Certificato esecuzione lavori (CEL) – Natura e funzione – Può essere rilasciato anche in corso di esecuzione o qualora il contratto d’appalto non sia concluso – Condizioni (art. 86 d.lgs. n. 50/2016)

Consiglio di Stato, sez. V, 21.02.2020 n. 1320

Il Certificato esecuzione lavori è disciplinato dall’art. 86, comma 5 – bis, 18 aprile 2016, n. 50 “Mezzi di prova” il quale, nella formulazione vigente al momento dell’indizione della gara, prevedeva: “L’esecuzione dei lavori è documentata dal certificato di esecuzione dei lavori redatto secondo lo schema predisposto dall’ANAC con le linee guida di cui all’articolo 83, comma 2”.
L’art. 79, comma 6, d.P.R. 5 ottobre 2010, n. 210 stabilisce, poi, che: “L’esecuzione dei lavori è documentata dai certificati di esecuzione dei lavori previsti dagli articoli 83, comma 4 e 84, indicati dall’impresa e acquisiti dalla SOA ai sensi dell’articolo 40, comma 3, lett. b), del codice, nonché secondo quanto previsto dall’articolo 86”.
L’acquisizione dei certificati da parte della SOA è necessaria alla qualificazione dell’impresa resa da detto organismo e l’art. 83, comma 2, d.P.R. n. 210 specifica che a tal fine “I lavori da valutare sono quelli eseguiti regolarmente e con buon esito iniziati e ultimati nel periodo di cui ai precedenti commi, ovvero la parte di essi eseguita nel quinquennio, per il caso di lavori iniziati in epoca precedente o per il caso di lavori in corso di esecuzione alla data della sottoscrizione del contratto con la SOA, calcolata presumendo un avanzamento lineare degli stessi”. L’art. 83, comma 4 d.P.R. n. 210 cit., poi, prevede che: “I certificati di esecuzione lavori sono redatti in conformità dello schema di cui all’allegato B e contengono la espressa dichiarazione dei committenti che i lavori eseguiti sono stati realizzati regolarmente e con buon esito; se fanno dato luogo a vertenze in sede arbitrale e giudiziaria, ne viene indicato l’esito”.
Il certificato di esecuzione lavori costituisce, dunque, una certificazione richiesta dall’impresa al committente (anche privato, cfr. art. 84 comma 2, d.P.R. n. 201 cit.) per la dimostrazione del possesso del requisito di idoneità tecnica – organizzativa, costituito dall’aver svolto lavori per un certo importo in una certa categoria in quanto la committenza certifica l’avvenuta esecuzione in maniera regolare e con buon esito dei lavori, nonché se risultano, e con quale esito, le contestazioni reciprocamente mosse dalle parti contrattuali in seguito all’esecuzione dei lavori.
Non v’è ragione per ritenere che l’impresa possa richiedere alla committenza (pubblica o privata) il rilascio del certificato di esecuzione solamente quando il contratto d’appalto sia stato integralmente concluso, nel senso che non residuano più prestazioni dovute a carico di entrambe le parti.
Il certificato di esecuzione lavori può essere rilasciato anche qualora il contratto d’appalto non sia ancora concluso, ovvero, detto altrimenti, se i lavori sono ancora in corso di esecuzione, per quella parte di lavori che il R.u.p. attesti completata con buon esito e contabilizzata.
Rileva, in tal senso, il dato normativo: l’art. 83, comma 2, d.P.R. n. 210 cit. in precedenza riportato ammette la possibilità che la SOA sia chiamata a valutare lavori “in corso di esecuzione alla data di sottoscrizione del contratto con la SOA”; e, d’altra parte, non è un caso che lo schema di certificato fornito dall’Allegato B al regolamento (al Quadro 6.1.) preveda si dia risposta alla domanda se “I lavori sono in corso …SI/NO”.
In un precedente specifico (…) è stato, però, chiarito che dal combinato disposto delle norme che disciplinano il C.E.L. si evince che “l’impresa acquisisce il requisito tecnico organizzativo, costituito dall’aver svolto lavori per un certo importo in una certa categoria, col rilascio del Certificato di esecuzione lavori” (cfr. Cons. Stato, sez. V, 28 dicembre 2017, n. 6135). Si è in presenza, dunque, di un atto rientrante nella categoria dei c.d. accertamenti costitutivi, poiché l’effetto dell’accertamento è quello di costituire il requisito in capo all’impresa che richiede il certificato.
Dalle considerazioni esposte deriva che il ragionamento svolto dal giudice di primo grado non può essere condiviso in quanto il C.E.L. non attesta l’affidabilità dell’impresa nell’esecuzione di tutte le obbligazioni sorte dal contratto di appalto, ma solo la corretta esecuzione dei lavori, ossia la sua capacità tecnico – organizzativa, ed è per questa ragione che può senz’altro ammettersi che la committenza certifichi anche lavori eseguiti in forza di contratto non ancora concluso, ma che, nondimeno l’impresa deve essere in possesso del C.E.L., con il quale intende dar prova del requisito, al momento della presentazione della domanda di partecipazione o dell’offerta.
Costituisce, infatti, principio consolidato quello per cui i requisiti di qualificazione devono essere posseduti dal momento della presentazione della domanda e per tutta la durata di esecuzione del contratto; consentire l’integrazione del C.E.L. nel corso della procedura costituirebbe palese violazione del principio della par condicio tra i concorrenti.