Consiglio di Stato, sez. III, 10.03.2025 n. 1937
7. Proprio il rilievo della consapevolezza che la stazione appaltante aveva (o avrebbe comunque dovuto considerare) delle vicende – relative all’informativa – che si sarebbero verificate in fase esecutiva, va valorizzato al fine di pervenire a una soluzione che, ancorché confermativa delle conclusioni del primo giudice, sia basata su di un’interpretazione del quadro normativo focalizzata non tanto sulle norme del T.U. antimafia bensì su quelle del codice dei contratti pubblici.
Queste ultime, pur presentando indubbiamente un imperfetto coordinamento nel loro intersecarsi con la normativa antimafia, regolano direttamente l’esercizio del potere in questione.
Esse si prestano ad una lettura in linea con la ratio di favore per la partecipazione alle procedure di affidamento dei contratti pubblici che è sottesa all’istituto del controllo giudiziario, e fondano conseguentemente il richiamato approccio non formalistico seguito dal primo giudice.
In particolare, i casi di risoluzione doverosa ai sensi dell’articolo 108, comma 2, del d.lgs. n. 50/2016 (peraltro in parte qua l’articolo 122, comma 2, del d.lgs. 31 marzo 2023, n. 36, attualmente in vigore, non presenta differenze sostanziali), vanno interpretati in modo rigorosamente restrittivo, e pertanto la previsione relativa all’ipotesi in cui “nei confronti dell’appaltatore sia intervenuto un provvedimento definitivo che dispone l’applicazione di una o più misure di prevenzione di cui al codice delle leggi antimafia e delle relative misure di prevenzione” (relativa dunque a un operatore che solo in corso di esecuzione sia stato colpito dalla misura interdittiva), non può essere estesa anche alla diversa ipotesi in cui la misura esistesse già ab initio, ma la sua efficacia fosse sospesa (e la stazione appaltante fosse a conoscenza di tutto ciò).
In quest’ultima ipotesi, è ragionevole ritenere che non vi siano esiti obbligati, ma si riespanda la facoltà dell’Amministrazione di decidere se, e soprattutto quando, intervenire sul contratto in senso risolutorio, non essendo dunque condivisibile la tesi dell’odierna appellante che finisce con l’assimilare del tutto le due ipotesi.
8. Un simile esito è infatti innanzitutto coerente con la retrostante disciplina comunitaria dei contratti pubblici, la quale – evidentemente perché durante la fase di esecuzione non vi è un problema di par condicio e rispetto del confronto concorrenziale, potendo accordarsi almeno pari rilievo alle esigenze dell’Amministrazione – non contempla mai ipotesi di risoluzione obbligatoria del contratto, neanche nei casi in cui si accerti la presenza fin dall’inizio di una causa di esclusione (si veda in tal senso l’articolo 73 della direttiva 2014/24/UE).
Esso, inoltre, risulta coerente anche con il principio del risultato che, in quanto relativo anche alla fase esecutiva, suggerisce comunque di lasciare all’Amministrazione ogni volta che ciò sia possibile – e, dunque, senza mai entrare in frizione, neppure potenziale, con il principio di legalità (problema che, per le ragioni fin qui richiamate, nella fattispecie in esame non si pone) – un margine di valutazione sull’opportunità di portare a compimento l’esecuzione dell’appalto con l’originario affidatario, ovvero azzerare tutto a individuare un nuovo contraente.
9. Il richiamo ai suddetti princìpi aiuta a risolvere il problema legato al fatto che la fattispecie qui in esame (misura interdittiva già esistente, ma sospesa nell’efficacia e che riprende efficacia in corso di esecuzione del contratto) non è contemplata dall’articolo 108, d.lgs. n. 50/2016 né tra le cause di risoluzione obbligatoria né tra quelle di risoluzione facoltativa.
Il che non implica necessariamente che la stazione appaltante debba ritenere tamquam non esset la vicenda interdittiva sopravvenuta, ma piuttosto che, se al riacquisto di efficacia della misura originaria si accompagna la richiesta di aggiornamento e l’avvio da parte del Prefetto della necessaria istruttoria, tenuto conto dei tempi che quest’ultima necessariamente richiede, è ragionevole riconoscere all’Amministrazione un margine di valutazione sul da farsi che tenga conto, oltre che della durata di tale iter procedimentale, anche dello stato di esecuzione del contratto e dell’opportunità di affidare la residua esecuzione a un altro operatore economico.
La peculiarità della presente vicenda è data dal fatto che la stazione appaltante ha esercitato il proprio potere unicamente in ragione di una sopravvenienza di natura formale (peraltro, come chiarito, già nota all’atto dell’aggiudicazione): e non già in relazione ad una valutazione sulla reale sussistenza o meno dei presupposti, fattuali o giuridici, per la prosecuzione del rapporto negoziale.
RISORSE CORRELATE
- Risoluzione "consensuale" precedente : no obbligo dichiarazione in gara (art. 98 d.lgs. 36/2023)
- Gravi illeciti professionali - Precedente risoluzione per inadempimento - Valutazione - Gravità e tempo trascorso (art. 80 d.lgs. n. 50/2016)
- Accesso agli atti della fase di esecuzione del contratto - Vicende che potrebbero condurre alla risoluzione ed allo scorrimento della graduatoria o alla riedizione della gara - Interesse - Sussiste