Deve innanzitutto rilevarsi che la fattispecie oggetto di censura è un’operazione di cessione di azienda e non di affitto, alla quale si riferisce, invece, la giurisprudenza invocata da parte ricorrente a supporto delle proprie pretese.
Nelle operazioni di cessione il compendio aziendale si trasferisce a titolo definitivo, realizzando così, almeno dal punto di vista formale una cesura che rende difficilmente ravvisabile quella continuità gestoria più palpabile nell’ambito dell’affitto di azienda in cui la titolarità dell’azienda permane in capo alla società locatrice.
Peraltro è utile evidenziare che nel nuovo codice si assiste ad una ulteriore tassativizzazione delle cause di esclusione con la conseguenza che le ipotesi di estensione delle stesse sono da considerarsi eccezionali. Sotto questo profilo rileva che nel Codice dei contratti pubblici non vi è alcuna specifica previsione che imponga espressamente, sic et simpliciter, l’esclusione dell’operatore economico, affittuario di azienda e/o ramo d’azienda, allorché l’impresa concedente/affittante sia stata medio tempore assoggettata ad una procedura concorsuale: se è vero che l’art. 94, co. 5, lett. d) del d. lgs. n. 36/2023 prevede, quale ipotesi di esclusione automatica dalla gara, la sottoposizione (tra l’altro) alla procedura di liquidazione giudiziale, è parimenti incontestabile che tale disposizione si riferisce al solo “operatore economico”, così circoscrivendo in capo al soggetto che prende parte alla procedura di appalto l’ambito di operatività della causa di esclusione di cui trattasi.
Tale interpretazione “restrittiva” trova conforto anche nel principio di tassatività delle clausole di esclusione, ora dettato dall’art. 10 del vigente Codice dei contratti pubblici, da leggersi in combinato disposto con i più generali principi – di derivazione comunitaria – di concorrenza e massima partecipazione (anch’essi codificati ed espressamente richiamati nel Libro I del Codice).
Sicché nessun dato normativo induce a ritenere che, di per sé, il fallimento (ovvero la liquidazione giudiziaria) dell’impresa concedente l’azienda/ramo d’azienda si rifletta, per così dire “per contagio”, in capo all’affittuario.
Al contrario, secondo la giurisprudenza più recente, tale interpretazione risulta sconfessata <> (cfr. TAR Lazio, n. 15416/2024).
Né la mancanza di una disposizione ad hoc che contempli espressamente tale effetto escludente potrebbe essere colmata dando applicazione al principio di ordine generale compendiato nel brocardo “ubi commoda ibi incommoda”, come articolato e sviluppato dal nutrito indirizzo giurisprudenziale, evocato dalla ricorrente nei propri scritti difensivi, che si è occupato della fattispecie della cessione di azienda, con argomentazioni considerate valide anche per l’ipotesi (sostanzialmente affine) di affitto di essa o di un suo ramo (cfr. segnatamente Ad. Plen. n. 10/2012 e giurisprudenza successiva, tra cui in particolare il precedente del Consiglio di Stato, Sez. V, 7 ottobre 2021, n. 6706).
Nella fattispecie sono trascorsi tre anni dalla cessione del ramo di azienda, sicchè ipotizzare che le vicende della cedente continuino a riflettersi sulla cessionaria ovvero su eventuali terzi ulteriori cessionari senza limiti temporali, significa porre a carico delle stazioni appaltanti un onere di controllo sproporzionato.
RISORSE CORRELATE
- Affitto ramo d'azienda - Irregolarità fiscale - Si trasferisce al cessionario (art. 80 d.lgs. 50/2016)
- Affitto ramo d’azienda - Completa discontinuità nella gestione - Mancanza - Verifica dei requisiti in capo all' affittante - Necessità (art. 80 d.lgs. n. 50/2016)
- Affitto ramo d'azienda - SOA originaria - Mancato rinnovo o aggiornamento - Perdita dei requisiti di qualificazione (art. 84 d.lgs. n. 50/2016)
- Cessione di ramo di azienda – Debiti della cedente – Assunzione da parte della cessionaria – Limiti (art. 80 d.lgs. n. 50/2016)
- Affitto ramo d'azienda per avvalimento dei requisiti di partecipazione (art. 89 d.lgs. n. 50/2016)