Consiglio di Stato, sez. III, 21.01.2019 n. 517
Ritiene il Collegio di dover richiamare la disposizione recata dall’art. 105, comma 22, del d.lgs. n. 50/2016 secondo cui: “Le stazioni appaltanti rilasciano i certificati necessari per la partecipazione e la qualificazione di cui all’articolo 83, comma 1, e all’articolo 84, comma 4, lettera b), all’appaltatore, scomputando dall’intero valore dell’appalto il valore e la categoria di quanto eseguito attraverso il subappalto. I subappaltatori possono richiedere alle stazioni appaltanti i certificati relativi alle prestazioni oggetto di appalto realmente eseguite”.
Tale disposizione, contrariamente a quanto ritenuto dal TAR, non costituisce una norma generale dettata per tutte le tipologie di appalto, tanto da imporre per ogni settore dei contratti pubblici il divieto per l’operatore economico di far valere nell’ambito del proprio fatturato, quanto realizzato mediante il subappalto.
Depone in questo senso la piana lettura della disposizione che contiene precisi riferimenti allo specifico settore degli appalti di lavori.Il comma 22 dell’art. 105 cit. contiene, infatti, una specifica prescrizione diretta alle stazioni appaltanti nell’ambito dell’attività certificata ad esse demandata in ordine ai requisiti di qualificazione degli operatori economici nello specifico settore degli appalti di lavori, nella quale vige, diversamente che nel caso dei servizi e forniture, un’attività certificativa delle stazioni appaltanti attraverso cui gli organismi di attestazione (SOA) attingono i requisiti attinenti la capacità tecnica dell’impresa, ai fini della partecipazione alle gare di appalto.
(…) la disposizione in questione non costituisce una novità assoluta in materia di appalti di lavori, in quanto risultava già vigente con riferimento al settore degli appalti inerenti i beni culturali ed ambientali: pertanto, la disposizione oggi introdotta nel codice degli appalti estende a tutto il settore degli appalti di lavori pubblici tale principio che era, in precedenza, proprio di uno specifico settore aventi specifiche caratteristiche di specialità.
Si tratta comunque, di una disposizione relativa allo svolgimento di un’attività certificativa, che è propria dello specifico settore degli appalti di lavori; si riconnette, infatti, al sistema di qualificazione degli esecutori di lavori pubblici, come risulta palese dall’espresso richiamo all’art. 84, comma 4, lett. b) dello stesso codice degli appalti.
Del resto la nozione di “certificati necessari per la partecipazione” come ha correttamente dedotto l’appellante, evoca lo specifico settore degli appalti di lavori per i quali sussiste l’obbligo della stazione appaltante di rilasciarli; l’art. 86, comma 5-bis prevede, infatti, che l’esecuzione dei lavori è documentata dal certificato di esecuzione lavori; anche il riferimento alla “categoria” contenuto nella norma del comma 22 dell’art. 105 cit. rimanda alla precedente norma propria del settore degli appalti di lavori e segnatamente dei certificati di esecuzione lavori; infine la stessa Commissione Speciale di questo Consiglio di Stato, nel proprio parere n. 782/2017, reso sul correttivo al codice degli appalti, nell’interpretazione dell’art. 105 comma 22 cit. ha fatto chiaro riferimento al solo appalto di lavori.
Si tratta, quindi, di una disposizione specifica introdotta dal legislatore per tale tipologia di appalti che presenta aspetti peculiari rispetto alle altre tipologie di appalto, che il legislatore ha storicamente disciplinato in modo più rigido rispetto agli altri settori degli appalti di servizi e forniture.Non convince, infatti, la tesi sostenuta dall’appellata (ed accolta dal TAR) secondo cui la norma – attraverso il richiamo all’art. 83, comma 1, d.lgs. 50/2016 – avrebbe una valenza generale.
In un contesto nel quale è chiarissimo il riferimento al solo settore degli appalti di lavori – che presenta uno specifico regime – argomentare l’applicabilità della disposizione a tutte le tipologie di appalto solo facendo riferimento al richiamo ad una norma generale che riguarda i criteri di selezione nelle procedure di gara, si appalesa al Collegio poco persuasiva, tanto più che i requisiti di capacità economico finanziaria non sono provati con certificati, ma con il fatturato o i bilanci.
Sebbene non possa ritenersi precluso a priori l’uso di “certificati” per la comprova dei requisiti di capacità economico finanziaria, nondimeno la norma è chiara nel riferirsi ai certificati necessari per la qualificazione e tali sono quelli relativi alla capacità tecnica, e ciò spiega il richiamo all’art. 83, comma 1 cit. senza alcuna specificazione.Venendo al caso di specie, occorre rilevare che l’estensione della disposizione propria del settore degli appalti di lavori a quello degli appalti di servizi e, nell’ambito di esso ai requisiti di capacità economica e finanziaria, trova un ulteriore ostacolo costituito dal fatto che la ratio sulla quale si fonda la disposizione in questione non si attaglia ai requisiti di capacità economico finanziaria: nel caso dei requisiti di capacità tecnica, infatti, lo scopo della norma è quello di evitare la valutazione di un requisito di capacità tecnica meramente cartolare (essendo stata subappaltata l’esecuzione della prestazione), rendendo applicabile il principio secondo cui l’impresa può far valere soltanto i lavori direttamente eseguiti (codificato dall’art. 24, comma 2, del D.P.R. n. 34/2000); nel caso della capacità economico finanziaria, invece, il subappalto non elide gli oneri e le funzioni gravanti sull’appaltatore sotto l’aspetto economico e finanziario.
L’appaltatore infatti assume su di sé il rischio economico finanziario per le opere eseguite mediante subappalto, non può scaricare il rischio sul subappaltatore (tenuto conto che secondo quanto prevede il comma 14 dell’art. 105, il contratto di sub-appalto non può prevedere ribassi maggiori del 20% rispetto ai prezzi unitari risultanti dall’aggiudicazione del contratto di appalto), e ne sopporta integralmente la responsabilità della corretta esecuzione nei confronti della stazione appaltante.
Anche in caso di esecuzione tramite subappalto, il peso economico e finanziario è direttamente sopportato dall’appaltatore, al quale, conseguentemente, in assenza di un’espressa indicazione normativa di segno opposto, deve essere riconosciuto anche il maturare di un corrispondente requisito di capacità economico e finanziaria.La tesi seguita dal TAR che estende – in via interpretativa, in assenza di una chiara disposizione di legge che lo preveda – la portata di una disposizione propria del settore dei lavori pubblici a quello di servizi e che, nuovamente, ricorre all’interpretazione analogica per estendere, nell’ambito degli appalti di servizi, una disposizione dettata per i requisiti di capacità tecnica a quelli di capacità economica, non può essere condivisa alla luce dei rilievi già svolti, sia con riferimento alla differente disciplina che regola i settori degli appalti di lavori da quelli di servizi e forniture, sia con riferimento al differente regime esistente per le due tipologie di requisiti.
Inoltre, l’estensione della previsione recata dall’art. 105, comma 22, cit, potrebbe disincentivare il ricorso al subappalto, finendo per porre problemi di compatibilità con l’ordinamento eurounitario e con il principio di proporzionalità.
In sostanza, in assenza di una norma che affermi il principio della depurazione del fatturato conseguito a mezzo di subappalto dall’appalto totale negli appalti di servizi, su cui si fonda la domanda di Arjo Italia, tale principio non può essere introdotto in via meramente interpretativa.