti richiesti dalla sua collocazione ordinamentale nei rapporti intersoggettivi. Il rapporto amministrativo si compone infatti di due situazioni soggettive entrambe attive, l’interesse legittimo del privato e il potere amministrativo, il che impedisce di concepire l’illecito dell’amministrazione come inadempimento di un obbligo. Trattandosi di responsabilità extra-contrattuale, il danneggiato ha l’onere di dimostrare in giudizio l’ingiustizia del danno subito. Inoltre, nell’esame della domanda di risarcimento dei danni da illegittimo o mancato esercizio della funzione pubblica deve essere in ogni caso valutata la condotta del privato, nel senso che questi non può ottenere il risarcimento se non ha attivato tutti gli strumenti a sua disposizione, procedimentali o processuali, volti a prevenirlo o a rimuoverlo” (C.d.S, AP n. 7/21).
4. Tanto premesso, rileva il Collegio che, come sopra esposto, nella fattispecie in esame non è mai intervenuto alcun contratto tra Roma Capitale e l’odierna appellata, atteso che, a seguito della pronuncia del TAR Lazio n. 8658/16, di accertamento dell’inerzia di Roma Capitale, quest’ultima, con lettera del 15 febbraio 2017, ha chiesto alla società “di eseguire le verifiche ed apportare i conseguenti adeguamenti al Progetto Definitivo in relazione alla criticità riscontrate”, essendo nel frattempo mutato lo stato dei luoghi. Verifiche la cui necessità è stata sempre contestata dall’odierna appellante.
Orbene, a far data dalla suddetta nota comunale del 15.2.2017 doveva astrattamente invocarsi un danno da comportamento illecito dell’Amministrazione, responsabile – in thesi – di scorrettezze comportamentali volte ad impedire la stipula del contratto.
5. Nondimeno, il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado è stato notificato a Roma Capitale in data 6.3.2023, e pertanto oltre il suddetto termine prescrizionale quinquennale, spirato dopo cinque anni dalla predetta nota del 15.2.2017, e pertanto il 15.2.2022. Ed è appena il caso di soggiungere che tale termine non è stato interrotto dall’atto di significazione e diffida del 20.6.2022, in quanto a tale data la prescrizione era già utilmente maturata.
6. Ciò detto con riferimento alla prescrizione, reputa altresì il Collegio che l’appellante è altresì decaduta dall’azione in esame, stante il superamento dei termini di cui all’art. 30 co. 3 c.p.a. Invero, tale previsione normativa stabilisce che: “La domanda di risarcimento per lesione di interessi legittimi è proposta entro il termine di decadenza di centoventi giorni decorrente dal giorno in cui il fatto si è verificato ovvero dalla conoscenza del provvedimento se il danno deriva direttamente da questo”.
Orbene, nella fattispecie in esame, a fronte della volontà dell’Amministrazione – espressa nella suddetta nota del 15.2.2017 – di non addivenire alla stipula del contratto, se non dopo la redazione, da parte dell’appellante, di un progetto che tenesse conto delle criticità fattuali medio tempore intervenute, la società avrebbe dovuto esperire azione risarcitoria entro 120 giorni da tale data, e pertanto entro il 15.6.2017. Ciò in considerazione del fatto che alla suddetta data del 15.2.20217 si sarebbe avuta la cristallizzazione del fatto produttivo (in thesi) di danno.
Pertanto, anche esaminando la domanda sotto l’angolo prospettico della decadenza, ai sensi dell’art. 30 co. 3 c.p.a, il termine per la proposizione del ricorso è ampiamente decorso, essendo quest’ultimo stato proposto soltanto in data 6.3.2023 (data di notifica del ricorso all’Amministrazione comunale), e pertanto abbondantemente oltre il suddetto termine del 15.6.2017.
7. La tardività della domanda è contestata dall’appellante, ad avviso della quale si sarebbe in presenza di una condotta inerte, integrante come tale gli estremi dell’illecito permanente; la qual cosa non farebbe decorrere alcun termine prescrizionale e/o decadenziale, se non al momento della cessazione dell’inerzia da parte dell’Amministrazione comunale.
Trattasi tuttavia di assunto giuridicamente infondato, atteso che, a seguito della pronuncia del TAR Lazio n. 8658/16, di accertamento dell’inerzia di Roma Capitale, quest’ultima, con la più volte citata nota del 15 febbraio 2017, ha invitato l’appellante ad adeguare il progetto alla situazione fattuale medio tempore intervenuta.
Dunque, dopo la citata pronuncia del Tar Lazio n. 8658/16, l’Amministrazione capitolina non è rimasta inerte, ma ha invitato l’appellante a rimuovere un ostacolo (a suo dire) insuperabile ai fini della stipula del contratto.
Pertanto, se condotta illecita vi è stata da parte del Comune, essa si è cristallizzata con la suddetta nota 15.2.2017, che individua il fatto produttivo del danno, mentre i soli effetti lesivi assumono natura permanente.
8. Trattasi pertanto, più propriamente, di illecito istantaneo con effetti permanenti. La qual cosa radica sia il dies a quo di decorrenza della prescrizione (art. 2948 c.c.), sia quello di decadenza (art. 30 co. 3 c.p.a.) al 15.2.2017. E poiché, come più volte chiarito, l’odierno giudizio è stato introdotto soltanto in data 6.3.2023 salvo l’atto di significazione e diffida del 20.6.2022), la proposta azione deve reputarsi tardiva.
9. Allo stesso risultato (tardività della proposta azione risarcitoria) si addiviene anche nel caso in cui si individui il dies ad quem nel 20.6.2022 (data di notifica dell’atto di significazione e diffida rivolto dalla società al civico ente), essendo anche a tale data decorsi i relativi termini prescrizionali/decadenziali.
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